Commedie con cuore. Storie uniche e originali con protagoniste femminili. Rappresentazione di persone a cui solitamente non viene lasciato spazio sul grande schermo.
Tre concetti chiave alla base della regia di Nisha Ganatra.
Abbiamo incontrato Nisha a Los Angeles e, tra un’opinione e l’altra sul cinema americano e italiano, ci ha accompagnati lungo il viaggio che l’ha portata a dirigere il suo nuovo film, “L’assistente della star”, con Tracee Ellis Ross, Dakota Johnson, Kelvin Harrison Jr., Zoë Chao, Bill Pullman, Eddie Izzard e Ice Cube. Dalla canalizzazione del talento canoro di Tracee Ellis Ross allo spazio di improvvisazione lasciato agli attori comici (che è un must), la ricetta perfetta per una commedia drammatica.
Sul potere della commedia, il suo genere preferito, ci ha raccontato che ha la capacità di trasmettere messaggi importanti, perché se riesci ad attirare l’attenzione del pubblico facendolo ridere, hai la possibilità di svegliarlo dal “torpore” per condividere il giusto messaggio.
E infine, un epic fail trasformato in fonte di ispirazione, il momento preferito della giornata per girare una scena e la storia che sogna di portare sul grande schermo: questo, e molto altro, nella nostra intervista con Nisha Ganatra.
Cosa ti ha fatto dire di sì al dirigere “L’assistente della star”?
Molti fattori! La sceneggiatura era davvero ben scritta e ho adorato i personaggi. Ero anche molto entusiasta del fatto che Tracee Ellis Ross mostrasse al mondo di saper cantare mentre faceva anche il suo debutto cinematografico. Quello di poter lavorare con Working Title e Focus Features era un sogno nel cassetto, sono cresciuta guardando film di questi studios cinematografici con personaggi femminili forti, ho sempre desiderato girarne uno!
Come hai lavorato con Tracee Ellis Ross, anche per la parte canora? C’è stato spazio per l’improvvisazione?
Con attori comici di talento, e a dire il vero con tutti gli attori, devi lasciare spazio all’improvvisazione – a volte le commedie migliori nascono proprio dal lasciare spazio agli attori. Con Tracee abbiamo lavorato con uno straordinario produttore musicale, Rodney Jerkins (è una leggenda se lo cerchi su Google capirete perché) ed un incredibile team musicale: Linda Cohen, Natalie Hayden, Mike Knoblach e la nostra arma segreta, la cantautrice Sarah Aarons – sono stati essenziali per creare il sound di Grace Davis (il personaggio di Tracee).
Ma, più di tutto, Tracee ha dovuto lavorare per far uscire e far conoscere al mondo la sua straordinaria voce. Penso che fosse preoccupata di vivere all’ombra di sua madre [Diana Ross] – e come non esserlo! Anche i suoi fratelli cantano – era quindi davvero l’unica che non aveva ancora permesso che qualcuno la potesse ascoltare. Ascoltarla per la prima volta è un’esperienza che non dimenticherete mai. È così talentuosa, e ha una voce meravigliosa.
“Con attori comici di talento, e a dire il vero con tutti gli attori, devi lasciare spazio all’improvvisazione – a volte le commedie migliori nascono proprio dal lasciare spazio agli attori”.
C’è stata una scena che avevi in mente come girare e poi all’improvviso, una volta salita sul set, tutto è cambiato?
Ah – beh sì, benvenuti nel mondo del cinema. Ma alla fine è per lo più come me l’ero immaginato e pianificato di girarlo – a volte è solo un “viaggio” arrivarci.
La tua canzone go-to?
Qualsiasi canzone di Madonna mi fa sempre sentire meglio. E, stranamente, la maggior parte delle canzoni dei The Cure. Sono totalmente immersa negli anni ’80 in questo momento. Ma la musica che attualmente sta dominando il mio mondo è l’album da solista di Brittany Howard – È wow.
Come scegli il prossimo progetto? C’è qualcosa in particolare che cerchi sempre?
In questo momento mi sto concentrando su progetti le cui protagoniste sono donne, storie che non sono state raccontate e in generale qualunque cosa rappresenti un gruppo non sufficientemente rappresentato sul grande schermo. Ecco, sono presa da questo: storie belle e originali che abbiamo cuore. Prima di “E poi c’è Katherine” non avevo mai visto un personaggio come quello di Emma Thompson. Non esisteva prima. Quello era un personaggio divertente e molto originale. È un insieme di cose. Ma ora sto pensando “ok, forse dovrei fare un film d’azione di qualche saga”. Solo perché alle donne non è permesso dirigere questo tipo di film o non lo è stato per molto tempo. Quindi sarebbe divertente fare uno di quei film che tutti amiamo e che andiamo a vedere al cinema ma che non vengono mai diretti da una donna.
Sia in “E poi c’è Katherine” che in “L’assistente della star” troviamo due donne con carriere leggendarie che sembrano essere in stallo. Cosa ti attrae di più di queste storie e perché e come vuoi raccontarle?
Penso che non si tratti tanto di essere in stallo, piuttosto di essere sottovalutate dalle persone che le circondano. Sono state bloccate dalla paura e dal pensiero comune che dice loro di “andare sul sicuro” – adoro che in entrambi i film le donne corrano grandi rischi e che per questo alla fine vengano ricompensate.
“Adoro che in entrambi i film le donne corrano grandi rischi e che per questo alla fine vengano ricompensate”
A proposito di “E poi c’è Katherine”: si tratta di una commedia ma allo stesso tempo tratta temi profondi che fanno riflettere. Come combini questi due aspetti?
I comici hanno sempre il compito di porre le domande più difficili e scomode. Anche nel Medioevo, i comici erano gli unici a poter far ridere o prendere in giro le autorità proponendo diversi punti di vista nascosti dietro ad una battuta. Se guardiamo alla tremenda situazione politica in America, le persone che hanno il coraggio di affrontarla sono Seth Meyers, Samantha Bee, Stephen Colbert…tutti i comici del Late Night sono quelli che si prendono il rischio di dire “cosa sta succedendo? Guarda, Trump è ridicolo.” Ed è una cosa rischiosa da dire e ricevono minacce di morte, minacce di licenziamenti dalle emittenti, dalle persone, da chiunque non voglia che dicano la verità, ma sono gli unici in questo momento che si assumono il rischio dicendo la verità.
Quindi, per me i comici sono veramente coraggiosi e da sempre quelli più coinvolti politicamente. Ma lo nascondono facendoti ridere. Ed è la cosa divertente dei film: quando fai ridere le persone, puoi veicolare messaggi come sessismo, discriminazione basata sull’età, mancanza di diversità e far sì che le persone pensino a queste cose, ma se ti concentri prima sul farle divertire…le persone si rilassano quando ridono e così tu puoi far passare il tuo messaggio.
Hai una tua routine con gli attori quando cominci le riprese? O cambia in base al progetto?
Cambia ma di solito inizialmente dedico un periodo alle prove, soprattutto con gli attori, così imparano a conoscersi tra di loro. Senza focalizzarmi sulle parole o su quello che devono dire ma facendo una sorta di danza moderna con loro. Ascoltiamo musica tutti insieme cercando di scoprire le emozioni dei personaggi. Come nel documentario “Pina” che mi ha influenzato molto nel fare esercizi di recitazione per portare a galla le emozioni.
“I comici hanno sempre il compito di porre le domande più difficili e scomode. […] Quindi, per me i comici sono veramente coraggiosi e da sempre quelli più coinvolti politicamente”.
Sul cinema in generale, c’è un paese da cui trai ispirazione?
In questo momento penso che ci siano tantissimi film interessanti che vengono dai paesi asiatici. Sono sempre stata influenzata dai film indiani perché sono cresciuta guardandoli. Ma ricordo che quando ero alla scuola di cinema, tutte le incredibili registe femminili provenivano dall’Australia e pensavo “cosa sta succedendo in quella scuola di cinema che ci sono professioniste incredibili come Alison Maclean e Jane Campion?”
Anche l’Inghilterra ha comiche femminili fantastiche in questo momento. Amo anche i film di Andrea Arnold, Lynne Ramsay. Ma poi Phoebe Waller-Bridge ti lascia sempre a bocca aperta… tutte queste incredibili donne comiche inglesi stanno finalmente riuscendo a fare le loro serie, dimostrando quello che già stanno facendo da anni. È davvero emozionante anche tutto ciò che sta accadendo con lo streaming e l’era digitale, il fatto che sempre più persone hanno accesso a tutti quei mezzi con cui possono raggiungere un pubblico più ampio.
Che regista volevi essere quando hai iniziato? È cambiato qualcosa da allora? Dove ti vedi ora?
Ho frequentato la NYU Film School e loro erano molto seri; una regola della scuola era “non aggiungere qualcosa allo schifo che c’è già là fuori. Se pensi di farlo, non disturbarti, fai altro. Se hai qualcosa da dire, prova a farlo in modo originale. Altrimenti non fare un film in questo momento”. Quindi penso che questa sia stata la prima cosa che mi ha influenzata. Non credo avrei girato “Chutney Popcorn” se non fossi andata alla NYU Film School. Non sarei stata incoraggiata a fare un film come quello.
Un libro che ti piacerebbe adattare al grande schermo?
Penso a qualsiasi cosa scritta da Jhumpa Lahiri. Adoro i suoi libri. Ogni volta che li leggo sembrano così cinematografici.
Grande schermo o piccolo schermo? Cosa ti piace di più di entrambi?
Del grande schermo adoro il fatto che stai raccontando una storia che ha un inizio, una metà e una fine. E penso che ci sia quella sensazione molto soddisfacente di aver creato un’esperienza cinematografica: tutti l’hanno vista insieme e se ne sono andati insieme, mentre con la televisione non sai mai davvero quando qualcuno sta guardando o ricevi messaggi diversi tipo “sai, l’ho visto…” Ma nessuno la sta guardando nello stesso momento.
A differenza del cinema, in televisione cerchi sempre di non porre fine alla storia lasciando lo spazio per centinaia di altre storie possibili. Quindi stai esercitando una parte diversa del cervello. Ora poi ci sono tantissimi prodotti televisivi davvero straordinari, puoi collaborare con persone incredibili, far parte di una squadra con esperienze diverse, mentre nel film c’è il regista, il produttore, lo scrittore, etc. In tv realizzi il tuo episodio, qualcosa di speciale che spicchi rispetto al resto ma devi anche adattarti a questo tipo di mondo.
L’esperienza più divertente che ho avuto in tv è quando ho girato “Girls” con Lena Dunham che è anche un’incredibile regista, è stata cosi simpatica solo per avermi detto “sono così felice che sia tu a dirigere, dimmi solo come devo recitare”.
Quindi è davvero bello stare con altri registi che si fidano gli uni degli altri e poter fare qualcosa di artistico e divertente. Credo inoltre che in questo momento tutti sfruttino la televisione per rischiare, per fare cose interessanti e sul filo del rasoio per competere con le altre emittenti mentre per i film non si osa ancora. Quindi è più difficile fare un film “provocatorio”, interessante, rischioso. Ma penso che siano i pro e i contro di entrambi i mondi. Le persone sono spaventate quando fanno un film, mentre in tv sono più della serie “oh che bello, proviamo qualcosa di diverso”. È una spinta ad essere più creativi.
Qual è il tuo film preferito o quello che ti ha fatto innamorare del cinema?
“Donne sull’orlo di una crisi di nervi” di Pedro Almodovar. Quando l’ho visto ho pensato “mio dio, che cos’è? Voglio fare quello”.
“Credo inoltre che in questo momento tutti sfruttino la televisione per rischiare, per fare cose interessanti e sul filo del rasoio per competere con le altre emittenti mentre per i film non si osa ancora”.
Film Italiano preferito, se ne hai uno?
Il mio primo corso di cinema è stato proprio quello sul cinema italiano. Ricordo che ci siamo seduti e abbiamo visto la versione di 16 ore di “Novecento” ed è stato incredibile. Ma credo qualunque cosa in cui ci sia Anna Magnani, solo il fatto di vederla recitare, dava vita a tutto sul grande schermo. Per me ruotava tutto attorno a quelle donne, quelle donne così forti che interpretavano personaggi incredibili. Lo trovavo commovente e qualcosa che si distingueva dal cinema americano dell’epoca in cui le donne non potevano interpretare ruoli del genere.
Hai un momento del giorno preferito in cui girare?
Mi piace molto l’alba. Penso che le persone cerchino sempre l’ora magica ma questa getta sempre tutti nel panico perché sono solo 10 minuti magici in realtà. Ma adoro l’alba: è una di quelle cose rare quando guidi al buio e il sole inizia a sorgere e catturi la prima luce del mattino. Soprattutto a Los Angeles c’è davvero una bellissima luce rosa… probabilmente a causa di tutto l’inquinamento. Come in India la luce è così bella ed è tutto a causa di quel terribile inquinamento…anche l’arancione della luce solare. Penso che sia così perché è vicino all’equatore. È un arancione diverso. Non esiste qui. Ma è davvero un bel colore da sfruttare quando devi girare. E mi piace anche girare in autunno. È un bel periodo dell’anno.
Hai mai avuto un epic fail al lavoro?
Mio dio, così tanti. Un bellissimo fail che poi si è rivelato non esserlo è accaduto con Emma Thompson che penso sia la migliore attrice cui abbia mai lavorato e una delle migliori al mondo. Stavamo girando una scena riprendendola da dietro e lei doveva voltare il viso sopra la spalla. E il direttore della fotografia mi ha detto “se si gira cosí, si vedono le rughe, devo dirglielo?” Quindi è andato da Emma e le fa “Emma scusami, è il mio lavoro quindi te lo dico, se ti giri in questo modo ti si vedono le rughe. Vuoi che ti dica questo tipo di cose?” E lei ha detto “No, non voglio mai che mi si dica come appaio. Mi fa sentire una t**a” e ha detto quella parola! Ma ha anche detto “e poi, viviamo in un mondo in cui pretendiamo che le donne non abbiano segni sul collo quando si girano?” E io ho detto “no, non viviamo in quel mondo”.
E sostanzialmente ha detto che non vuole dare adito al mito della bellezza, allo standard di bellezza che impone che non si debbano avere rughe, segni e che i capelli non diventino mai grigi. Per quello si rifiuta di fare qualunque tipo di chirurgia estetica. È stato un momento incredibile e fin dall’inizio quello che voleva dire è stato “non aggiungiamoci questo problema. Cerchiamo di vivere in un mondo reale. E non ditemi se ho segni o rughe. Perché tutti avremo segni e rughe prima o poi”. Quindi è iniziato come un epic fail ma è diventata una fonte di ispirazione per tutti.
Se potessi girare un solo ultimo film, che genere sarebbe?
Credo che mi piaccia la commedia, ma commedie con cuore. C’è una bellissima storia di mia madre che, assieme alla sua migliore amica, lascia l’India e arriva in Nuova Scozia con i sari, attraversando il paese viaggiando dalla Nuova Scozia fino a Vancouver. Muoio all’idea di raccontare quella storia, sarebbe bellissimo.
Quindi si, credo che farei una “commedia drammatica”.
Photos by Johnny Carrano.
Styling by Venk Modur.
Makeup by Vera Steimberg.
Hair by Andrea Samuels.
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Clothing by The Dollhouse LA and Harleen Kaur.