Nonostante le minime ore di sonno, l’andirivieni in traghetto, e l’umidità lagunare (fattori che a me, personalmente, avrebbero messo KO in tempo zero), Noah Jupe aveva un’aria così fresca e una parlantina così fluida: era trepidante per la giornata che lo aspettava, per la sera della prima.
Approdato a Venezia per presentare “Dreamin’ Wild”, Noah ha ripercorso la sua esperienza sul set del nuovo film di Bill Pohland, il resoconto romanzato della storia dei fratelli Emerson e del loro album Dreamin’ Wild, capolavoro riscoperto solo decenni dopo essere stato inciso.
Una delle cose che mi ha colpito, emersa della nostra chiacchierata mattutina, è il modo in cui Noah riesce ad apprezzare il passare del tempo, le occasioni sprecate, e i momenti di vulnerabilità, con un approccio alla vita che è ben più saggio di quello che potremmo aspettarci da un ragazzo della sua età. Dopotutto, il suo talento è ben più grande di quello che potremmo aspettarci da un giovane attore come lui, o addirittura da un attore di qualsiasi età. Perché non è quasi mai una questione di età, a dirla tutta, si tratta, piuttosto, delle esperienze di vita e dell’educazione avute lungo percorso. Noah vive la sua vita e la sua carriera con il pieno supporto delle persone che lo circondano, il che, come ci siamo detti, è la chiave del successo, ed è stata la chiave del successo dei fratelli Emerson.
Interpretare Donnie Emerson negli anni dell’adolescenza, quelli dei primi esperimenti musicali e della definizione di un’identità, l’ha sicuramente aiutato a riconoscere alcune convinzioni e realizzazioni su sé stesso, come la sua grande passione per la musica anni ‘60,’70 e’80, per cominciare, e la sua “dipendenza” da questa per riuscire a sentirsi al sicuro e felice dovunque si trovi. Sognando il sogno più folle di tutti: dare e ricevere dal mondo solo doni rivoluzionari e grandi conquiste.
“Dreamin’ Wild” racconta una storia illuminante, su come il successo a volte arriva a piccole dosi. È tutto accaduto per davvero, i fratelli Emerson hanno inciso davvero quest’album che è stato scoperto solo decenni dopo. Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura e conosciuto la storia?
Il bello è che, quando ho letto la sceneggiatura per la prima volta, non pensavo di sapere chi fossero Donnie e Joe Emerson, ma poi mentre leggevo mi sono appassionato alla storia, e le loro canzoni, quelle dell’album, venivano sempre menzionate, quindi ho pensato “sai che c’è? Adesso ascolto quest’album”. Quindi, ho fatto partire le canzoni mentre continuavo a leggere la sceneggiatura, e all’improvviso mi sono reso conto che le conoscevo, le ascolto da tutta la vita, semplicemente non avevo collegato!
Mi sono reso conto di quanto bella fosse la loro musica, e hanno iniziato che avevano 16 e 18 anni, il che è incredibile. La sceneggiatura mi piaceva già un sacco, ma poi il fatto che conoscessi anche le loro canzoni mi ha fatto proprio unire tutti i puntini, ed è stato fantastico.
Tu interpreti Donnie Emerson da ragazzo: come hai lavorato al tuo personaggio? Hai avuto l’occasione di conoscere il vero Donnie o qualche altro membro della famiglia? In quel caso, quali sono state le prime domande che gli hai rivolto, o altrimenti, cosa gli avresti chiesto?
Con Donnie, non è stata una questione di domande, quanto piuttosto del tempo che abbiamo trascorso insieme. La prima volta che l’ho conosciuto, sono andato nel suo studio di registrazione e me ne sono stato lì a guardarlo lavorare e suonare, ed è stato molto speciale, è un artista incredibile, quindi guardarlo al lavoro è stata un’occasione unica. In effetti, ho imparato di più guardandolo all’opera e osservando quanto fosse appassionato a quello che faceva, per costruire il mio personaggio, rispetto a quanto abbia imparato dalle domande che gli ho fatto.
Poi, ho conosciuto anche i suoi figli, Chance e Avéa, abbiamo passato parecchio tempo insieme e siamo diventati amici, quindi ho sviluppato un bel rapporto con la famiglia. Comunque guardarlo fare musica è stato davvero fondamentale, un grande stimolo per me.
“Con Donnie, non è stata una questione di domande, quanto piuttosto del tempo che abbiamo trascorso insieme”.
Ti hanno dato consigli su come essere il più autentico possibile nei panni di Donnie?
Mi hanno fatto capire che il segreto era nell’incanalare la passione, la passione per il mio lavoro, la recitazione, e direzionarla verso la musica.
Anche io sono cresciuto con la passione per la musica, sono ossessionato dalla musica, in passato suonavo un paio di strumenti, mi sarebbe piaciuto continuare… Stava tutto, dunque, nel riuscire a provare quel tipo di desiderio e aspirazione puri che provava Donnie a quell’età – è una passione che ti prende tutta la vita e credo che per il mio personaggio, in quella fase, era esattamente quello, una passione che gli occupava tutta la vita, e la sua immaginazione si è scatenata.
In pratica, è la storia di un padre che ha creduto nei suoi due figli, nella loro passione e nel loro talento; questo, insieme, ovviamente, al duro lavoro, è stato il segreto del loro successo. Qual è la chiave del successo secondo te?
Esattamente quello, avere a fianco persone che credono in te.
Io ho la grande fortuna di avere dei genitori che farebbero qualsiasi cosa per me, e che hanno fatto tanti sacrifici per me, proprio come il padre di Donnie. Quindi, il segreto è circondarsi di persone che ti amano per quello che sei, a prescindere da tutto, a prescindere dai tuoi fallimenti o successi, e che ti spronino ad essere la versione migliore di te.
“Il segreto è circondarsi di persone che ti amano per quello che sei, a prescindere da tutto”
Bill Pohland ha pensato ad alcune tecniche o attività per far entrare in sintonia voi del cast, prima di iniziare a girare?
Direi che la cosa più importante, soprattutto per me e Jack [Dylan-Grazer], che interpreta mio fratello, è stata creare un bel legame fra noi due. La produzione ha affittato un teatro e ci ha dato una chitarra e una batteria, e noi passavamo ore e ore in questo teatro a conoscerci, suonare, e già la seconda settimana di prove eravamo migliori amici. È stato bellissimo e immagino si veda, sullo schermo, quanto forte fosse il nostro legame, e anche il legame fra i fratelli era altrettanto forte, avevano un gran bel rapporto.
“Dreamin’ Wild” è la storia di due fratelli con il sogno più folle di tutti (fare rock n’ roll): qual è il tuo sogno più folle?
Adesso? Lanciarmi col paracadute. Mi piacerebbe un sacco provare il paracadutismo, è il desiderio più folle che mi viene in mente.
La musica può essere una passione, un hobby, un’ossessione, una necessità: cosa rappresenta per te? I tuoi gusti musicali sono cambiati dopo questo film?
Sì. In realtà, i miei gusti musicali cambiano ogni giorno, è ridicolo. Ascolto veramente di tutto, chiunque può far partire qualunque musica e io mi metterei ad ascoltare. Soprattutto dopo questo progetto, penso di aver imparato ad apprezzare quanto impegno richiede il fare musica. Immagino che oggi sia più semplice, basta aprire GarageBand e puoi creare una canzone, ma verso fine anni ’70, per esempio, era un processo molto più complicato, e quindi ammiro l’impegno che Donnie e Joe ci hanno messo nell’elaborare ogni singola componente per poi mettere tutto insieme e creare quell’album.
Adesso, quanto ascolto musica, mi ritrovo a pensare a com’è stata fatta molto più di prima.
“Adesso, quanto ascolto musica, mi ritrovo a pensare a com’è stata fatta molto più di prima”.
Quindi, ti sei appassionato alla musica anni ’70?
Direi proprio di sì, alla musica di fine anni ’70 e inizio anni ’80. Sono super fan della musica anni ’80, e in realtà lo ero già prima del film, il che è stato un vantaggio, ma ora ho imparato ad apprezzare di più anche la musica degli anni ’60 e ’70, mi sono appassionato alla musica soul, tipo Etta James, quel genere di canzoni che prima non ascoltavo, e che erano le preferite di Donnie – ho imparato tantissimo dalle nostre conversazioni sulla musica che amava.
In un’intervista che ho visto di recente, Donnie Emerson dice che ha sempre avuto la sensazione che qualcosa di grande sarebbe successa nella sua vita, sin da quando era bambino: hai mai avuto un presentimento simile anche tu?
Mi farebbe stare parecchio male se qualcosa di grande non succedesse nella mia vita e se vivessi una vita fin troppo normale. Se capitasse una cosa simile, sarei molto triste, perché a me piace rischiare, mi piace la pressione, il pericolo, e vorrei tanto che succeda qualcosa di grande. E se non dovesse succedere, sì, ci rimarrei male.
“Dreamin’ Wild” è anche una storia che racconta come le seconde occasioni spesso ti salvano la vita, o quantomeno la migliorano: c’è mai stato un momento, nella tua vita, in cui avresti voluto avere una seconda occasione? E tu alle persone concedi seconde occasioni?
No, non credo che avrei mai voluto avere una seconda occasione in nessun momento della mia vita, almeno finora. Io sono dell’idea che la vita dovrebbe essere vissuta senza aspettarsi seconde occasioni, mai. Tutti i nostri fallimenti sono importanti tanto quanto i nostri successi. Detto ciò, credo che tutti meritino una seconda occasione, a prescindere da chi siano o da quello che hanno fatto.
“Tutti i nostri fallimenti sono importanti tanto quanto i nostri successi”.
Come ci insegna il film, non è mai troppo tardi, soprattutto per il successo e riconoscimento: che rapporto hai tu con il tempo? Sei più uno che vive nel presente o ti capita di sentirti in ansia per il tempo che corre?
Vorrei tanto saper vivere nel presente. Ci provo, mi ci impegno più che posso, ma è molto più difficile di quanto sembri.
Non ho paura del tempo, però: deve correre, altrimenti non potremmo mai essere in grado di apprezzare niente e la vita farebbe schifo.
La tua bio di Instagram dice: “Al momento nei panni di qualcun altro…”. In quali panni ti piacerebbe trovarti prossimamente?
[ride] Ora come ora, in quelli del personaggio che sto interpretando in questi giorni: Temple Franklin, il nipote di Benjamin Franklin. Non avrei voglia di essere nessun altro in questo momento, sono molto immedesimato in quel ruolo.
Qual è stato il tuo più grande atto di ribellione?
Oddio, non ne ho idea… Ne ho fatti troppi e troppo pochi! [ride]
Qual è la tua più grande paura?
La mia paura più grande è probabilmente vivere la mia vita senza che niente di entusiasmante succeda, senza che mi capiti qualcosa di incredibilmente rivoluzionario, che passino i giorni e io mi ritrovi a vivere una vita noiosa. Questo pensiero mi spaventa a morte!
Una canzone o un musicista che non riesci a smettere di ascoltare in questo periodo?
I The Blaze.
Li ascolto in continuazione! La loro canzone “She” al momento è la mia canzone preferita, e poi c’è anche “Territory”, che è un’altra delle mie preferite, e il video di quella canzone è il mio video preferito in assoluto.
Qual è il tuo must-have sul set?
Mia madre! È di grande aiuto [ride]
Un epic fail sul set?
La prima volta che ho suonato la chitarra davanti ad altre persone per questo film. Sai, avevo fatto un sacco di prove prima in camera mia, e anche con Jack, e poi quando dovevo suonare lì sul set, e c’era Joe Emerson che mi guardava, e la troupe e il regista, e io mi sono bloccato, non riuscivo a suonare. Questo dimostra quanto coraggio devi avere per suonare di fronte a tanta gente, perché è un momento in cui sei così vulnerabile. Sono abbastanza sicuro che quello che ho fatto quel giorno era così terribile da non poterlo nemmeno ascoltare [ride].
“Questo dimostra quanto coraggio devi avere per suonare di fronte a tanta gente…”
Qual è stato il tuo ultimo binge-watch?
“The Rehearsal”, che è una docu-serie di HBO con Nathan Fielder. Non riuscivo a smettere di guardarla, è super interessante, l’ho adorata.
Cosa ti fa ridere di più?
Il mio migliore amico, Archie, quando sono con lui, non riesco a smettere di ridere. E poi Jack [Dylan-Grazer], senza dubbio, quel ragazzo è la persona più divertente che conosca, è inutile anche solo provare ad essere seri con lui, finisci sempre a morire dalle risate [ride].