Era una giornata casualmente ventosa a Venezia, quando ho incontrato Paolo Virzì. Il giorno prima aveva piovuto, la prima pioggia della 79esima Mostra del Cinema. Non è un bollettino meteorologico del festival, ma un mini set di coincidenze che ci tenevo a segnalare, per quanto di coincidenze si possa parlare. Perché con Virzì nulla è per caso.
A Venezia per presentare il suo ultimo lungometraggio, “Siccità”, Paolo si conferma un’eccellenza nel panorama italiano di regia e storytelling, con un modo tipicamente suo, tutto apocalittico e tragicomico, di raccontare il collasso di una società. Ambientato in una Roma allo stremo delle sue forze, messa alla prova da crisi idrica e connessi effetti collaterali sugli abitanti, lo scenario è utopico, ma solo per metà: Paolo racconta di come il lockdown lo abbia ispirato a raccontare storie di un’umanità sola e abbandonata a sé stessa, vite che si intrecciano restituendo un’immagine chiara del disorientamento post-pandemia.
“Siccità” fabbrica una catastrofe che non è davvero esplosa, ma che tanti segnali del mondo reale preannunciano come non solo possibile, ma addirittura imminente. Quale sarà il prossimo dramma? Paolo se lo chiede e me lo chiede, provando a immaginare il futuro, della Terra, della società, del cinema. Probabilmente, già fabbricando la prossima storia, magari in formato serie tv.
Il film rappresenta una situazione estrema, al limite del catastrofico, che inevitabilmente ci ricorda quello che abbiamo vissuto negli ultimi due anni e preannuncia un futuro plausibile: da dov’è nata l’idea? È frutto della pandemia e del lockdown?
Nel febbraio-marzo 2021 sono saliti i contagi, il numero dei morti, ci hanno chiusi in casa; io e i miei amici scrittori ci domandavamo: che ne sarà di noi? Faremo ancora film? Come sarà la vita dopo? Che ferite rimarranno di questo periodo? Come si fa a fare il cinema in questo momento? Gli attori torneranno a baciarsi sullo schermo come nei vecchi film?
Avevamo voglia di raccontare questo momento di disorientamento e di paura; allo stesso tempo, però, sentivamo che non ne sapevamo abbastanza, non sapevamo come sarebbe finita, per cui abbiamo cominciato a sognare una visione del dopo. Quindi, abbiamo immaginato Roma che si è lasciata il Covid alle spalle ma è alle prese con nuove paure: l’allarme climatico, idrico, la crisi, la siccità, ma anche l’arrivo di una nuova pandemia. Come grande scenario, un futuro molto prossimo.
Adesso il film sta per uscire, e probabilmente la storia verrà percepita come attuale, forse racconta proprio quello che stiamo vivendo a livello di scenario e contesto sociale [ride]. Ad ogni modo, noi volevamo vedere la storia e i volti sullo schermo, forse anche perché abbiamo passato così tanto tempo isolati. Abbiamo cercato di costruire una fantasia e una metafora di questo momento assurdo che stiamo vivendo, attraverso un mosaico di storie di persone frustrate e sole, diverse tra loro ma che allo stesso tempo, in qualche modo, si intrecciano.
Come mai hai scelto di concentrare la catastrofe idrica solo nella città di Roma? C’è qualcosa che hai notato e che temi in particolare quando pensi al futuro della capitale?
Anche se la storia non è realistica, credo che se mai ci dovesse essere un caso di siccità, Roma ha così tante fonti d’acqua che sarebbe la prima città ad esserne colpita e quella che ne soffrirebbe di più le conseguenze. Ad ogni modo, è improbabile che una catastrofe del genere si verifichi adesso… Magari il prossimo secolo! [ride] Allo stesso tempo, Roma è l’icona di una civiltà millenaria fondata sul trasporto dell’acqua: Roma è la culla della civiltà moderna, e anche delle fontane, a quanto ne so è l’unico posto in Italia in cui le fontane sono sempre aperte! Quindi, è una sorta di simbolo di questo passato antico, glorioso che sta collassando. Al giorno d’oggi, la gente è sperduta, non ha una direzione da seguire, quindi io ho voluto rappresentare non solo il collasso della rete idrica, ma anche il collasso della società, colpita da rabbia, conflitti, e lavori che scompaiono.
Racconto, ovviamente, una storia di fantasia, ma non poi così lontana dalla realtà.
“Una sorta di simbolo di questo passato antico, glorioso che sta collassando”.
L’emergenza climatica e la crisi idrica sono tematiche che ti preoccupano particolarmente?
Certo.
Parlando da cittadino, da padre, da essere umano, credo che sia la questione più importante con cui dobbiamo confrontarci oggi. Con il cambiamento climatico, il riscaldamento globale, la crisi energetica degli ultimi tempi, ci ritroviamo a dover affrontare la possibilità che l’umanità si estingua, quindi è un tema a cui tengo molto. Allo stesso tempo, sono consapevole che affrontarlo attraverso un film non sia sufficiente, ma è un espediente attraverso cui combatto le mie battaglie in veste di cittadino e di elettore. Dall’altro lato, come storyteller e regista, ho voluto esplorare e analizzare ciò che succede dentro le persone, cos’è questa paura, perché le relazioni interpersonali si siano così raffreddate in un mondo in cui le persone non si danno più tanta confidenza, il che probabilmente è la conseguenza di una cicatrice che abbiamo dentro in seguito alla ferita aperta dagli ultimi due anni. Questo è particolarmente evidente nelle generazioni più giovani, ma non solo, se pensiamo a tutte le relazioni amorose che ormai iniziano e proseguono via Whatsapp [ride]. E a pensarci bene, forse, la maggior parte di questi innamorati, quando poi si incontrano di persona, non hanno più niente da dirsi.
Ad ogni modo, forse una minaccia ancora più grande di ciò che abbiamo già vissuto è in arrivo. E non si tratta di una mia supposizione, è quello che ci stanno dicendo gli scienziati, per metterci tutti in guardia su quello che sta succedendo al pianeta.
“Quale sarà la prossima catastrofe?”
È questa la domanda che continuano a farsi. Per il film, ci siamo inventati un disturbo del sonno, ma forse, nella realtà, potrebbe verificarsi qualcosa di addirittura peggiore in futuro. È la voce della scienza, quindi mi sa che ci tocca stare attenti! [ride]
Nella storia, però, l’unico personaggio che sembra essere rimasto “in sé” nonostante tutto, che è riuscito a conservare un atteggiamento positivo, è Martina, la ragazza che soffre la sete e il caldo ma riesce ancora a pensare al ragazzo per cui ha una cotta, alla musica barocca, al padre da consolare, alla madre da condannare per errori di vita quotidiana… Significa che la fiducia la riponi nelle giovani generazioni?
Sai, Martina e Rosa Canina, la pianta di cui Mila cerca di prendersi cura, sono due boccioli, rappresentano qualcosa che ha le potenzialità di sbocciare, e racchiudono il significato della speranza. Martina e Sembene sembrano innamorati, probabilmente si piacciono, ma non ne abbiamo mai la certezza, perché loro stessi non osano considerare concretamente il futuro della loro relazione. Trovo toccante il fatto che i due ragazzi non credano nella possibilità di vivere il loro amore, ma confido che la loro storia possa avere un seguito, prima o poi riusciranno a stare insieme.
Se c’è qualcosa che mi ha colpito, che mi è sembrato emergere dall’officina del racconto, dalla costruzione della storia, è proprio il fatto che in questo puzzle, le storie di solitudini poi si connettano l’una all’altra, e alla fine avviene anche la connessione più assurda e paradossale, quella tra un vecchio commerciante fallito reazionario e un ragazzo africano richiedente asilo, che si dicono cose abbastanza insensate sotto la pioggia, ma sono tutti e due di buon umore, nonostante l’uno avesse puntato il fucile contro l’altro fino ad un attimo prima. Quindi, questo incontro di destini diversi è forse la salvezza, la redenzione. Se c’è.
Questo è un po’ il senso di ciò che stiamo vivendo oggi. In un’era di narrativa politica fondata sul nazionalismo, è tutto assurdo, quello che ci stiamo ritrovando ad affrontare in questi tempi è pura follia. Forse, ciò di cui abbiamo davvero bisogno è un pensiero globale sul nostro futuro.
Purtroppo, io non provo alcun senso di appartenenza per nessuno dei nostri partiti politici. Da giovane, ero una sorta di “attivista” di sinistra, ma ora sono diventato scettico e anche un po’ disperato. Secondo me, un risultato degno di nota può derivare soltanto da un movimento che scuota davvero la coscienza collettiva e consapevolizzi le persone sui reali problemi del mondo e della società, quelli di cui dobbiamo davvero preoccuparci: il riscaldamento globale, i cambiamenti climatici, l’esaurimento delle risorse energetiche, il tipo di civiltà che dovremmo impegnarci a costruire per il nostro futuro.
“Questo incontro di destini diversi è forse la salvezza, la redenzione. Se c’è”.
Prima hai detto che, durante il lockdown, tu e i tuoi colleghi discutevate spesso del futuro del cinema. Che aspetto ha dal tuo punto di vista?
Quello che immagino è che i film vivranno, ci saranno ancora e forse si moltiplicheranno anche. Ciò che, invece, non sembra avere un destino rigoglioso è la possibilità di vedere i film nelle sale cinematografiche.
Per quanto mi riguarda, mi auguro che la gente vedrà il mio film al cinema. Abbiamo lottato per questo, abbiamo deciso di resistere alla tentazione delle piattaforme OTT e proiettare il film sul grande schermo, ed è quello che stiamo facendo. Il 29 settembre il film uscirà nelle sale cinematografiche italiane, ma so bene che si tratta di una sfida e di un rischio. Ad ogni modo, la risposta del pubblico alla première è stata molto buona, e ho notato la differenza, nel senso che per la prima volta nella mia vita non avevo fatto lo screening test con il pubblico alla fine della post-produzione – che è quello che di solito i registi fanno per testare la reazione del pubblico alla prima visione dei loro film, per poi eventualmente cambiarne il montaggio o il finale a seconda della risposta degli spettatori. Per questo film, non è stato possibile, perché non potevano esserci più di tre o quattro persone in una stessa stanza, quindi ciò che è successo alla première mi ha riempito di gioia, perché non ero più abituato, ed è stata la prima volta dopo tanto tempo in cui ho provato l’emozione di proiettare un mio film in una grande sala piena di persone.
Tra l’altro, ho sentito che ha piovuto durante il red carpet. Che coincidenza!
Sì, è stata una simpatica coincidenza! Ma era tutto calcolato, era parte della promozione [ride].
E adesso cosa ti aspetta?
In primavera tornerò sul set per girare una serie tv ambientata nel 1994. Sai, ho resistito a lungo alla tentazione di fare televisione, ma ora voglio dare a quel mondo una possibilità. Mi piace guardare le serie, anche se non sono un binge-watcher; tuttavia, quando guardo una serie, provo sempre un certo senso di insoddisfazione, una sorta di piacere misto a frustrazione che mi pervade alla fine di ogni episodio e che mi impedisce di innamorarmi del prodotto nel modo totalizzante con cui invece mi innamoro dei film. Ad ogni modo, sono curioso di scoprire come andrà a finire con le sale cinematografiche, perché, ad essere sincero, io preferisco fare film.
Photos by Johnny Carrano.