Ora posso finalmente dichiararlo: sono una grande ammiratrice di Rachel Brosnahan, per la sua interpretazione magistrale in e de “La fantastica signora Maisel”, da cui sono stata piacevolmente sconvolta e affascinata, per il suo talento e l’audacia delle sue storie, e per le sue scelte lavorative, così accurate e coraggiose. Proprio come quella del suo personaggio, Rachel, nel film “Dead For a Dollar”, presentato fuori concorso alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia.
Dieci minuti prima della nostra intervista, mi sono sentita trasportata da un vortice di energia positiva, al pensiero che di lì a poco avrei incontrato la sua aura di gentilezza e determinazione. Due minuti dopo averla salutata, quell’energia, che in un certo senso nascondeva una punta di ansia, si è immediatamente trasformata, facendomi sentire semplicemente bene. Con il suo modo dettagliato e appassionato di parlare di film, storie da raccontare, e nuove frontiere del cinema, abbiamo anche discusso di quanto sia importante ricercare piccoli atti di ribellione nella vita quotidiana, e di come ritrovarsi a Venezia per presentare un nuovo film sia una figata pazzesca.
Come stanno andando questi giorni a Venezia?
Una figata pazzesca. Non ero mai stata a Venezia, quindi essere qui per la prima volta, a presentare un film…non so se ci possa essere qualcosa di meglio.
Il tuo personaggio nel film “Dead for a Dollar” potrebbe sembrare diverso dai classici personaggi western, ma in realtà è un personaggio che c’è sempre stato ma che ora ha lo spazio per “esserci davvero”. Qual è stata la tua prima reazione dopo aver letto la sceneggiatura e le prime domande che hai posto a Walter Hill [il regista] su Rachel?
La sceneggiatura mi ha da subito intrigata. Ha una bellissima scrittura, e poi Walter [Hill] è Walter. È una leggenda. Quindi non ci sono state molte domande che ho voluto fargli immediatamente; mi ha chiamata, voleva parlare un po’ del ruolo e a cosa aveva pensato mentre lo scriveva e anche di quali fossero le sue intenzioni per il film.
Ha parlato del fatto di avere una grande passione e rispetto per il genere western, al quale tra l’altro ha contribuito moltissimo, e di voler usare questo film per continuare l’evoluzione stessa del genere, facendo rientrare il film tra i grandi del western, e per fare tutto era necessario creare uno spazio all’interno del genere stesso per personaggi come Rachel, Elijah e Poe che storicamente non venivano inclusi, o rimanevano ai margini della narrazione, sotto-sviluppati o inesplorati.
È stato davvero entusiasmante.
“…creare uno spazio all’interno del genere stesso per personaggi come Rachel”.
La sensazione è proprio che il film abbia aggiunto qualcosa di nuovo al genere.
Come hai costruito il personaggio di Rachel e tutte le sue sfaccettature?
Non mi piace addentrarmi molto nel processo, per non svelare i segreti del mestiere [ride].
Ma mi sono confrontata più volte con Walter sulla sua essenza, su quello che lei vuole, e lui mi ha detto una cosa che ho trovato di forte ispirazione per dare forma a Rachel, ovvero che, anche se abbiamo bisogno di vederla in una relazione con Elijah, non è qualcuno alla ricerca dell’amore, lei è alla ricerca della luce, della verità, e che tutto questo lo sta facendo con coraggio e dignità e un profondo senso dell’onore secondo un proprio codice morale e questo è stato un ottimo punto di partenza.
“Lei è alla ricerca della luce, della verità”
Walter Hill ha detto, “Ogni bella storia finisce con una lacrima”. Qual è l’aspetto del film che ti ha commosso di più?
La fine credo, la promessa di quello che verrà. C’è un’anticipazione di ciò che succederà prima dei titoli finali del film, la promessa di vita per ognuno in seguito all’esperienza che hanno vissuto e condiviso.
Magari mi sbaglio, ma ho l’impressione che voi attori, ogni volta che vi cimentate in un nuovo progetto, imparate qualcosa di nuovo anche su voi stessi. Hai scoperto qualcosa di nuovo su te stessa facendo questo film?
Assolutamente, succede sempre. Il film è unico in questo, è stato una di quelle rare opportunità che ti lasciano sia abilità tangibili che insegnamenti intangibili. Sono diventata una cavallerizza migliore, così come una migliore pianista e pistolera. Credo poi che ci voglia del tempo per assimilare gli insegnamenti; quindi, per ora esito a parlare degli aspetti personali, di ciò che ho imparato attraverso questo film, perché credo di essere ancora in una fase di metabolizzazione.
Certo, credo si tratti di un processo, no?
Si, ti rimane sempre qualcosa quando finisci un film.
I film sono una piattaforma incredibile per dare spazio al dialogo. Hai da poco aperto la tua casa di produzione, Scrap Paper Pictures, su che cosa ti piacerebbe aprire un dialogo?
Ciò che mi piacerebbe fare non è necessariamente aprire un nuovo dialogo, ma contribuire a dialoghi già esistenti riguardanti il come e il perché creiamo arte, mi piacerebbe contribuire al dialogo su che cosa sia possibile fare attraverso l’arte cinematografica. C’è questa idea che il cinema stia morendo, che lo spettacolo stia morendo, e certamente a volte sembra davvero così e dobbiamo batterci perché questo non accada. Ma, allo stesso tempo, proprio come nel Wild West, c’è anche una nuova frontiera, ci sono nuove opportunità per nuovi artisti, per nuove voci nel mondo dello streaming, per esempio, e non credo che uno sia più importante dell’altro, entrambi i modi devono essere protetti, lavorando su entrambi i fronti contemporaneamente. Quindi, credo che con la nostra casa di produzione mi piacerebbe contribuire a questo dialogo su ciò che è possibile e sul raggiungere e aprire nuove frontiere.
Vogliamo anche contribuire al dialogo su cosa significhi spingersi oltre i confini dei generi così come vengono tradizionalmente intesi, e cosa questo significhi, come giochiamo con stile e forma, o ancora che tipo di voci vediamo rappresentate sullo schermo o dietro le quinte.
“Vogliamo anche contribuire al dialogo su cosa significhi spingersi oltre i confini dei generi così come vengono tradizionalmente intesi”.
Non vedo l’ora di scoprire i vostri prossimi progetti.
Abbiamo davvero tanti progetti entusiasmanti in preproduzione, spero di poterne parlare presto.
Solitamente, cosa ti fa dire di “sì” a un progetto?
Collaboratori stimolanti e di talento, che si tratti di altri attori, sceneggiatore o regista o anche i produttori. Un’ottima sceneggiatura con dei personaggi interessanti che siano tridimensionali e complessi. Sembra il minimo, ma si tratta di qualcosa molto più raro di quello che si possa pensare.
Sono sempre alla ricerca di qualcosa che sia nuovo, che voglia aprire – per tornare alla tua domanda – nuovi dialoghi o che ne approfondisca altri, che si tratti del ruolo delle donne, del modo in cui pensiamo agli horror, o discussioni su etnie, classi e generi.
Qual è stato il tuo più grande atto di ribellione?
Spesso sono piccoli, ovviamente ci sono molte persone che ammiro per i loro atti di ribellione così grandi che non potrei mai sentirmi all’altezza. Non so se posso pensare di grandi atti di ribellione, ma a quelli piccoli, dall’alzarsi alla mattina al fare silenziosamente delle scelte che so che avranno una reazione a catena in senso positivo, anche se può sembrare pericoloso o non visto di buon occhio. Penso che spesso i grandi atti di ribellione siano quelli silenziosi.