Raffey Cassidy, uno dei più grandi talenti emergenti nel cinema di oggi, non solo è tra i protagonisti di “The Brutalist”, il film di Brady Corbet ben accolto dalla critica, ma anche una delle voci e delle rappresentanti delle Miu Miu Women’s Tales di quest’anno.
Per la nostra Cover Story di ottobre, Raffey riflette perfettamente ciò che noi di The Italian Rêve vogliamo rappresentare. È un esempio di cosa significa essere innamorati del proprio lavoro e le sue parole sono sempre una grande ispirazione.
Con Raffey, abbiamo parlato della sua lunga relazione con l’iconica Maison e dell’evoluzione della sua carriera dalla sua ultima visita a Venezia, quando l’abbiamo conosciuta e ci siamo innamorati di lei. Circondati dall’atmosfera unica dell’Hotel Danieli, abbiamo parlato di connessioni, conversazioni, e del suo rapporto con la moda e la recitazione nel tempo. Raffey, poi, ci ha raccontato della sua esperienza sul set di “The Brutalist”, diretta dal regista visionario Brady Corbet, e del suo lavoro di connessione con la giovane ebrea-ungherese Zsófia, condividendo il suo pensiero sulla responsabilità di raccontare storie ispirate a fatti reali.
Raffey ci mette una grandissima cura e passione nel suo lavoro sul set e fuori dal set, e noi non vediamo già l’ora di rincontrarla.
Sei già stata a Venezia ospite di Miu Miu. Come sono cambiate le cose per te dalla prima volta, e come ti senti oggi?
Sono stata molto fortunata che, ogni volta in cui sono venuta a Venezia con film diversi, sono sempre stata coinvolta nei progetti di Miu Miu, cosa di cui sono grata, perché Miu Miu Women’s Tales è una piattaforma davvero speciale. Mi piace parlare di cinema e di ciò che sta succedendo nell’industria e le Miu Miu Tales sono un’occasione avere una conversazione approfondita con altre donne, cosa davvero rara.
Miu Miu è stata una costante per me, con la Maison ho un rapporto fondamentale dal punto di vista professionale e privato.
Come dicevi anche tu, è fantastico che grazie a Miu Miu registe e attrici che non si erano mai incontrate prima si trovino: è anche un’occasione di connessione. È davvero bello e una grande ispirazione per chiunque.
Sì, lo è davvero, crei connessioni e fai amicizia, ma non come quando incontri qualcuno a una cena e finisce lì, conosci davvero persone nuove e speri di lavorare con loro in futuro. Credo che questo sia il punto: che le donne si trovino a vicenda nel settore.
“Credo che questo sia il punto: che le donne si trovino a vicenda nel settore”
Il tuo rapporto con la moda è cambiato? E in che modo la moda ti aiuta nella vita di tutti i giorni o anche quando cerchi di immedesimarti in un personaggio per un film?
Assolutamente, il mio approccio alla moda cambia costantemente, non solo nella vita privata ma anche nel lavoro. Credo sia un esperimento divertente cercare di abbinare agli outfit il tema del film, come ha fatto Zendaya per “Challengers”, per esempio. I costumi sono una delle priorità con cui hai a che fare quando arrivi sul set per le prove, perché i vestiti che indossa inspirano ed enfatizzano l’immedesimazione in un personaggio.
Trovi il tuo personaggio attraverso i suoi costumi di scena.
Senza i costumi sarebbe impossibile abbandonare te stesso per interpretare il personaggio.
Ho visto “The Brutalist” e lo trovo straordinario. Com’è stato per te guardarlo per la prima volta?
È stato incredibile. L’ho visto nel modo migliore: a Venezia in 70 mm. È stato spettacolare.
Penso che Brady [Corbet] sia un genio e che Mona [Fastvold] sia straordinaria. “The Brutalist” è un’opera d’arte, un’esperienza cinematografica. Alla fine della prima parte, volevo tornare indietro e riguardarla prima di passare al clou, non ero pronta. È uno di quei film per cui cui ogni volta che lo guardi cogli un significato diverso.
“Un’esperienza cinematografica”
Sì, anche io voglio rivederlo perché di sicuro non ho colto tutto.
Sì, e Brady ha davvero rischiato. Ma penso sia questo il bello del cinema: la necessità di rischiare. Alcuni dei migliori registi hanno iniziato a tutelarsi un po’, perché sanno che il pubblico preferisce vedere quello che li ha resi famosi. Ma è davvero bello quando la gente corre dei rischi, a volte funziona e a volte no, ma c’è bisogno di qualcosa di nuovo nel cinema perché si sta evolvendo con la tecnologia.
Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura e quando hai saputo del progetto?
Ero a una festa a Londra e stavo parlando con Brady e lui si è girato verso Mona e poi ha detto: “Zsófia?”, e io ero tipo, “Cosa intendi?” [ride].
È la persona più tranquilla in assoluto, nel senso che non è per niente pretenzioso quando lavoriamo, è molto rilassato e ci tiene sempre ad includerti, e quella volta mi disse: “Ti manderò la sceneggiatura”. Io ho letto la sceneggiatura più volte, perché non è una sceneggiatura che puoi leggere una volta sola e capire completamente la storia. Gli ho mandato un messaggio immediatamente: “È un sì, grazie” [ride].
Forse sono passati sei o sette anni da quando ho firmato per il progetto, il cast continuava a cambiare e Brady cercava di mettere in piedi questo enorme sogno, e poi quando tutto è diventato reale, il sogno è diventato realtà, dal primo giorno sul set.
“è un sì, grazie”
A proposito del tuo personaggio, mi ha davvero colpito il fatto che Zsófia sia praticamente l’unica nel film a rimanere fedele al cento percento e orgogliosa delle sue radici ebraiche, e ammiro davvero la sua integrità. Come hai affrontato questo personaggio delicato e quanto pensi sia importante l’integrità nella vita e nella storia della società?
Ho lavorato molto sul personaggio, ma non ne ho parlato con nessuno, in realtà. Ho pensato che avrebbe potuto essere totalmente sbagliata la storia che avevo sviluppato per lei o il motivo per cui pensavo fosse “muta”; infatti, ho deciso di tenermelo per me, perché mi sembrava una cosa troppo personale da condividere. Non credo ci sia una spiegazione per quella fase della sua vita, ma penso anche che Zsófia stesse cercando un luogo a cui appartenere e quella era la sua religione.
Hai mai reagito con il silenzio a una situazione che non accettavi?
Non lo so, dipende dalla situazione. A volte sì, è più facile stare zitta, ma con la giusta compagnia mi piace molto parlare o comunicare. Succede così tanto negli occhi di Zsófia che non penso abbia mai veramente bisogno di dire nulla.
Sì, è incredibile. Sei stata fantastica, perché con gli occhi hai detto tutto.
Grazie, è stata una grande fortuna poter fare questo film. Brady aveva scritto così bene il personaggio, tutto aveva senso, io l’ho capita, la sua l’ho interpretata come una sorta di risposta traumatica, anche se definirla così sminuisce quello che succede davvero dentro di lei.
“Succede così tanto negli occhi di Zsófia che non penso abbia mai veramente bisogno di dire nulla”.
Come hai lavorato con Brady per interpretare questo personaggio?
Ne ho parlato molto con Brady, anche se le sue sceneggiature sono così viscerali che i personaggi anche sulla pagina sembrano vivi. Ovviamente lui è anche sempre disposto a lasciare che gli attori sviluppino i personaggi a modo proprio. Ricordo che, per la scena iniziale, io e lui tra una ripresa e l’altra ci mettevamo in disparte e lui mi dava lezioni di storia, spiegandomi: “Questo è ciò che ha vissuto, e queste sono persone reali”. Era una responsabilità enorme raccontare la sua storia, Zsófia non è solo un personaggio e la sua non è una storia di finzione, è storia vera, e una parte davvero dolorosa di essa.
Hai qualche aneddoto speciale dal set?
Il mio primo giorno abbiamo girato la scena della cena, quando Érzebet e Zsófia sono appena arrivate. È stato molto divertente, perché c’era quasi tutto il cast e ci hanno fatto mangiare una torta super secca, che era terribile [ride].
Sai, qualsiasi primo giorno è come il primo giorno di scuola: è orribile; io e Felicity [Jones] siamo arrivate due settimane dopo l’inizio delle riprese, quando tutti si conoscevano già, quindi eravamo un po’ in soggezione, ma in realtà è stato un buon punto di partenza. E quella è probabilmente la mia scena preferita.
Tornando a Miu Miu Women’s Tales, come abbiamo già detto, è una piattaforma straordinaria per iniziare conversazioni su varie tematiche. Di cosa ti piacerebbe iniziare a parlare?
Pensavo l’altro giorno a quanto sarebbe stato incredibile se persone come Marilyn Monroe avessero avuto la possibilità di fare un film. Quale sarebbe stato il loro punto di vista, come sarebbe stato un loro cult di Hollywood? Questo è un argomento su cui mi piacerebbe iniziare una discussione.
Oltre a questo, ho scritto la mia tesi di laurea sulla responsabilità che comporta realizzare un biopic, perché si tratta di raccontare la storia della vita di qualcuno, ed è una responsabilità grande, anche a causa della licenza creativa. Devi tenere conto di quanto margine di libertà hai, e l’ho trovato davvero un argomento affascinante; tra l’altro, tutte le persone con cui ne parlo hanno sempre un’opinione precisa sul tema.
Sì, anche io mi chiedo sempre: “Forse si arrabbieranno?” o “È davvero quello che è successo?”.
Sì, e quando i media ne parlano, ha un tale impatto che noi tendiamo a credere a tutto ciò che ci viene mostrato se ci viene detto che è vero. Penso che sarebbe un argomento davvero interessante.
In generale, cosa ti fa dire sì a un progetto?
Prima di tutto, il regista e poi la sceneggiatura. Queste due cose vanno comunque insieme: devi avere una buona base da cui partire, ma è anche una sensazione: lo sai quando hai letto una buona sceneggiatura. Quando ci metto più di un giorno per finirla, significa che non ne sono entusiasta. Ricordo che quando ho letto la sceneggiatura di “Jojo Rabbit”, il mio primo pensiero è stato: “Questo film sarà straordinario” e così è stato, e quella de “Il sacrificio del cervo sacro” l’ho letta probabilmente in un’ora, e ho detto subito alla mia famiglia, “Devo farle questo film!”. Sai, Yorgos Lanthimos è un vero genio, per esempio, ama rischiare, e mi piace quando le persone corrono dei rischi. A volte non funziona, a volte sì, ma se un regista vuole rischiare, sono più che felice di intraprendere quel viaggio con lui o lei.
“mi piace quando le persone corrono dei rischi”
Interpretando personaggi diversi ogni volta, studiando il personaggio impari qualcosa di te stessa, qualcosa di nuovo ogni volta. Qual è stata l’ultima cosa che hai imparato su te stessa attraverso il tuo lavoro?
Penso che il mio modo di prepare i personaggi sia cambiato nel corso degli anni. Quando ero più piccola, lavoravo sul personaggio, ma imparavo le battute la sera prima e per me era il metodo migliore. Invece, ora che sono cresciuta, mi piace studiare la storia dell’argomento o cercare una musica che si allinei al personaggio, creare i miei mood board per l’aspetto che dovrebbe avere. Ho imparato che ora sono arrivo sul set molto più preparata.
Com’è che si dice? Preparati a fallire o fallisci a prepararti.
Quando ti senti più al sicuro e quando ti senti più sicura di te stessa?
Sui set di Brady Corbet.
Quando sono sui suoi set, mi innamoro del cinema ancora di più. Io amo il cinema profondamente, e lui è un regista molto speciale. Mi sento più al sicuro quando mi fido di chi dirige lo spettacolo, ovvero il regista e le persone che mi circondano, ed è allora che mi sento anche più sicura di me. Interpreto personaggi sempre diversi e mi sento sempre più sicura nei panni del personaggio che nei miei.
Sono curiosa: qual è l’ultima serie TV o film che hai visto e che ti è rimasto dentro, che dopo averlo visto hai continuato a pensarci per giorni?
“Close” di Lukas Dhont. È un film meraviglioso su due ragazzini in cui non succede niente di particolare, ma in realtà succede di tutto, ed è molto triste, perché parla della loro amicizia e di quanto possano essere crudeli i bambini. E la loro amicizia forse è qualcosa di più, o forse no, ma non è quello il punto, loro non ci pensano, ma gli altri bambini li prendono in giro… Non ti racconto altro, ma mi è rimasto nel cuore per tanto tempo.
E qual è stato il tuo più grande atto di coraggio?
Beh, affrontare personaggi difficili mi fa sentire realizzata. Sarebbe più facile interpretare personaggi molto più vicini a me, ma mi piace pensare di accettare una sfida e interpretare i personaggi difficili invece di quelli facili.
Secondo me la tua carriera, il tuo percorso, è davvero riconoscibile, interpreti sempre personaggi straordinari e partecipi a progetti straordinari! Sai, quando vedo un film in cui ci sei tu, penso, “Ovviamente lo sta facendo lei!”, ogni singola volta.
Sono stata molto fortunata con i personaggi che mi sono stati offerti.
“Affrontare personaggi difficili mi fa sentire realizzata”
Ma si tratta anche di fare le scelte giuste, dico bene? E tu lo stai facendo.
Sì, a me piacerebbe fare qualsiasi cosa, ma a volte bisogna essere selettivi, perché se fai qualcosa che ti piace e basta, poi è quello che la gente ti vede fare per tanto tempo e alla fine non riesci a uscire da quel ritmo, sei per sempre quel personaggio. Ma detto ciò, la mia non è una scelta strategica, è che quelli che amo che si rivelano essere sempre buoni personaggi.
Qual è la tua isola felice?
Casa mia, nella verde Inghilterra. O, all’estremo opposto, su un set.
Sono così felice su un set, è la parte migliore del fare un film per me, lo adoro, è un posto molto affascinante. Quando sono sul set, in costume, è quella la mia isola felice, potrei starci per sempre.
Photos&Video by Johnny Carrano.
Hair by Carlos Ferraz.
Makeup by Emma White Turle.
Location: Hotel Danieli.
Thanks to Miu Miu.