Film-evento nelle sale italiane per tre giorni, il 20-21-22 marzo, “Headshot” di Niko Maggi è un film che “racconta l’amicizia, il gioco, la giovinezza e tanto altro”. Queste le parole di uno dei protagonisti della storia, Riccardo De Rinaldis. Nel ruolo di Samuel, la voce della ragione tra i gamer che partecipano al folle death-match ispirato alle atmosfere dei più noti videogiochi, Riccardo ci si è rivisto molto ma, allo stesso tempo, ha avuto modo di mettersi alla prova. Perché è così che si cresce: valicando i propri limiti, uscendo dalla propria zona di comfort e maturando con le proprie forze.
Riflettendo su questa e su molte altre realizzazioni, Riccardo ci ha raccontato dell’esperienza sul set, della sua storia d’amore con il cinema e di tutte le storie d’amore che lo rendono felice: quella con la musica e con il canto, con la fotografia, con gli amici – quelli veri – e con i romanzi che fanno piangere tutti i possibili tipi di lacrime.
Con l’obiettivo di crescere amandosi sempre di più, trovando quello “stato di pace mentale” che si fa necessità e meta sicura.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
La domenica pomeriggio, periodo delle elementari e medie, quando mio padre, dopo avermi portato all’edicola di fianco a casa mia per prendere le figurine dei Pokémon, mi portava al cinema a vedere qualsiasi cosa… Solo che lui non la guardava, si metteva sulla poltroncina di fianco a me e dormiva [ride]. Tra i primissimi film che ricordo precisamente di aver visto c’è “Harry Potter e il Calice di Fuoco”.
Con questo mondo è stato amore a prima vista, oppure te ne sei innamorato per gradi?
È stato un amore sviluppatosi con il tempo.
Mi sono innamorato del mio lavoro il primo giorno di set, ma mi sono innamorato del cinema solo ultimamente. Ora sto scoprendo l’amore che provo nel guardare le cose, lasciandomi andare alle emozioni che la visione di un film o di una serie tv può comunicarmi. Questo lo sto apprezzando molto soprattutto da quando mi sono abbonato a Mubi, che mi sta facendo scoprire il cinema di altri tempi, quello dei film girati con la Kodak, e con tutti i contenuti in lingua originale. Poi io sono un esteta, se non avessi fatto l’attore, avrei fatto l’art director oppure avrei lavorato nella fotografia, quindi immagini, fotografia, colori mi affascinano tantissimo, oltre alla recitazione. Io sono anche molto musicale, quindi sono sensibile alle emozioni che derivano dalla voce giusta, ed è una cosa che mi piace molto e che sto scoprendo ultimamente. Meglio tardi che mai.
“Ora sto scoprendo l’amore che provo nel guardare le cose”
Hai esordito sullo schermo con una delle serie italiane più amate del momento, “Doc – Nelle tue mani”, e ora ti vedremo presto nel film “Headshot” di Niko Maggi. Riflettendoci su, nel primo caso si parla di storie di guarigione e desiderio di vita, nel secondo, invece, si racconta una storia di pericolo e vite minacciate: l’incubo di un videogioco che si fa troppo reale, trasformandosi in una lotta per la sopravvivenza. A proposito di quest’ultima esperienza, qual è stato il tuo primo pensiero quando hai letto la sceneggiatura? E l’obiettivo che ti sei ripromesso di raggiungere?
Il mio primo pensiero è stato: “Che figata!”. In Italia, purtroppo, si vedono pochi progetti del genere, e quei pochi che ci sono vengono visti male dal pubblico italiano, perché tutti ovviamente fanno il confronto con l’internazionalità. Poi, questo film è stato scritto da nerd [ride], ed essendo un po’ nerd anche io di mio, mi sono sentito a casa. La sceneggiatura l’ho letta in due ore e mezza, me la sono “mangiata”. Racconta l’amicizia, il gioco, la giovinezza e tanto altro, quindi la prima cosa che ho provato è stata lo stupore, e ho pensato: “Cavolo, io questo lo voglio fare, lo voglio portare a casa”.
Il mio personaggio è omosessuale e, leggendo la sceneggiatura, quello che ho pensato è stato proprio che per fortuna la sua storia non è stereotipata, non c’è tutta la questione del fare coming-out, per esempio, è già tutto apposto: i genitori lo sanno, lui ha il suo ragazzo, partecipa al gioco perché vuole guadagnare dei soldi da mettere da parte per fare una vacanza con il suo ragazzo. Ciò che volevo comunicare, quindi, ma che in realtà era già scritto nella sceneggiatura, era proprio la naturalezza di una relazione gay, che è amore. Punto. Poi, ovviamente, un altro aspetto che si vuole mettere in evidenza è la paura che ad un certo punto del film tutti cominciano a sentire. La differenza tra gli altri personaggi e il mio personaggio e quello di Alessando Bedetti, l’altro protagonista, è che noi siamo razionali in alcuni momenti. Samuel, il mio personaggio, è proprio la voce della ragione, anche rispetto a Chris [Bedetti], per esempio, che è costantemente nel gioco, lui vuole vincere e basta.
Che tipo di approccio hai adottato per costruire Samuel, il tuo personaggio, per farti strada in un contesto così atipico, ma prospettiva dei pericoli del mondo moderno?
Io e Samuel abbiamo molte cose in comune, e il fatto di essere razionali in alcuni momenti mi è riuscito abbastanza facile. Poi, ho parlato tanto con Niko [Maggi], che infatti mi ha detto: “Non far sì che Samuel prenda possesso di te. Io voglio che Samuel sia tu, perché appena ti ho visto ho pensato di aver finalmente trovato qualcuno che mi racconta più del personaggio, anche soltanto immedesimandosi in lui”.
Una cosa che ho voluto fare sin dal principio è stata costruire un rapporto stretto con Alessandro, perché i nostri personaggi sono pappa e ciccia, sono come fratelli, quindi ho cercato di passare il più tempo possibile con lui per cercare di conoscerlo, di capire come pensa e tutte queste cose per far sì che ci fosse la giusta chimica tra noi in scena.
Tu, con la tecnologia, che rapporto hai? Ci pensi mai al bene e al male che quest’ultima ci fa?
Assolutamente, è un’arma a doppio taglio. Io sono molto addicted, soprattutto a cellulare e social media, però capisco che qualche volta queste cose ci tolgano tempo prezioso che invece potremmo impiegare ad arricchirci. Io per esempio canto, oltre a recitare, ma è da tantissimo tempo che “per mancanza di tempo” non prendo lezioni di canto, e mi dispiace, perché cantare mi ha sempre fatto bene. So che con il tempo mi distaccherò sempre di più, ma al momento la tecnologia mi piace, anche per il solo fatto che essendo un esteta, sul mio feed di Instagram mi piace postare e vedere delle cose belle, a tema viaggi, o moda. Ecco, diciamo che la tecnologia mi piace e non mi piace, dipende molto dal momento, dal giorno, dal mio stato mentale.
“Un’arma a doppio taglio”
Hai scoperto qualcosa di nuovo su te stesso durante quest’esperienza?
Ho scoperto che mi piace fare gli horror [ride].
Poi, una cosa bella di questo film è che molte scene sono piani sequenza, minuti continuativi in cui non c’è mai uno stacco e tu non puoi sbagliarti! Per fortuna però, ho anche scoperto che ho un’ottima memoria e me la cavo con i movimenti.
Quale messaggio vorresti che il film facesse arrivare agli spettatori?
L’importanza di tenersi stretti i propri amici, perché gli amici farebbero qualsiasi cosa per te. I veri amici.
In generale, cosa ti fa dire di sì ad un progetto?
Com’è scritto. Dev’essere qualcosa che io, personalmente, “mangerei”, che deve sembrarmi naturale, devo leggerlo in pochissimo tempo, senza stacchi di racconto troppo evidenti.
Poi, il mio personaggio dev’essere qualcuno che si spinge molto oltre i suoi limiti, e che non dev’essere troppo simile a me, perché poi potrei risultare banale, il personaggio potrebbe risultare banale, oppure la storia. Sceglierei sempre dei personaggi che spingano anche me oltre i miei limiti, che mi mettano alla prova, che mi facciano scoprire cose nuove di me o cose che non avrei mai potuto pensare. Io ho bisogno di mettermi alla prova, e lo faccio, anche da solo, perché in questo modo si cresce. E io, persona non ancora completamente matura, ho bisogno di maturare. Lo sento, è una necessità.
“Io ho bisogno di mettermi alla prova”
Quando crei un personaggio, sei più razionale o istintivo?
Più istintivo, assolutamente, perché la razionalità arriva dopo. Appena approccio un personaggio, non mi faccio neanche la domanda “Che cosa lo muove?”. All’inizio sono empatico e cerco di capire come mai si muove in un certo modo. Solo in seguito razionalizzo, e mi soffermo sul suo passato. La domanda che noi attori dobbiamo sempre farci, per ogni scena, è: il mio personaggio da dove arriva e dove va? Per individuare il filo logico. Quindi l’emotività è il primo elemento con cui approccio i miei personaggi.
La musica e il canto in particolare sono una tua grande passione: su Instagram pubblichi spesso video in cui fai cover spettacolari. Scrivi anche canzoni tue? Che ruolo ha la musica nella tua vita?
Mi piacerebbe tantissimo scrivere cose mie, però sono dell’idea che prima dovrei saper suonare uno strumento. Ora sto imparando a suonare la chitarra, infatti, perché secondo me conoscere la musica è veramente importante, è la base per poter creare, strimpellando, suonando il piano, e poi lo scritto viene dopo. Io comunque scrivo tanti pensieri, e questi pensieri qualche volta forse diventeranno delle canzoni.
La musica per me è tutto, è il 90% delle mie giornate: mi sveglio con la musica, passo l’aspirapolvere con la musica, studio con “frequenze” in sottofondo. Poi, una cosa che mi piace del mio lavoro è che è un po’ simile a ciò che faccio con la musica, ovvero toccare delle note che provocano emozione.
Quindi musica e recitazione vanno di pari passo, per me.
Qual è una canzone che rappresenta questo preciso momento della tua vita?
“Futura” di Lucio Dalla. Per un motivo specifico, che tra un mesetto si scoprirà.
Chi o cosa ti ispira sul lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni?
I miei genitori. Sono la prima cosa che mi è venuta in mente non appena me l’hai chiesto.
I miei genitori perché sono dei grandi lavoratori, hanno fatto grandissimi sacrifici per me, li fanno tutti i giorni, mi danno tantissimo, sono i miei migliori amici, sanno tutto di me. Mio padre, specialmente, non ci ha mai fatto mancare niente, anche nei momenti più difficili, lui ha sempre il sorriso in faccia e l’amore che prova nei nostri confronti è più forte di qualsiasi problema.
Un epic fail sul set.
Una cosa che mi succede qualche volta, e ultimamente mi è successa sul set di “Vivere non è un gioco da ragazzi” di Rolando Ravello, è che nelle scene un po’ eccitate, movimentate, o di pianto isterico, tragiche, dico parole senza senso, bofonchiando cose incomprensibili, scambiando le parole e interrompendo il filo logico dei discorsi [ride]. Rolando, per esempio, mi prendeva in giro un sacco quando mi capitava. Oppure, a volte, preso dall’emozione, le parole proprio non mi escono [ride].
Il tuo must-have sul set.
Il burrocacao, perché ho sempre le labbra screpolatissime!
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Essermi trasferito in un’altra città con le mie sole forze. Crescere è difficilissimo, quindi trasferirmi in un’altra città e maturare da solo penso che sia stata una cosa molto coraggiosa da fare.
Il tuo più grande atto di ribellione?
In realtà, non sono il tipo che si ribella. O meglio, mi arrabbio, ma mi tengo tutto dentro, me la faccio passare, mando giù i rospi. Con i miei genitori, per esempio, non ho mai avuto necessità di ribellarmi, perché abbiamo un rapporto stupendo, come ti dicevo, e poi, finché portavo bei voti a casa e facevo il bravo, potevo fare qualsiasi cosa!
Cosa significa, per te, sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Significa tutto. Significa essere riusciti a trovare un equilibrio mentale e fisico, cosa che io personalmente ancora non ho, ma lo sto cercando da tantissimo tempo. Significa sentirsi belli, sentirsi bene con sé stessi, sentirsi giusti nel proprio corpo, mangiare bene, amarsi di più, arrivare ad uno stato di pace mentale che io sono sicuro troverò. Succederà.
“Sentirsi belli, sentirsi bene con sé stessi, sentirsi giusti nel proprio corpo”
L’ultima cosa o persona che ti ha fatto sorridere?
Un mio amico ultimamente mi ha mandato una foto mia, di me, prendendomi in giro per l’espressione che ho. Mi ha fatto ridere tantissimo, perché è un lato di me che faccio vedere a poche persone, la mia stupidità, il mio essere goofy. E se lo faccio vedere a qualcuno, significa che quel qualcuno per me è importante e speciale.
La tua isola felice?
Un bel libro.
Un libro con una bella storia, che ti muove, una storia d’amore, una storia frizzante, che ti faccia piangere, in tutti i sensi, piangere di felicità, piangere al pensiero che “l’amore esiste”. Un bel libro con una storia d’amore, questa è la mia isola felice. Ora sto leggendo “La statua di sale” di Gore Vidal, mentre il libro che ho letto prima di questo e che mi ha fatto piangere è “Non mentirmi” di Philippe Besson.
Photos by Johnny Carrano.
Grooming and Makeup by Vanessa Vastola.
LOOK 1
Total Look: Antonio Marras
LOOK 2
Cappa: Tiziano Guardini
Pantaloni: Cruna
LOOK 3
Total Look: Antonio Marras