Andare oltre: un confine, l’infinito, il cielo.
Solitamente, questo è un concetto che si affronta in termini metaforici. Antoine de Saint-Exupéry invece, è riuscito nel corso della sua vita in questa incredibile impresa, sia personalmente che attraverso le sue opere, una su tutte, “Il piccolo principe“. Sarebbe riduttivo provare a descrivere la sua opera ed esistenza in poche righe: per approfondire la sua conoscenza, e diventare co-piloti delle sue imprese ed emozioni, vi consigliamo di leggere “Rubare la notte“, l’ultimo romanzo di Romana Petri candidato al Premio Strega 2023.
Nella sua opera, conosciamo uno scrittore che è in primis un uomo, un figlio (tematica, quella dell’affetto materno, importantissima per lui), un pilota, un marito, un amante, un romantico, uno scrittore, un dio: mosso da desiderio e passione, in una perpetua ricerca dell’eterna fanciullezza, Antoine de Saint-Exupéry ha vissuto la sua esistenza con ardore; lo stesso sentimento che ha mosso la penna di Romana nello scrivere questo ritratto così attendibile, pur essendo in bilico tra fonti e fantasia.
Proprio di questo sentimento, abbiamo discusso con Romana in occasione del SalTo 2023: con lei, siamo andati oltre le nuvole e, dall’alto, abbiamo ammirato la personalità di Antoine de Saint-Exupéry, le sue qualità e complessità, l’illusione dell’amare se stessi e il coraggio nel fare solo ciò che è giusto e necessario. Alla ricerca di quella stella che è solo nostra.
Complimenti sia per il libro che per la candidatura. La prima domanda forse è d’obbligo: da dove nasce il desiderio, poi diventato esigenza, di raccontare la vita di Antoine de Saint-Exupéry?
È stato un amore della mia giovinezza che poi si è ripetuto nell’età più matura: due, tre anni fa infatti, me lo sono riletto tutto, dal momento che era uno scrittore di primissima qualità. Ad un certo punto ho pensato: “Ma guarda come se lo sono dimenticato”, e ha scritto delle cose meravigliose! Adesso di lui si sa che ha scritto “Il piccolo principe” e, a volte, in realtà non si sa nemmeno che lo ha scritto lui. Leggendolo e leggendolo tanto di nuovo, in modo proprio appassionato, ad un certo punto ho sentito che avevo ottenuto la possibilità di parlare con la sua voce, quindi ho aperto il computer e in mezz’ora ho scritto la prima lettera alla madre. Questo poi è il filo rosso che farà da conduttore, perché queste lettere scritte da me alla madre sono una specie di auto-confessione, autoanalisi, ricordi… È vero che sono diretta alla madre che lui definisce “il pozzo dell’anima mia”, però diciamo che è una forma di auto-conoscenza che lui fa in questo modo.
Questa narrazione di eterna giovinezza un po’ mi ha richiamato alla mente anche tutto il tema del fanciullo di Leopardi: lei personalmente come vive questa eterna infanzia?
Diciamo che la sua eterna infanzia è una sorta di malattia e che, facendo morire il piccolino ne “Il piccolo principe”, visto che era lui stesso, desse anche un taglio definitivo alla sua infanzia dato che poi un anno dopo muore. Però lui è stato proprio un esaltatore dell’infanzia come momento meraviglioso e che, allo stesso tempo, la rimpiangeva anche quando era bambino. Quindi è andato molto oltre l’infanzia da adulto, perché sentiva che ogni giorno di infanzia che passava era un giorno in meno; era anche una sorta di possesso che lui esercitava sul corpo materno.
E come percepisce questa sensazione di eterna infanzia nella sua vita?
Lui considera il desiderio sempre come il passato del piacere. Quindi, rincorre delle cose, ma se le pregusta e arriva a gustarsele quasi completamente con il pensiero, tanto che poi quando le raggiunge vorrebbe iniziare a desiderare qualcosa altro, e questo è tipico del mondo infantile ma anche dalla visione romantica della vita. È un continuo susseguirsi di desideri, di cose da dover fare, e volerle così tanto perché la fantasia ti permette di godere di una cosa anche se non ce l’hai. Lui era così, un po come era anche uno dei primi romantici.
Come autrice, come ha bilanciato le fonti a sua disposizione con la sua creatività e immaginazione?
Allora io ho ovviamente letto tutto de Saint-Exupéry in modo quasi ossessivo e quello che c’era su di lui come critica, ho letto tutte le biografie che ho trovato, ma la cosa che mi ha influenzato di più sono proprio i suoi romanzi, perché per far crescere la voce dentro di te sono le parole che scrive lui, non quelle che scrivono gli altri. Ho lavorato su tutte le fonti possibili e immaginabili, anche perché non volevo far accadere una cosa tre anni prima, quindi quello mi è servito per mettere date, punti; però poi ci sono tutte le sue sensazioni, pensieri, dialoghi, le sue lettere alla madre, alla moglie, alle amanti, il momento in cui crea “Il piccolo principe”, quella è roba mia, non so se poi sia andata veramente così.
Era un uomo pazzesco, perché poteva essere un uomo che desiderava una donna sensualmente ma poteva anche desiderarla per passarci una notte abbracciato, mangiarci due uova strapazzate insieme, guardare le stelle… Quindi sotto questo profilo era un uomo complesso ma anche completo, perché io credo che per una donna, avere un uomo così è bello no? Perché diventa un amico, un confessore, un amante, un amico…
Però lui amava da lontano, perché fondamentalmente doveva volare, doveva godersi il silenzio del cielo e del deserto, che lui ha sempre trovato molto simili. Allora lui si inghiottiva all’interno di se stesso e quando stava chiuso in questa solitudine totale trovava delle cose che poi ributtava fuori e quelle poi scriveva, perché gli piaceva che fossero cose che era andato a cercare quasi nei suoi visceri.
Parlando di questo, io come penso gran parte del mondo, so che è l’autore de “Il piccolo principe”, “Il pilota”, so che lui era un pilota in primis, ma leggendo il suo romanzo ho scoperto un uomo ricco di sfaccettature e di dettagli da analizzare. Per lei, qual è stato l’aspetto del carattere, della personalità dell’autore più interessante da scoprire o che più l’ha sorpresa?
La capacità di cambiare improvvisamente di umore, la sua imprevedibilità. Lui aveva due caratteristiche che mi piacevano molto: questo cadere in una cupezza tragica, ma poi essere in grado di fare della sua esistenza un inno alla vita, perché comunque era uno che amava la vita, che amava il corpo, la corporalità, il cibo, il bere, le donne e poi poteva cadere in un buio cupo… Non a caso, ho scritto anche un romanzo su Jack London, perché a me piace questa idea che pu, nella grande tristezza, ogni tanto questa vita apprezzala, goditela, a anche semplicemente il fatto di guardare un bellissimo panorama… C’è un bellissimo momento in cui lui e il suo amico Léon Werth invitano due pescatori, uno danese e uno tedesco, a bersi qualcosa sul fiume; con loro, non riescono a comprendersi a livello linguistico, ma mentre sono lì a bere, in questo fiume dorato in questa bella giornata di sole, ad un certo punto tutti e quattro si sorridono e lui dice: “Vedi, le parole non servono a niente, basta il sorriso, ci siamo capiti molto meglio che se avessimo parlato tutti la stessa lingua”.
Questo si collega anche alla mia prossima domanda: c’è una narrazione di quella che è l’amarezza, la tristezza che è intrinseca in tutti noi. Lei personalmente, dove trova rifugio per illuminare la notte?
Sicuramente negli affetti, quando ascolto mio figlio che magari mi racconta un suo problema, e molto con gli animali e con lo sport. Nella gioia quotidiana famigliare, che è figlio, cane e gatto, e nell’amicizia, nella quale credo tantissimo.
“E se io avessi davvero profondamente amato solo il bambino che sono stato? Se avessi scritto quel libro per amarmi ancora un po’?”: in un’epoca, la nostra, dove il dialogo sulla salute mentale si fa fortunatamente sempre più aperto e inclusivo, come pensi che Antonie sarebbe riuscito ad amare sé stesso? Ammesso e concesso, che ci possa riuscire…
L’idea che sarebbe riuscito ad amare se stesso è un illusione. Perché anche se avesse avuto tutto quello che desiderava, avrebbe desiderato qualcos’altro per potersi creare un rovello. Però era molto abile nell’avere una fede tutta sua, legata ad un dio che doveva essere assente e privo di parole, un dio un po giansenista, un dio palpabile e impagabile.
La sua felicità, se proprio ci fosse riuscito, sarebbe stata quella di imitare dio, che si era incarnato per esserci vicino, disincarnandosi per riuscire ad essere un po più simile a Dio e meno uomo.
Parlando di amore, tra amare e lasciarsi amare, Tonio dimostra certamente coraggio, ma ci dimostra anche quanto sia sottile il confine tra sentimento e ossessione. Dove si trova, per Tonio e per lei, il limite tra questi due elementi?
Per fortuna io non ho mai vissuto un amore–ossessione, credo nel trionfo reciproco o niente. Diciamo che lui da uomo, cercava più il suo trionfo, ma era anche molto aperto. Tradiva, ma poteva tradire anche la moglie. Su questo era molto moderno. Si ossessionava solo quando non era corrisposto. Forse per lui era più importante essere amato che amare.
“Non c’è niente di meglio che trovarsi a mille miglia da ogni luogo abitato per farsi venire delle magnifiche idee”. In quale luogo o situazione riesce a dare sfogo liberamente alle sue idee?
Io scrivo da tanti anni a letto, appena mi sveglio, o meglio, dopo aver fatto un’abbondante colazione. Preferisco scrivere quando i sogni della notte, anche quelli che non ricordo e non ricorderò mai, sono ancora lì. Invisibili, ma lì.
Ha detto di aver scritto il romanzo sulla sua vita come fosse la sua. Cosa ha scoperto, di sé stessa, tra le pagine di questo suo ultimo libro?
Ho scoperto cose sue che ho ritrovato in me, come la forza di volontà e la perseveranza. E la capacità di isolamento anche in mezzo agli altri. Ho sempre letto, scritto e studiato anche in mezzo alla confusione. Entravo nella mia capsula protettrice e il mondo restava fuori.
Si celebrano gli 80 anni dalla pubblicazione de “Il piccolo principe”. Qual è l’insegnamento più importante che le ha lasciato l’operato di Antoine de Saint-Exupéry e che trova ancora attuale oggi?
L’idea di portare a termine il proprio compito solo se lo riteniamo giusto e necessario. Questa sua nuova forma di coraggio.
In che modo, per lei, la scrittura rappresenta un veicolo per racchiudere l’infinito, verso il quale Antoine vola, in quello spazio finito che è la pagina?
In questo caso soprattutto la scrittura degli altri. Con la mia creo, con quella degli altri riesco ad andare veramente altrove. Ci sono autori come Flannery O’Connor e Cormac McCarthy con cui è come avere un brevetto di volo.
Il libro sul suo comodino in questo momento.
Se ne alternano parecchi. Ma uno c’è sempre: “Lonesone Dove” di Larry McMurtry.
Di solito domandiamo “qual è la tua isola felice” ma, vista la natura del romanzo, giro la domanda in: oltre quale nuvola si trova il suo posto felice?
Preferisco l’isola, oltre le nuvole c’è troppo freddo e io amo il caldo, i colori forti dei tropici del mio amatissimo Brasile. L’sola è Fernando de Noronha.
Thanks to Mondadori.