Ci sono delle volte in cui non vedi l’ora di conoscere una persona e poi scopri, una volta che l’hai conosciuta, dopo che hai avuto l’opportunità di fare una lunga chiacchierata con lei, che è tutto molto meglio di come te lo immaginavi. Ci sono queste volte, ma non sono poi così tante. A volte alcune persone ti stupiscono, altre ti deludono, altre ancora tirano fuori cose di te che non sapevi nemmeno di avere. Le connessioni che si intrecciano possono essere così tante, e si tratta sempre di connessioni, anche quando ci sono quelle mancate.
E ci sono delle volte, in questo lavoro, in cui non vedi l’ora di conoscere qualcuno: un attore, un’artista, un regista o uno scrittore, vuoi provare a conoscere le sue emozioni dentro l’arte e di perderti un po’, di lasciarti andare. È quello che vorrei che mi succedesse sempre ma, come nella vita in generale, come è giusto che sia, non sempre può succedere.
E questa con Rosalind Eleazar, la nostra Cover di aprile, però è stata una di quelle volte in cui un’ora passa veloce, in cui non si parla solo di personaggi da interpretare o di progetti (anche se i suoi sono difficili da dimenticare, vedi “Slow Horses”), ma si parla di vita, di solitudine, del bisogno di ricaricarsi, del bisogno e della voglia di essere travolti da un po’ di autenticità, dell’empatia, del sentirsi liberi, di quella libertà che è inebriante e che è molto difficile da trovare e bellissima da guardare.
Con Rosalind abbiamo parlato non solo di “Slow Horses” (di cui ha appena finito di girare la sesta stagione), ma anche del suo ultimo progetto come protagonista, la serie Netflix “Missing You” e di come sia necessario non giudicare per fare bene il proprio lavoro e, a volte, anche di quanto sia importante non prendersi sul serio.
E mangiare un buon piatto di pasta al pomodoro.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema? C’è stato un momento in cui ti sei innamorata del cinema e della televisione?
Sai, all’inizio non ero affatto innamorata di cinema e televisione, più che altro ciò che mi interessava erano gli esseri umani. Ero una bambina abbastanza timida e silenziosa, trascorrevo molto tempo a osservare le persone, a chiedermi perché facevano ciò che facevano, i movimenti del corpo e cosa raccontavano di loro, le parole che usavano. Penso che questo sia il motivo per cui sono entrata nel mondo del cinema – pensavo che avrei potuto essere altrettanto felice come psicologa, ad esempio. Ora, ovviamente, amo il cinema e la tv, e ancora di più i documentari.


Voi attori avete bisogno di essere sempre empatici, secondo me, perché dovete indossare i panni di qualcun altro senza giudicarlo. È difficile per te?
Per me, è la cosa più importante. Ho interpretato molti personaggi nella mia vita con cui è impossibile simpatizzare. Personaggi tosti, che hanno fatto molte cose brutte nella vita, e ciò che conta di più per un attore è non giudicarli. Non interpreti qualcuno che in sceneggiatura risulta “cattivo” come cattivo; devi impegnarti per capire perché quei personaggi lì sono arrivati a quel punto. Questo rende le performance interessanti. Un esempio banale: se il tuo personaggio è una stronza, non puoi semplicemente interpretare qualcuno che è una stronza, devi chiederti perché questa donna affronta il mondo a pugni stretti, perché tratta male gli altri, perché non è felice. Adoro questo processo perché è infinito: nelle sceneggiature, non leggi mai i retroscena del personaggio, quindi lo crei tu, a meno che il film o la serie non siano tratti da un libro, ma anche allora la tua immaginazione è viva, e ti fa interrogare sulla vita e sui problemi annessi. Tante volte i personaggi che ho interpretato mi hanno insegnato qualcosa su me stessa e su quello che faccio, e mi hanno fatto domandare, “Perché lo faccio?”.
È terapeutico.


Sì, ti capisco, per me film e serie tv sono fondamentali, guardarli è catartico, e non riesco nemmeno a immaginare quanto devono essere catartici per te, che ci metti dentro le tue emozioni e il tuo corpo.
Sì, è così appagante, a volte ti ci perdi anche dentro, perché la verità che questo lavoro lo porti con te sempre: lo sogni di notte, il personaggio ti accompagna perfino al supermercato, non riesci a lasciarlo andare. È fantastico.

E qual è l’ultima cosa che hai scoperto su te stessa grazie al tuo lavoro?
Ottima domanda. Ho interpretato alcuni personaggi incredibilmente liberi, che dicono quello che pensano, e non necessariamente in senso negativo. Ho interpretato anche personaggi teneri e dolci, presenti a loro stessi, che non pensano troppo al significato delle cose. Attraverso loro, credo di aver capito che io invece non sono una persona libera – posso sentirmi libera quando recito, ma non sono libera in quanto Rosalind. A volte penso di essere ancora alla ricerca di cosa significa essere completamente liberi nel proprio corpo, e liberi di professare la propria verità senza preoccuparsi di cosa gli altri penseranno. La maggior parte dei personaggi che ho interpretato mi ha dato questo senso di libertà e la recitazione è diventato uno spazio che mi fa sentire incredibilmente viva. La libertà non fa ancora pienamente parte del mio mondo, ma secondo me non puoi svegliarti un giorno e dire, “Ora sono libera”, è un processo molto lungo, ma mi chiedo se questi personaggi che interpreto non mi stiano lentamente insegnando come liberarmi da qualcosa. Mi piace questa citazione di Bob Marley, che in realtà era di Marcus Garvey prima di lui:
“Emancipati dalla schiavitù mentale. Nessuno può liberare le nostre menti tranne noi stessi”.
Sento che in qualche modo questo è il mio percorso.


“Credo di aver capito che io invece non sono una persona libera – posso sentirmi libera quando recito”

La nostra mente a volte può essere una gabbia. Molte volte mi sento imprigionata dalla mia stessa mente. È ovviamente un’opinione personale, ma penso che nel tipo di società in cui viviamo non sia così facile essere liberi.
Sì e io, quando vedo persone libere, come alcune che conosco, lo trovo così affascinante, è fantastico guardare qualcuno che è semplicemente sé stesso senza scuse.


Sì, a volte mi capita di guardare queste persone e resto senza parole, mi chiedo, “Come si fa?”
Sì! Potrebbe essere genetica, potrebbe dipendere anche da come sei stato cresciuto, se sei cresciuto con genitori o in una società che non ti hanno mai detto cosa fare o come essere. Una mia amica ha delle figlie che sono così vivaci, piene di vita, e mi ha raccontato che sta facendo uno sforzo enorme per non dirgli mai cose come, “Smettila, fai questo, fai quello”, ma lasciare che siano “selvagge”, che scoprano il mondo da sole e siano fiduciose mentre crescono nelle giovani donne che diventeranno. È interessante.


Parlando di “Slow Horses”, è una delle mie serie preferite di sempre: amo i dark thriller e “Slow Horses” in particolare, con il suo black humor. E Louisa penso sia uno dei personaggi che cambia di più durante la serie: com’è stato affrontare questo ruolo e il suo arco narrativo nel corso degli anni? Questo tipo di sfida è stato un aspetto importante del lavoro?
Sì, decisamente. Abbiamo ottimi materiali di partenza, i libri, quindi quando ho ricevuto la sceneggiatura, l’ho trovata molto intelligente, arguta, ma restava fondamentale per me trovare l’umanità nel personaggio. Non volevo interpretare solo uno stereotipo. I personaggi di questa serie, infatti, potrebbero facilmente cadere nello stereotipo, ma non succede mai. L’arco narrativo di Louisa con Min, e come lui l’ha influenzata, era qualcosa che mi interessava molto, così come il tema del trauma irrisolto e le persone che ci lottano contro. Sai, oggi, ci viene insegnata l’importanza della psicoterapia, e molti di noi vanno dallo psicoterapeuta e in generale siamo molto più aperti rispetto alla generazione dei nostri genitori.
Ciò che trovo particolarmente triste dell’umanità è che alcune persone sopprimono il loro dolore – quando nascondi il dolore, questo non sparisce, ma si trasforma, assumendo una forma diversa. Per quanto riguarda Louisa, il lutto è qualcosa di orribile da processare, quindi lei sta diventando più selvaggia ed estrema nelle sue azioni, e non le piace essere aiutata: ogni volta che qualcuno cerca di aiutarla, come River che a un certo punto prova a parlarle dei suoi problemi, lei non ne vuole sapere e taglia tutti fuori, perché non è ancora pronta. Questo è un lato del suo carattere che ho trovato molto impegnativo da gestire: Louisa è una persona molto chiusa. Il rischio è che il personaggio risulti “noioso” e anche vuoto, ma il mio obiettivo era interpretare qualcuno che sta iniziando a sentirsi intorpidito – le cose non la colpiscono più perché si è chiusa così tanto.
Nella quinta stagione, si vede in che direzione va la sua storia, e nella sesta la riusciamo a comprendere in modo molto più ampio.
Non avevo mai recitato in una serie che si svolge nell’arco di sei anni, ed è un lavoro molto diverso perché, senza accorgermene, io sono cresciuta come Rosalind e, parallelamente, come Louisa: sono una persona diversa rispetto a sei anni fa, quindi Louisa, solo per il fatto che sono io che la interpreto, sarà una persona diversa, anche se un arco narrativo del personaggio non fosse scritto.
È interessante come la sua relazione con Min l’abbia cambiata – è diventata più divertente e libera. Ora che ha questa specie di relazione con River, è in realtà ancora più aperta perché Min ha sbloccato un po’ di follia e una certa leggerezza in lei, quindi quando è con River può giocare molto di più rispetto a quanto non facesse con Min, ed è molto più a suo agio con River di quanto non lo sia mai stata con Min.

“Quando nascondi il dolore, questo non sparisce, ma si trasforma, assumendo una forma diversa”

Essere “imperfetti” è uno dei temi della serie, in un certo senso, e sembra quasi essere un superpotere alla fine. Qual è il “difetto” che ti ha ispirato di più nell’interpretare Louisa?
Direi il fatto che, già prima di Min, si era chiusa alla possibilità della felicità o dell’amore. È così depressa, stranamente, perché non è che pianga tutto il tempo, ma ha questa depressione di sottofondo. Non è un difetto, ma penso che la sua natura chiusa sia la cosa che ho trovato più interessante da esplorare. Si è rinchiusa in una gabbia e non permette a nessuno di entrare nella sua sfera, perché la verità è che ha molta paura di essere ferita.


Penso che la forza della serie, oltre alle persone coinvolte e alla scrittura (che è tutto), sia il fatto che ci mostra qualcosa di diverso rispetto ai film alla James Bond, qualcosa di più realistico, dove i personaggi non cercano affatto di essere simpatici. Qual è per te l’aspetto più interessante delle dinamiche tra i personaggi?
Nessuno di loro ha mai cercato di essere “simpatico”, e quindi la cosa affascinante di questa serie secondo me è: “Cosa succede quando hai cinque personaggi a cui non importa nulla di quello che pensano gli altri?”. Ci sono alcune battute divertenti, ma la comicità, quando hai personaggi così schietti, risiede nei conflitti che si creano tra di loro.
Stavo recitando una scena con Jack [Lowden] oggi, e ad un certo punto ci stavamo punzecchiando in modo davvero divertente, saremmo potuti andare avanti all’infinito, ma alla fine siamo scoppiati a ridere, perché non riuscivamo più a sostenere quel botta e risposta [ride]. Tutti i personaggi sono in una situazione in cui non gli importa molto della vita perché sono tutti feriti per ragioni diverse. Sai quando hai pianto davvero tanto e dopo ti senti incredibilmente in pace col mondo? Allo stesso modo, poiché ne hanno tutti passate tante, hanno il vantaggio di “fregarsene”, il che penso sia in parte il motivo per cui il pubblico li trova personaggi fantastici. Sono tutti tormentati, non hanno niente da perdere, si trovano, quindi, in una posizione abbastanza potente.


Penso che la forza della serie, oltre alle persone coinvolte e alla scrittura (che è tutto), sia il fatto che ci mostra qualcosa di diverso rispetto ai film alla James Bond, qualcosa di più realistico, dove i personaggi non cercano affatto di essere simpatici. Qual è per te l’aspetto più interessante delle dinamiche tra i personaggi?
Nessuno di loro ha mai cercato di essere “simpatico”, e quindi la cosa affascinante di questa serie secondo me è: “Cosa succede quando hai cinque personaggi a cui non importa nulla di quello che pensano gli altri?”. Ci sono alcune battute divertenti, ma la comicità, quando hai personaggi così schietti, risiede nei conflitti che si creano tra di loro.
Stavo recitando una scena con Jack [Lowden] oggi, e ad un certo punto ci stavamo punzecchiando in modo davvero divertente, saremmo potuti andare avanti all’infinito, ma alla fine siamo scoppiati a ridere, perché non riuscivamo più a sostenere quel botta e risposta [ride].
Tutti i personaggi sono in una situazione in cui non gli importa molto della vita perché sono tutti feriti per ragioni diverse.
Sai quando hai pianto davvero tanto e dopo ti senti incredibilmente in pace col mondo? Allo stesso modo, poiché ne hanno tutti passate tante, hanno il vantaggio di “fregarsene”, il che penso sia in parte il motivo per cui il pubblico li trova personaggi fantastici. Sono tutti tormentati, non hanno niente da perdere, si trovano, quindi, in una posizione abbastanza potente.

“Sai quando hai pianto davvero tanto e dopo ti senti incredibilmente in pace col mondo?”

Parliamo anche di “Missing You”: mi è piaciuta molto! La serie è un continuo colpo di scena, e parla di moltissime cose diverse, ma soprattutto parla di verità, perdono e del peso di portare un segreto. Ho parlato anche con la tua co-protagonista Mary Malone e abbiamo discusso di come a volte ci si sente soli quando si deve mantenere un segreto. Qual è il tuo rapporto con la solitudine? Provi mai il bisogno di stare da sola? La solitudine è qualcosa che cerchi o qualcosa da cui tendi a stare lontana?
Cerco la solitudine molto spesso, ho davvero bisogno dei miei spazi, è sempre stato così.
Durante un’intervista che ho fatto con The Guardian mi hanno chiesto, “Con chi vorresti scusarti?”, e io ho menzionato un’amica di quando avevo 18 o 19 anni con cui ho rotto i ponti perché sono “sparita” all’improvviso; non aveva nulla a che fare con lei, ma era semplicemente il modo in cui mi comportavo all’epoca. Ero troppo giovane per capire perché lo facevo, semplicemente smettevo di rispondere ai messaggi ed ero un’amica di merda, e ovviamente anche lei era troppo giovane per capire perché lo facevo; in realtà, lo faccio ancora, anche se adesso so gestirla meglio, e i miei amici sanno che Rosalind a un certo punto sparirà per un po’.
La mia però è una ricerca di solitudine che non necessariamente deriva da una profonda tristezza: mi aiuta a ricaricarmi, stare da sola per un po’. Conosci l’espressione “introverso-estroverso“? A volte posso essere davvero estroversa con le persone e poi esaurire le batterie e aver bisogno di recuperare.


Sì, capisco. Io un tempo mi sentivo in colpa per il mio desiderio di stare lontana dalle persone, per il fatto che amo così tanto stare da sola e ricaricarmi, come hai detto anche tu. Ora, crescendo, non sento più di dover chiedere scusa a nessuno. So che devo “funzionare bene” per essere una brava amica, una brava moglie, una brava figlia!
Sì, sai, il problema è quella pressione che sentiamo di dover essere molte cose diverse per persone diverse.


Tornando alla serie: si parla anche di protezione, sentirsi protetti e proteggere gli altri. Tu quando ti senti al sicuro?
Mi sento al sicuro quando sono con il mio partner.
Il mondo del cinema e della televisione è folle, pieno di spazzatura, e facilmente ti travolge con i premi, gli abiti, i regali che promette. Ma io quando torno a casa, nel luogo che io e lui abbiamo creato insieme, mi sento così calma e nient’altro conta. È bello avere qualcuno che ti mantiene umile e con i piedi per terra.

Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura di “Missing You”?
Ho letto il primo episodio e ho pensato, “Cosa diavolo succede?”.
Dovevo sapere, quindi ho ordinato il libro su Kindle e l’ho letto in due giorni e alla fine mi sono detta, “Cavolo, sono molte cose che accadono a una sola persona in un periodo di tempo molto breve”. Pensavo che sarebbe stata una sfida, l’intreccio è molto fitto. Trovare l’equilibrio giusto per interpretare un essere umano credibile pur portando avanti la trama e i quesiti implicati è molto difficile perché se tu, spettatore, non provi qualcosa per i personaggi, la trama ti travolgerà solo fino a un certo punto. Ho imparato molto da questo. Era il mio primo ruolo da protagonista, il che significa che sei in ogni scena, e puoi sentire la responsabilità.


Hai fatto un lavoro fantastico, il tuo personaggio trasmette così tanto e quando ho guardato le puntate, ho provato tutte le sue emozioni come se fossero mie, e non era facile dato che accade costantemente qualcosa!
Sì, vero, è un continuo! Una delle prime cose su cui mi sono interrogata era come funzionasse la sua instancabilità – probabilmente avrebbe avuto un crollo mentale a un certo punto [ride]. Nella serie, le succedono un sacco di cose, quindi ho capito che se davvero assorbisse ogni rivelazione, non riuscirebbe a reggersi in piedi perché è troppo per un essere umano. Il mio personaggio indossa una specie di scudo per cui le cose le scivolano addosso e solo alla fine prova qualcosa in modo davvero “intenso”. È una sopravvissuta, ma non si comporta da vittima.
Senza spoiler, penso che l’ultima scena sia molto bella e commovente, e mi ha fatto chiedere: “È possibile un perdono a quel livello”?
Sì. Ho fatto fatica in quell’ultima scena, con quell’ultimo movimento della mano, se sai a cosa mi riferisco. Ero arrabbiata perché nel mio mondo non esiste che possa accadere così rapidamente. Ma era scritto in sceneggiatura e il modo in cui ho cercato di dargli senso era pensare a quando qualcuno ti fa qualcosa di davvero brutto e tu quasi cerchi di proteggerlo piuttosto, e una settimana dopo ti chiedi, “Ma perché diavolo l’ho fatto sentire meglio?”. Quindi, immaginavo che se quella scena fosse continuata, Kat sarebbe uscita da quella situazione pensando, “No, no, no, devo andarmene”.
Effettivamente è una situazione abbastanza complicata, perché in un certo senso capisci bene perché è successo, ma dal punto di vista di Kat, sai, è “suo padre”, quindi come si può superare una cosa del genere? La persona che ami ha portato via l’altra persona che ami, e non penso che tu possa mai passarci sopra. Ogni volta che lo guardi, è un ricordo del motivo per cui mio padre non è più qui.

“È una sopravvissuta, ma non si comporta da vittima”
Dal momento che “Missing You” è stato così apprezzato e l’ho guardato in un pomeriggio, qual è stato il tuo ultimo binge-watch?
Di recente ho guardato molte cose. Ma “Black Doves” di Netflix forse è stata l’ultima, l’ho divorato. Tuttavia, il mio genere preferito sono i documentari, come ti dicevo prima, e ho appena guardato “Daughters” su Netflix, che è uno dei documentari più strazianti che abbia mai visto. Anche “The Remarkable Life of Ibelin”, sul mondo dei videogiochi, che è super commovente.

E cosa ti fa ridere di più?
Io rido sempre. Rido in continuazione. Tutto mi fa ridere. Mi faccio ridere perché non prendo la vita sul serio.
Non le capisco le persone che si prendono troppo sul serio. È un dono ridere di te stesso, no? Adoro quando le persone mi prendono in giro per qualcosa, per come sono. Jack oggi mi stava prendendo in giro per il modo in cui recitavo, perché diceva, “Per te è come se fosse tutto vero, Rosalind”. Stava scherzando ovviamente, ma non riuscivo a smettere di ridere perché è vero. A volte prendo la mia recitazione molto sul serio, ma allo stesso tempo vedo il lato divertente della maggior parte delle cose. E ho un senso dell’umorismo molto dark e sarcastico.
E cosa ti infastidisce di più?
Non è necessariamente ciò che mi infastidisce, ma ciò che mi ferisce di più è la mancanza di volontà da chi si trova ai poli opposti di uno spettro o da chi ha opinioni contrastanti, quindi la gente che non vuole neanche provare a capire il punto di vista dell’altra persona.
E che la prima reazione sia solitamente di difesa. Sai, le persone che per prime dicono, “Perché non posso più usare questa parola?”: la loro frustrazione non la comprendo. Non vedo cosa ci sia di male nel nostro tentativo di non offendere una minoranza semplicemente eliminando dall’uso corrente una parola. Le sfumature si perdono così spesso, ma le cose non sono mai bianche o nere, sono sempre grigie. Questo mi rende davvero infelice perché, su scala inferiore, è quello che sta succedendo su una scala molto più grande. È come il caso di Twitter: Twitter è l’emblema dello spazio in cui non c’è dialogo, è un punto fermo, una dichiarazione, non c’è posto per nessuna conversazione. Il problema dei social media è proprio che non consentono una conversazione. Nella vita reale puoi sentire il tono della voce di qualcuno se ci parli di persona, quindi è diverso da quando scrivi qualcosa che può sembrare aggressiva anche quando non lo è; oggi, però, per le persone le conversazioni sono per lo più una perdita di tempo. Se andiamo avanti così, non faremo che lanciarci solo insulti a vicenda. Non vado più su Twitter perché è un posto schifoso, è uno spazio così orribile dove le persone possono sfogare i loro problemi personali senza paura delle conseguenze. I social come questo stanno indirizzando la società, secondo me, in una direzione piuttosto brutta.
“Per le persone le conversazioni sono per lo più una perdita di tempo”

È interessante, la penso come te. Penso che la mancanza di conversazioni sia ciò che ci sta portando alla deriva. Se pensiamo a WhatsApp, ad esempio, lì mandiamo messaggi vocali e non chiamiamo più, il che penso sia un segno che non vogliamo avere conversazioni o almeno non risposte immediate.
E cosa succederà ai bambini che crescono oggi? Come si sentiranno, come interagiranno con un altro essere umano? Si sentiranno a disagio perché hanno imparato a comunicare solo attraverso un telefono? Per esempio, oggi, sul set, Jack era nella stanza accanto a me, e gli stavo scrivendo un messaggio, mentre sarei potuta tranquillamente entrare nella sua stanza e avere una bella conversazione, ma invece scrivevo messaggi. Mi preoccupa cosa significhi tutto questo per il futuro della società. I social sono un non-luogo piuttosto spaventoso, eppure un non-luogo di guarigione perché è vitale per l’umanità. Secondo me le parole sono conforto, scambio di energie, ma oggi la bellezza dei rapporti si è persa, è diventato tutto sterile e freddo.
Le persone sono diventate fredde.

Questo mi fa pensare anche al perché faccio questo lavoro, perché faccio quello che faccio. Quando ho deciso di fondare The Italian Rêve con Johnny, era perché sentivo una mancanza di desiderio di connessione o umanità in quello che leggevo sui magazine. Io volevo connettermi con le persone, parlare di salute mentale e cose che potessero essere importanti per qualcuno, e volevo farlo anche attraverso il cinema e l’arte. Per me la conversazione è tutto, così com’è importante mettersi in gioco. Questa chiacchierata con te oggi è stata illuminante, per esempio, ci penserò molto nei prossimi giorni, e ogni volta che la rileggerò mi insegnerà qualcosa di nuovo, un pezzo tuo del mondo che non conoscevo.
Sono d’accordo con te, quest’ora è volata, vero? Ma anche il modo in cui mi hai fatto le domande che volevi farmi, la tua energia è potentissima. Non mi apro mai così con le altre persone che mi intervistano, perché la maggior parte delle volte si capisce che il loro obiettivo è ben diverso dal tuo, che è creare una connessione genuina manifestando un interesse genuino per l’umanità e per la vita e il suo significato. Con altri, invece, intuisci che stanno solo cercando di ottenere qualcosa di particolare, e quindi la conversazione si chiude abbastanza rapidamente. In quest’ora, abbiamo percorso insieme una strada, ed è stata una conversazione illuminante grazie a quello che hai creato, che è un qualcosa di olistico, significativo e autentico, che penso ci manchi oggi.
Grazie mille, mi commuove quello che dici.
Ultima domanda, cos’è per te casa?
Penso che sia qualcosa di simile al mio posto sicuro. Sai, il mio compagno sa fare un’ottima pasta al pomodoro.
Voglio dire, altrimenti che senso ha stare con un italiano? [ride]. Quando mi sento giù, triste, lui mi dice, “Vuoi una pasta al pomodoro?”. Basta pochissimo, lui prepara la pasta e la mangiamo insieme, e poi guardiamo qualcosa in tv, e in quel momento io mi sento a casa: con del buon cibo fatto con amore da lui. È in momenti come quello che pensi “Oh, questa è la vita”. Bastano pochi e semplici gesti. Ci sono così tante cose che diamo per scontate, ma ciò che conta davvero sono le cose più semplici. Ci perdiamo nel mondo di Instagram, ma non c’è niente come una buona pasta al pomodoro nel mondo reale.
Poi, i pomodori in Inghilterra fanno schifo, non sono come quelli italiani, quindi la pasta al pomodoro del mio compagno è ancora più buona perché la fa con i pomodori inglesi.
Oh beh, allora è un genio.
Sì [ride].

Photos & Video by Johnny Carrano.
Makeup by Alexis Day using Weleda and Merit Beauty.
Hair by Sky Cripps-Jackson.
Styling by Rachel Davis.
Thanks to Telescope Agency.
LOOK 1
Dress, Underwear and Stockings: Agent Provocateur
LOOK 2
Twinset: Oneteri
Tights: Swedish Stockings
Shoes: Daniel
Earrings: Sonia Petroff
LOOK 3
Top: Lily Phellera
Knickers: Wilford
Tights: Swedish Stockings
Earrings: Sif Jacobs and Sonia Petroff
LOOK 4
Dress: Shrimps
Underwear: Agent Provocateur
Earrings: Sonia Petroff
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