Una storia, un paese, una cultura ancora tutta da scoprire (e riscoprire): quando pensiamo al Giappone, pensiamo proprio ad uno scrigno ricco di tesori capace di emozionarci ancora e ancora di più, nonostante la sua cultura sia editorialmente sottovalutata, soprattutto per certi aspetti e pilastri della storia e società ancora poco o per nulla esplorati nelle pubblicazioni in lingua occidentale. Tra questi rientrano, il design e il colore, la cui concezione in Giappone è completamente diversa rispetto a quella occidentale, così come lo è la sensibilità giapponese verso gli stessi.
In “IRO – L’essenza del colore nel design giapponese” si parla proprio di questo: di design, produzione artigianale e del colore tradizionale in terra nipponica. Noi abbiamo intervistato Rossella Menegazzo, professoressa associata di Storia dell’arte dell’Asia Orientale presso l’Università degli studi di Milano e autrice di un volume fitto di informazioni sui colori tradizionali del Giappone e il loro valore simbolico, ponte tra storia, cultura, design, moda, natura e spiritualismo.
Ma può ancora una cultura riuscire a connettersi con la natura, quando la società si fa sempre più sterile?
In un libro che racconta una cultura in cui il non detto e l’intangibile valgono più di mille parole, l’autrice sceglie di rappresentare le due facce della medaglia giapponese: assenza e abbondanza, in cultura così come in natura.
Dopo essere stata co-autrice di “WA-L’essenza del design giapponese”, cosa ti ha spinta a voler approfondire il legame tra design e colore sempre nella cultura nipponica con questo ultimo libro?
L’idea di sviluppare ulteriormente la ricerca sul design attraverso il colore è stata partorita insieme ai colleghi della redazione di Phaidon, perché la concezione e la sensibilità verso il colore in Giappone sono completamente diverse da quelle occidentali in generale, nascono e si sono sviluppate in un ambito culturale che nulla a che fare con i nostri valori, e questi sono aspetti ancora poco o per nulla esplorati nelle pubblicazioni in lingua occidentale che hanno una forte ricaduta sulla produzione di design e artigianato.
Come si è svolto il processo di scrittura? Quali fonti e ispirazioni ti sono state più utili?
È un volume con testi sintetici ma densi di informazioni che spaziano dall’ambito del design e della produzione artigianale da una parte – designer/artigiani, prodotti, materiali -, a quello del colore tradizionale dall’altra – la storia ed evoluzione di ciascun colore, la traduzione letterale dei nomi che rimanda alla genesi e all’immaginario di ciascun colore, eccetera. La ricerca è stata vastissima e si basa su tutta la bibliografia esistente in lingua giapponese sul tema dei colori tradizionali, oltre che su una vastissima ricerca iconografica per la scelta dei prodotti da proporre per ciascun colore. Grande fonte di ispirazione per me è stato il maestro Yoshioka, tintore tessile e studioso del colore di Kyoto purtroppo mancato nel 2019 mentre questo volume nasceva.
I colori tradizionali del Giappone sono intrisi di valore simbolico che collegano storia, cultura, design, moda, natura e spiritualismo: in che modo questo rapporto così ricco e simbolico si è sviluppato nel tempo? E come differisce ai giorni nostri?
È una domanda a cui il libro risponde, impossibile a dirsi in poche parole. Ho scritto nel mio saggio introduttivo che cercare di spiegare e ingabbiare i colori tradizionali giapponesi in definizioni è come andare a caccia di fantasmi…Perché nella cultura giapponese vale di più il non detto di ciò che si dice, e questo vale anche per il colore che offre sempre un’idea di colore, indefinita, che lascia spazio all’interpretazione personale. Tanti sono ispirati dalla natura, ma nel tempo sono mutati perché ciascuna epoca ha un’esperienza diversa della natura e quindi anche del colore, da cui nascono le mode…
È molto interessante la volontà di rappresentare, attraverso questo volume, le due anime culturali del Giappone, assenza ed abbondanza: come vorresti che i lettori assimilassero questi due concetti?
È un doppio binario, una doppia anima che il Giappone offre all’esperienza personale, ma è anche una divisione semplificata ovviamente di una realtà ben più complessa. Certo che se guardiamo a come la cultura giapponese ci ha affascinato e continua ad affascinarci possiamo leggere da una parte prodotti che presentano caratteristiche legate alla semplicità, alla monocromia, all’essenzialità, dall’altra prodotti che sono la policromia, l’abbondanza talvolta fino a rasentare il kitch. Il design giapponese segue più generalmente la linea della monocromia e della semplicità delle forme, la produzione artigianale soprattutto tessile deriva dall’esperienza del colore.
Sicuramente la natura fa da protagonista nel tuo libro, anche in termini di preparazione delle tinture (penso ad esempio alle varie sfumature del rosso): pensi che sia ancora possibile “sentire” il contatto con la natura in una società, come quella odierna, così intensa e veloce?
Il Giappone è un Paese controverso per quanto concerne l’esperienza della natura. Poesia, letteratura, arte, colori nascono da una sensibilità profonda verso i mutamenti della natura che addirittura dettano le leggi del vestire in certe epoche; d’altra parte il Giappone odierno cementifica e abbatte anche piante secolari o simboliche a favore di una urbanizzazione che segue l’economia. Credo che le generazioni più giovani abbiano perso tanto del sapere legato alla tradizione e quindi al tramandare significati e usanze, così come è limitatissimo il contatto con la natura anche nel tempo libero. Però mi piace guardare a quei giovani designer/artigiani/artisti che lavorano trasversalmente, a cavallo di tutte le categorie, riprendendo tecniche e materiali classici per trasformarli in prodotti più adatti all’oggi in piccoli laboratori.
“Nella cultura giapponese vale di più il non detto di ciò che si dice, e questo vale anche per il colore che offre sempre un’idea di colore, indefinita, che lascia spazio all’interpretazione personale”.
Quale aneddoto, scoperto durante la tua ricerca, inerente all’ispirazione del colore nel design giapponese è stato più interessante e inaspettato da scoprire?
Direi che il nome di ciascun colore mi ha aperto porte fantastiche verso la natura, le piante, le pietre, il piumaggio degli uccelli, ma anche le mode del tempo, dal teatro alla cerimonia del tè, e tanti modi di dire… Spero sia un aspetto godibile anche dai lettori! Per quello nella traduzione dei nomi dei colori ho cercato di mantenere il significato fedele dei caratteri cinesi che li compongono.
Se dovessi scegliere, qual è il colore e l’oggetto di design che più rappresenta il Giappone?
Tutte le sfumature del blu indaco “ai”, da quelli più intensi definiti con il carattere “kon” ai tanti blu “hanada”, fino a quel blu leggero “kamenozoki” che come dice il nome è il risultato di una tintura che ha visto il blu nel fondo della tinozza solo col binocolo!
Se potessi associare un colore alle tue ispirazioni letterarie e artistiche, quali combinazioni nascerebbero?
Il nero dell’inchiostro “sumi” che contiene tutti i colori della natura nelle infinite gradazioni di grigi.
Il libro sul tuo comodino in questo momento?
“Le bugie del mare” di Kaho Nashiki
Quale soggetto non ancora raccontato in un libro sogni di raccontare tu?
Di soggetti non raccontati ce ne sono pochi, spero di dire qualcosa di nuovo su qualcosa di già detto! Sul colore non ho ancora esaurito le parole…
Thanks to Ippocampo Edizioni.