Attrice di teatro e cinema, doppiatrice e cantante: in altre parole, un talento poliedrico incredibile.
In altre parole, un’artista, una donna incredibile.
Sarah Falanga si racconta e ci racconta della sua carriera, degli insegnamenti appresi da maestri come Andrea Camilleri, Vittorio Gassman e Dario Fo’, dell’importanza dell’umiltà, della diversità e del fare la differenza, uno dei tanti motivi che, tra gli altri, l’ha portata ad abbracciare la missione dell’Associazione Amici per il Centrafrica. Dopo “L’Amica Geniale” e “Gomorra”, l’attrice è ora impegnata a teatro con l’adattamento di “Mine Vaganti” di Ferzan Ozpetek. E il futuro invece? Il futuro di Sarah è ricco di creatività. E di concreta speranza, per se stessa, e per gli altri.
Attrice di teatro e cinema, doppiatrice e cantante: come sono nate queste passioni e come sei riuscita a combinarle nel tempo?
La mia passione per le forme d’arte nasce da molto lontano, ossia dall’educazione al “bello” ed alla cultura che ho ricevuto sin da piccola. A soli tre anni sono stata spettatrice di “La Traviata” in scena al San Carlo di Napoli. In quell’occasione mia madre sospettava una mia insofferenza alla messa in scena, essendo “troppo impegnativa per una bambina piccola”. Con sommo stupore di tutti, invece, assistetti a tutto lo spettacolo, e piansi solo durante i ringraziamenti della compagnia. Alla domanda che mi fu rivolta: “E ora perché piangi?”, risposi inaspettatamente: “Un’altra volta!” Volevo rivedere lo spettacolo di quell’opera meravigliosa, colorata, riascoltare la musica che mi consentì di sognare! Da quell’esperienza volli collezionarne tante altre: concerti, mostre di pittura, spettacoli teatrali, visite a musei…Non mi sono più liberata dalla “dipendenza” che ho dall’arte!
Nel corso degli anni, la scuola ha alimentato la mia passione e la mia curiosità per il teatro: era quello il luogo dove mi sentivo libera. Era il mio gioco preferito! Successivamente ho scelto di studiare all’Accademia d’Arte Drammatica e nel mentre ho sentito la necessità di studiare altro, di perfezionarmi. Tutt’ora continuo lo studio all’Actor Studio (sede distaccata di Roma) quando non sono impegnata da contratti o in progetti lavorativi.
Il canto, poi, si è rivelato la LIBERTA’ assoluta dell’anima. E dire che non avrei mai scommesso su di me: sono una persona molto timida ed insicura. Non ho scelto io il teatro, è il teatro che ha scelto me.
Il cinema è la grande opportunità, la musica la grande libertà, il teatro la grande magia.
Il doppiaggio è un’esperienza singolare, divertente ed al contempo stressante, mi affascina molto. Sono riuscita (non sempre!) a conciliare tutti questi lavori studiando tanto e sempre… talvolta ho dovuto scegliere, rinunciare, dando priorità non ai progetti più “importanti”, ma a quelli che mi davano più gioia. È così da sempre, soprattutto ora.
Hai avuto l’occasione di formarti con maestri come Andrea Camilleri, Vittorio Gassman e Dario Fo’: qual è il più grande insegnamento ricevuto nel tempo?
Sicuramente il CORAGGIO. Il coraggio di studiare, di mettersi in discussione, di osare, di non mollare mai, di non aver paura delle difficoltà!
E qual è invece quello che ti sentiresti di dare ai giovani che vogliono entrare nel settore?
Studiare sempre, non accontentarsi mai… L’UMILTÀ, ma quella vera, quella data dalla consapevolezza, dall’attenzione e dall’intelligenza. Non piegarsi mai, non lasciarsi sporcare l’animo, non scendere a compromessi. Camminare a testa alta, essendo fieri di quel poco che con le proprie capacità si riesce a conquistare, dare sempre il massimo. Il valore più importante? La dignità.
Cosa preferisci del teatro e cosa invece del cinema/televisione?
Del teatro la sfida diretta e continua con sé stessi e con il pubblico, il flusso di energia, lo scambio insito nel “momento teatrale”. Amo del cinema la verità, l’introspezione, le micro intenzioni… il sentimento profondo che un attore deve ricercare per creare sintonia con il pubblico.
Sei curatrice della direzione artistica dell’Accademia Magna Graecia: quale messaggio vorresti condividere con le persone per avvicinarle al mondo del teatro?
Semplicemente: il teatro nasce con l’uomo ed è la culla dell’essere. Senza il teatro non sarebbe nato alcunché e nulla sarebbe stato trasmesso…
Quale donna del passato o del presente ti piacerebbe interpretare prima o poi?
Alcuni obiettivi sono stati raggiunti: ho avuto l’onore di interpretare Medea e Filumena Marturano. Ho portato in scena uno spettacolo dedicato ad Anna Magnani ed uno a Mia Martini, grandi soddisfazioni per il mio animo ma, a mio parere, ancora incompiuti. Il mio obiettivo è perfezionare sempre più questi studi. Vorrei, in futuro, lavorare ad un gran film d’autore… Sperimentarmi in un ruolo fortemente interiore, sottile. Da piccola volevo essere Elisabeth…chissà! Non li vivo come traguardi, ma come studi continui e profondamente complessi. Sono personaggi che sento infiniti, in continua elaborazione.
“Non piegarsi mai, non lasciarsi sporcare l’animo, non scendere a compromessi”.
“Il teatro nasce con l’uomo ed è la culla dell’essere”.
“Gomorra” e “L’Amica Geniale”, cosa ti ha colpita maggiormente di queste due esperienze?
Sono due esperienze artistiche completamente diverse, ma entrambe significative per la mia crescita. Quelle che le accomuna nel mio sentimento è il fatto di essere riuscita a partecipare a due progetti che vivono “di Napoli”, di una Napoli diversa e vissuta da personaggi completamente diversi, in momenti storici diversi.
Com’è stato lavorare con Saverio Costanzo?
È stata un’esperienza inaspettatamente totalizzante, meravigliosa! Saverio è un regista attento, delicato, intuitivo, curioso e rispettoso della creatività dell’attore con il quale si interfaccia. Il suo lavoro è fatto di sfumature sottilissime, di una grande delicatezza e di eleganza.
Avevi già letto la saga de “L’Amica Geniale”? E come ti sei preparata per interpretare Maria Carracci?
Si avevo già letto la saga e, naturalmente, l’ho riletta per studiarla. Maria Carracci mi sembrava un personaggio lontano da me, poi, anche con l’aiuto dello studio del trucco, del parrucco, dei costumi, ho cominciato a guardarla nel mio specchio.
Nel cercare il personaggio, ha fatto capolino nella mia memoria emotiva, l’educazione che avevano tentato di trasmettermi le donne che mi hanno formata. Da quei modelli, io ho ereditato molti aspetti ma in loro c’era l’abilità di saper/dover tacere, la dignità, la moralità e la costrizione in certi schemi, il nascondere le decisioni pur attuandole e la severità. Credo che in Maria Carracci ci sia molto dell’essere di mia nonna e di mia zia.
Ci puoi invece raccontare dell’esperienza in “Mine Vaganti”: qual è stata l’importanza nell’adattare a teatro un film di tale risonanza?
Per me, “Mine Vaganti” è stata la sorpresa più grande che mi è stata riservata dal mio lavoro. Ho intuito che Ferzan volesse festeggiare il decimo compleanno del film Mine Vaganti a stretto contatto con il pubblico. Lo spettacolo era molto atteso, è stato accolto con entusiasmo in ogni piazza in cui è stato presentato. Ferzan, a parte le fortunatissime regie dell’opera lirica de “La Traviata” e di “Madama Butterfly”, si è cimentato per la prima volta nel riadattamento teatrale di un suo film. Per Ozpetek ogni segno, ogni silenzio, ogni sfumatura, ogni volto, rappresenta la vita. È un vero artista dell’anima. Durante la tournée è stata una sorpresa per noi attori constatare che chi aveva visto la performance teatrale, inaspettatamente, l’aveva trovata ancor più gradevole del film. A teatro il pubblico gode sicuramente di un contatto molto più diretto con i personaggi e con gli attori. Ferzan, tra l’altro, ha scelto di fare un lavoro di regia capace di andare oltre lo spazio scenico. Ha impiegato le sue energie in una formula speciale di meta-teatro, dando una nuova luce alla storia ed assegnando un ruolo protagonista allo stesso pubblico.
In “Mine Vaganti” interpreti Zia Luciana, come ti sei avvicinata al personaggio e in che modo lo hai reso “tuo”?
Non pensavo di poter essere Zia Luciana, devo dire la verità. Non mi vedevo e non capivo come mai Ferzan avesse visto in me questo personaggio. Nel mio percorso artistico che nasce dall’Accademia d’Arte Drammatica Nazionale, dallo studio con Camilleri, con Vittorio Gassman, dalle mie radici artistiche, che trovano origine nel teatro greco e poi nel musical, non avevo mai affrontato un personaggio come Luciana e soprattutto non lo avevo mai lavorato in presenza del suo padre ideatore. Non vedevo in me la sensualità, la parte fisica del personaggio, che rappresenta una donna molto bella e piacente, che non accetta il fatto di invecchiare e cerca di mantenersi giovane. Questo connotato è fondamentale nell’analisi del personaggio, poiché chi non vuole invecchiare evidentemente non ha vissuto a pieno, non ha avuto il coraggio di sperimentarsi, di rischiare, di sbagliare…di maturare!
È una donna che non cresce, poiché ha diversi debiti con se stessa.
Se vogliamo dirla tutta, io non mi sono mai piaciuta fisicamente, sono sempre stata ipercritica verso quello che io sono fisicamente. Non avevo mai pensato di essere una donna che poteva piacere a tal punto da vestire in un certo modo, mi sono sempre un po’ nascosta. Ferzan ha invece visto in me un certo tipo di bellezza, la sensualità che è propria di zia Luciana. È stato come sempre “veggente” (io credo sia questa una delle sue grandi doti) perché fondamentalmente io sono un po’ zia Luciana, ma non lo sapevo, non ci avevo mai pensato…Lui mi ha insegnato a scoprirlo ed a sciogliere anche diversi nodi del mio essere! Sono nata in una famiglia tendenzialmente governata da donne del sud, che mi ha educata in una maniera abbastanza rigida, per cui “certe cose” non si possono dire e non si possono fare. Anche Luciana è vittima di quell’educazione perbenista ed eccessiva, che non può lasciar spazio ad una mente “diversa”, che obbliga ad una maschera, che ha paura della critica, della crisi, che non si mette in discussione, che non può sperimentarsi e che perciò non cresce.
Uno dei suoi vizi è l’alcool: forse è un elemento di liberazione dalla gabbia entro la quale è costretta, dalla quale non sa liberarsi! Non è un’eroina, diversamente da Antonio e Tommaso, i suoi due nipoti, che ad un certo punto, eroicamente, si dichiarano per quello che vogliono realmente essere. “Mine Vaganti” non parla soltanto di omosessualità, ma della giusta ed ambita libertà dell’essere, condizione riconoscibile in ogni essere umano! È questa libertà che Luciana, ahimè, non raggiunge mai. Non vede bene, perché non vuole vedere dove potrebbe “andare”, che cosa “potrebbe” fare, come dovrebbe evolvere. Ha paura! È sospesa, come in un limbo, nell’attesa di una decisione, del coraggio di una scelta. Non vede, non parla, sente a metà. Sente soltanto quello che vuole sentire, fissa il vuoto, ossia l’infinito, che la affascina.
Come è nata invece la tua “amicizia” con l’Associazione Amici per il Centrafrica?
Ho sempre fatto volontariato nella mia vita. Ma questa Associazione è arrivata a me in un momento molto particolare, ossia quando mi è stata negata la presenza dell’uomo che mi ha dato la vita. Io ero a Lecce con Ferzan Ozpetek…a mezzogiorno è mancato mio padre e la sera stessa sono andata in scena rispettando il mio impegno professionale. Ho creduto che lui mi volesse lì, che non dovessi allontanarmi dal palco. Tre giorni dopo a Cremona, ho incontrato l’Associazione e ho imparato a conoscerla dalle parole e dall’entusiasmo di Carola, che come volontaria si occupa della comunicazione e dell’ufficio stampa, e dal racconto dell’operato concreto della Onlus esposto sullo stesso palco dal Presidente di Amici per il Centrafrica. Questa Onlus è unica nel suo essere poiché è paragonabile ad una famiglia di volontari e tutti noi che ne facciamo parte abbiamo un obiettivo comune. Ci aiutiamo tra noi e facciamo rete. C’è uno scambio emotivo e professionale. Inoltre si può realmente andare in missione a Bangui in Repubblica Centrafricana e vedere con i propri occhi ed essere parte di storie di madri e bambini. Fare parte di questo, mi ha fatto stare bene. Sto facendo un qualcosa per la vita. Ci sono figli che sono nati e sono figli della vita. Abbiamo una responsabilità verso di loro. Anche inconsapevolmente abbiamo deturpato le loro ricchezze. Abbiamo il dovere di dare loro quello che abbiamo, la penso così.
Quali sono i progetti futuri, inerenti anche all’Associazione Amici per il Centrafrica?
Nell’immediato stiamo progettando la realizzazione di un evento esclusivo che avrà luogo all’interno del Parco Archeologico di Paestum, sede operativa dell’Accademia Magna Graecia, di cui ho il privilegio di essere la direzione artistica dal 2006. L’evento, in programma per il prossimo 9 settembre, andrà in scena con lo spettacolo “Medeae…da Euripide in poi”, e sarà preposto ad una raccolta fondi a favore dell’Associazione Amici per il Centrafrica. Un gesto concreto per dare speranza al popolo centrafricano.