Parigi di per sé è una culla di creatività che nei secoli ha dato prova della sua bellezza e delle sue potenzialità. In un ambiente simile, non possono che trovare sfogo spazi artistici capaci di mettere in risalto le capacità di brand, designer e artisti: è il caso ad esempio di 3RdEye Showroom, un concept showroom il cui lavoro si concentra su designer che, come filosofia di base, adottano innovazione e fantasia.
Aperto sia al mercato europeo che asiatico, 3RdEye Showroom racchiude in sé molte sinergie diverse che in uno spazio unico trovano libero sfogo: in questo “atelier di ispirazioni”, abbiamo avuto l’occasione di conoscere Simone Botte, designer di Cesena che nel 2010 ha lanciato il brand Simon Cracker.
Durante la Paris Fashion Week, ci siamo ritrovati a parlare della sua ultima collezione ispirata ai luoghi dove è cresciuto, sulla situazione dell’industria della moda contemporanea e su cosa rappresenti la creatività per lui, sempre tenendo a mente le proprie origini e l’importanza dei valori tramandati in famiglia che, a differenza delle tendenza, sono immortali.
Come è nata la tua passione per il design e come è nato Simon Cracker?
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La passione per il design è nata quando ero piccolissimo perché andavo spesso a casa di questa sarta che faceva abiti da sposa. Non ero interessato a nulla di tutto ciò ma la osservavo e mi affascinava il fatto che partisse tutto da un rotolo di stoffa. Poi ho studiato e fatto uno stage come grafico e non mi è piaciuto per niente (ride).
Ho cominciato a lavorare come grafico dei tessuti presso un’industria di moda abbastanza famosa e facevo sia textile design che grafico del colore, e li mi si è accesa la passione vedendo i bozzetti, le collezioni e i prototipi. Ho iniziato con dei piccoli accessori fatti con dei materiali presi dal ferramenta o dai fallimenti.
All’inizio pensavano fosse del materiale anomalo, erano anche tempi diversi, parliamo del 2006. Non creavo accessori per venderli ma per farli, semplicemente: poi hanno iniziato a notarli perchè li regalavo alle mie amiche e alcuni negozi li tenevano in stock. Infine, sono partito con questa linea artigianale. Nel 2010 dopo essere tornato da Londra, dove ho collaborato anche con la Central Saint Martins, ho detto: “Adesso facciamo le cose fatte bene e fisso un obiettivo per capire cosa fare”, ecco come è nato Simon Cracker.
“Mi affascinava il fatto che partisse tutto da un rotolo di stoffa”.
Abbiamo letto che segui e curi ogni aspetto delle tue sfilate, anche la musica e i video…
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Perchè spesso non riesco a trovare musiche o tracce che rappresentino quello che voglio. Per me l’immaginario è oltre, sento di dovermi esprimere attraverso i vestiti. Mio nonno e mia mamma dipingono, io invece sentivo di dover fare questa cosa, non riuscivo ad avere quel vomito creativo che avevano loro perché voglio vedere le mie cose in movimento, non mi accontento di colorare una tela e lasciarla lì, voglio che sia vissuta.
Mi piace tanto poi vedere come le persone interpretano gli abiti, anche quando vedo gli editoriali in cui stravolgono completamente il mood io impazzisco, perché la creatività non si ferma mai. Non considero le mie creazioni delle tendenze, non seguo le linee del momento ma quello che viene da dentro, anche perchè odio il fast fashion.
Il tuo stile potrebbe essere definito “Artistic Streetwear”: come spiegheresti questa combinazione?
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Lo streetwear me lo hanno attribuito tutti e lo sento vero anche io perché sono legatissimo alla strada, da dove arrivano la maggior parte delle mie ispirazioni. A me interessano molto le persone; anni fa ad esempio per una collezione resort mi ero fissato con una signora che vedevo sempre nello stesso punto, vicino alla stazione di Garibaldi, e mi ero immaginato delle grandi storie su di lei che poi ho sfogato nella mia collezione: poteva essere una super religiosa piuttosto che una dell’Est. Mi sono fatto ispirare da questa musa, sono questo tipo di misteri che mettono in moto la mia immaginazione. Poi lascio sempre l’incognita in quello che faccio perché mi diverte tantissimo.
“Voglio vedere le mie cose in movimento, non mi accontento di colorare una tela e lasciarla lì, voglio che sia vissuta”.
“La creatività non si ferma mai”.
Cosa puoi dirci della tua nuova collezione?
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Sono rimasto sulla parte graffiti che mi porto da qualche tempo e ho fuso l’ambiente della piccola realtà di provincia (essendo ispirato da quartiere dove sono cresciuto, Ponte Abbadesse) con quello della grande città, un incontro tra ragazzo di campagna e di città in altre parole. Mi piace lo sbalzo tra le tradizioni, che sono le cose fatte bene della provincia, e la città, dove tutto corre veloce e la moda si brucia in due giorni. Volevo trasmettere questo attraverso dei capi classici.
Sei molto attento anche all’aspetto sostenibile: quale cambiamento speri di vedere in quest’industria?
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Molti ne parlano perché è una tendenza ormai, io invece lo faccio perché me lo hanno insegnato. Una delle prime collezioni l’ho dedicata a mio nonno che riciclava qualsiasi cosa. Proietto i valori che mi hanno insegnato su ciò che faccio e lui ad esempio non buttava via niente: accumulava talmente tante cose da riempire un garage, a me invece piace fare pulizia (ride). Mi esalta molto riutilizzare le cose, se una non ha funzionato in un modo diamole una nuova vita o un’altra funzione, perché potrebbe rivelarsi vincente. Così facendo poi le cose assorbono nuove energie, diventano più forti.
“Mi esalta molto riutilizzare le cose, se una non ha funzionato in un modo diamole una nuova vita o un’altra funzione, perché potrebbe rivelarsi vincente. Così facendo poi le cose assorbono nuove energie, diventano più forti”.
Come definiresti la moda?
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Non amo la moda e neanche il termine (ride), mi sento lontano da quello che accade intorno a me e dalle tendenze, conosco bene il mio obiettivo e rimango stabile sulle mie idee. Rappresentano il mio sfogo: sono una persona molto calma ed è l’unico modo che conosco per protestare contro qualcosa che non mi va bene. E’ il mio pianto, perchè non so piangere: un’emozione, che sia bella o brutta, non riesco a buttarla fuori se non attraverso le mie collezioni. Quando ho dedicato la collezione a mio nonno ad esempio, che era morto nel frattempo, non ho versato una lacrima fino a che non ho creato il primo pezzo, prima non riuscivo a farlo e poi invece è uscito tutto in un colpo.
Hai realizzato tantissime collaborazioni, quale tra queste è la tua preferita?
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Mi è rimasta nel cuore quella con Kappa: è stato un rivoltare le cose, tutti si aspettavano lo sportswear e io invece sono arrivato con dei completi sartoriali. Mi ha divertito molto, se mi si chiede una cosa, cerco di andare all’opposto. Ho sempre cercato di fare tutto streetwear ma in quel caso ho fatto marcia indietro (ride).
“Un’emozione, che sia bella o brutta, non riesco a buttarla fuori se non attraverso le mie collezioni”.
Sei anche stylist, cosa ci puoi dire di questo tuo lavoro invece?
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Lo considero una prolunga di ciò che faccio. Quando vado a fare una selezione di capi sono molto obiettivo: di solito chi fa questo lavoro resta chiuso nel proprio immaginario ma io lo trovo limitativo, così facendo invece capisco anche come si compongono i mondi completamente diversi dai miei. Sono cose opposte ma che mi insegnano tanto, non voglio ignorare niente di quello che accade intorno a me.
Un giornale, ad esempio, mi aveva chiesto di fare un editoriale su cosa rappresentassero i sogni per me e potevo sfogarmi solo con il mio brand e invece ho optato per un editoriale multi brand perchè mi andava di esprimere il concetto in generale. Ho inserito anche i miei pezzi ma c’erano molti altri brand, emergenti soprattutto, perchè penso che il panorama non si fermi ai nomi conosciuti, non voglio che l’industria chiuda i portoni al futuro. Andiamo avanti, abbiamo bisogno di cambiamento.
Cosa c’è nel tuo futuro?
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Sono pieno di obiettivi, ho tutto scritto per non dimenticare nulla e sono sempre positivo, questo mi ha portato dove sono ora. Ho molto richiesta dalle fashion week all’estero e quando posso partecipo volentieri: sono tante le fashion week sconosciute ma bellissime, nell’est soprattutto. In aprile ad esempio sarò in Lituania e poi ad un’altra fashion week generale di tutto l’Est, stiamo ancora valutando cosa fare perché è una notizia di questi giorni.
Great interview ! Astonishing brand and designer ! Cool showroom !