Quando ho conosciuto Teresa è stata una gioia, lei lo è.
È una donna piena di energia, di parole, di uno sguardo intenso e di una consapevolezza che non nasconde un percorso frastagliato, sempre in evoluzione, ma che ha come principale focus l’accettazione di sé, il piacere del silenzio e la bellezza di stare nel “casino”, sentendosi a proprio agio.
Con Teresa mi sono persa in una chiacchierata di quasi un’ora e mezza a parlare di confini del corpo e di quanto quest’ultimo possa essere nostro nemico e amico, di come la nostra percezione di esso sia a volte strana, sbagliata e dolorosa. Ma abbiamo parlato anche di come per questo sia essenziale la filosofia della body positivity e di come sia importante nella propria vita e nel proprio lavoro riuscire a parlare liberamente di salute mentale.
E, per fare ciò, a volte bisogna imparare a riflettere su sé stessi, guardandoci dentro. O magari riempire la propria camera di specchi.
Abbiamo creato un format sulla salute mentale perché pensiamo che sia sempre importante parlarne e farne parlare. Tu, anche sui social, sei molto libera, ti esprimi in maniera naturale, parli del tuo corpo, delle tue decisioni e non con l’obiettivo di “influenzare qualcuno”, ma perché pensi che ci sia qualcuno che possa trarne beneficio.
Mi fa felice se tiri fuori questo discorso, essere trasparenti è importante. Tutte le volte che qualcuno me lo dice mi fa piacere, sono felice se qualcuno mi incontra e mi dice “Ti seguo su Instagram, ma sei esattamente come ti mostri!”, e non solo dal punto di vista estetico. Io, per esempio, alcune cose le ho scoperte ascoltando dei podcast o leggendo dei post, rendendomi conto di non essere l’unica a pensare in un certo modo o credere in certe cose.
A proposito del mio post sulla congelazione degli ovociti, tu non sai quante persone mi hanno scritto in privato e a distanza di tanto tempo da quando ho affrontato l’argomento sul mio profilo; ho messo in contatto tantissime persone, anche gente che non conoscevo molto bene, parlando di una cosa che ho fatto davvero, con un pensiero preciso dietro. Quindi, mi piace che tu faccia riferimento a questo perché non mi sento di poter influenzare nessuno, la mia vita per certe cose è un disastro, però se ho un pensiero, o sono arrivata ad una conclusione, o se c’è un pensiero che secondo me può aggiungere qualcosa alla vacuità di Instagram, che è un mondo pieno di vanità e condivisione di cose sempre “molto più fighe” di quelle degli altri, sebbene anche io a volte faccia cose che sono “più fighe” e pecchi di vanità, penso che sia giusto condividerlo.
Io, ad esempio, quando ho visto quel tuo post, ci ho riflettuto tanto. Non so se vorrò figli, non è una cosa che adesso sto considerando, ma più volte mi sono detta, “non sei più un fiore appena sbocciato” [ride] e quel tuo post mi ha reso consapevole dell’esistenza di una scelta, per cui non sarà mai troppo tardi.
Pensa che a Milano, quando mi avevano chiamata per partecipare ad una lettura al Festival delle Lettere, ho conosciuto un’attrice che ad un certo punto mi ha chiesto quanti anni avessi, e io le ho risposto che ne avevo 25, al che lei mi fa: “Devi congelare gli ovuli”. Io ero sconvolta [ride], ho subito pensato, “Ma che ne sai di me, se voglio o non voglio figli?”, però lei poi mi ha spiegato che lei è ricorsa alla fecondazione assistita, che ha richiesto tantissimo tempo per riuscire, e che se avesse avuto la mia età, avrebbe congelato gli ovuli per velocizzare il processo. Questa scelta nasce dallo stesso principio per cui tu mi dici “mi va di farti questa intervista”: la dottoressa che mi ha seguita mi ha detto, “dato che su Instagram ti esponi su tematiche importanti, ti va di venire a parlare di quest’argomento? Più se ne parla, più gente saprà di che cosa stiamo parlando”. Io ero un po’ scettica rispetto a questo tema, e non per una questione religiosa, ma perché mi metteva un po’ in soggezione l’idea di surrogare qualcosa. Quando l’ho incontrata, però, mi sono resa conto che lei è una figa totale, è un’illuminata, e dopo averci pensato molto, ho capito che fosse una decisione in linea con me congelare i miei ovuli. È proprio il principio del comunicare ad essere fondamentale, secondo me, che è diverso dal dire a qualcuno “fallo”, dal mettere la pulce nell’orecchio; io per esempio ero super scettica, non lo volevo fare, ma poi ho parlato con qualcuno di sinceramente interessato alle persone e all’argomento e ho capito tante cose: è prevenzione ed è una forma di empowerment femminile molto forte, perché io sono nella posizione di decidere come mettere pausa all’orologio biologico.
Così, peraltro, ho scoperto cose meravigliose sul mio corpo. È stato un percorso in cui mi sono conosciuta, grazie al quale ho scoperto quali fossero i miei limiti. Io ho sempre avuto paura degli aghi e nonostante ciò tutte le sere mi facevo le punture sulla pancia, da sola, e alla fine era bellissimo, era un momento tutto mio, nella mia stanza, con la mia lucetta.
“È proprio il principio del comunicare ad essere fondamentale, secondo me, che è diverso dal dire a qualcuno ‘fallo’, dal mettere la pulce nell’orecchio”.
Quanto è importante per te parlare di salute mentale e normalizzarne il discorso sulla salute mentale in generale?
Io ho iniziato un percorso di psicoterapia a 16 anni, per mia scelta. Allora, avevo una difficoltà molto forte nel gestire la rabbia, un po’ perché ero un’adolescente, un po’ per alcune dinamiche familiari. Mio padre vive a Firenze, quindi da ragazzina io dovevo prendere il treno e andare da lui con i miei fratelli, ero un pacchetto postale, amatissimo, ma pur sempre un pacchetto postale. Di conseguenza, da adolescente ero sempre incazzata, così un giorno, parlando con una psicologa che gestiva un gruppo culturale di cui io facevo parte, le ho chiesto se potessi andare da lei per iniziare un percorso insieme, e lei mi ha dato alcuni numeri di suoi colleghi (perché non poteva farlo in prima persona). Ho incontrato alcuni terapeuti e alla fine mi sono innamorata di una di loro. Quando ne ho parlato ai miei genitori, perché avevo bisogno che venissero a conoscerla per garantire per me, loro mi hanno detto: “Sono i soldi meglio spesi”. Sono stata in cura da questa psicoterapeuta per 11 anni e quanto mi abbia aiutata nella vita è una cosa di cui ho sempre parlato. È stato molto doloroso quando mi ha detto che il nostro percorso era finito, motivo per cui adesso ho molta difficoltà a trovare una terapeuta che possa essere alla sua altezza. Comunque, della mia terapia ho davvero sempre parlato apertamente, dicevo “ad una certa ora non esisto perché ho la psicoterapeuta” per me è sempre stato molto importante sottolineare quanto sia fondamentale prendersi cura della propria salute mentale.
Non è che se uno va in terapia significa che è malato di mente: ci sono delle strutture apposite che si occupano di persone con disturbi gravi, mentre le persone senza problematiche “particolari” dovrebbero tutte fare un percorso, perché anche quelle più serene, sotto sotto, hanno qualcosa da risolvere. C’è stato un periodo in cui, con una mia amica, ci scambiavamo alcuni pensieri, ma poi ci mandavamo direttamente i numeri di alcuni psicologi [ride], perché anche nell’amicizia ci sono dei limiti oltre ai quali non si è in grado di arrivare.
Ci sono dei riti/abitudini che fai ogni giorno per “connetterti” con te stessa o è un qualcosa che ti viene naturale?
Per iniziare la giornata, per me è fondamentale fare una doccia bollente, anche d’estate: mi prendo 7 minuti circa in cui sono impossibilitata a fare qualunque altra cosa se non pensare a come sto, come mi sono svegliata, se mi sento bene fisicamente, se mi sento gli occhi gonfi, se ho preoccupazioni per il lavoro o perché devo affrontare una certa questione con mio padre, mio fratello o una mia amica, se devo organizzare un viaggio… È un momento in cui metto tutte le cose in linea per poi poter far partire la giornata.
La sera, invece, non vado a dormire se non bevo una camomilla o una tisana: faccio partire un film, o una serie, oppure apro un libro e sul mio comodino c’è sempre la tisana. Ora che ci penso, in effetti, questi sono due rituali collegati dall’acqua bollente: all’inizio della giornata, mi ci butto dentro, mentre, alla fine, me la butto dentro.
L’acqua, d’altra parte, è il mio elemento, ho sempre amato stare nell’acqua in generale.
Nella tua bio su Instagram leggo “body positive”. Cos’è per te il tuo corpo? Ci hai lottato contro?
La “body positivity” è una mentalità che ho abbracciato nel 2019, quando ho scoperto che esisteva questo termine e tutte le sue derivazioni tramite un milione di podcast che ne parlavano. È una “medicina” e una cosa su cui devo lavorare tutti i giorni. Io soffro di dismorfofobia, in alcuni periodi a livelli molto alti; ci sono momenti in cui ci ricasco, ed è tremendo. Le ho provate tutte a trovare un compromesso con l’accettazione del mio corpo; a 21 anni, ho tolto tutti gli specchi dalla mia camera, l’unico che mi rimaneva in casa era quello del bagno, con cui però mi vedevo fino a metà busto, mentre se avessi voluto vedermi a figura intera sarei dovuta andare allo specchio in camera di mia madre, della quale temevo il giudizio, ma soprattutto temevo il mio, per cui lo evitavo più possibile.
Ho abbracciato la mentalità body positive anche perché nel 2019, a seguito della fine di una relazione tossica, in un mese e mezzo sono dimagrita di molti chili perché, stando malissimo, non volevo a mangiare. La cosa che mi dava fastidio era che chiunque mi incontrasse mi dicesse, “Stai benissimo!”, ma io stavo tutt’altro che benissimo. Mi innervosiva che quell’approvazione che avevo sempre cercato dagli altri arrivasse proprio in un momento di dolore. Mi piaceva che i vestiti mi stessero larghi, ma non mi piaceva la reazione che questo scaturiva negli altri. Per cui, ho capito che l’appiglio va trovato dentro, perché se io avessi ricominciato a mangiare e a prendere peso, non avrei potuto temere la delusione negli occhi degli altri: così ho iniziato ad imparare ad accettare come sono fatta. A settembre di quell’anno, ho cambiato casa e adesso in camera mia ci sono solo specchi, enormi, e lo stesso nel mio bagno, per rivedermi in un milione di modi. Adesso, passo molto tempo davanti allo specchio, nuda, tutti i giorni, dopo la mia doccia bollente: mi guardo, mi misuro, mi rendo conto di come sto, e in base a quello decido come vestirmi se devo uscire.
Croce e delizia, questo corpo.
In fondo, nella mia vita personale, non è mai stato un problema, io mi trovo molto sexy. Se non ci fosse un contesto sociale in cui ci viene detto che Gisele Bündchen è perfetta e tutte dovremmo essere come lei, non sarebbe un “problema”. Io non ho mai avuto problemi con le persone che mi piacevano, e se io non piacevo a loro, non era di certo a causa del mio corpo. La risposta esterna è sempre stata positiva; il problema sono io, sono io il mio nemico. Per aiutarmi, ho una serie di espedienti: mangio sano, magari anche non sano, ma cucino sempre io e non per essere più magra, semplicemente per essere sana e così sentirmi meglio.
Ci credo molto nella body positivity e vivo molto meglio da quando ho scoperto che c’è un modo per stare bene, ossia accettarsi e amarsi per quello che si è e migliorarsi nella misura in cui sentiamo di volerlo fare.
“Croce e delizia, questo corpo”
Ti invidio molto, la posizione in cui sei arrivata è tanta roba.
Guarda, anche per me però ogni giorno è diverso, è tutto molto altalenante. Per lunghi periodi sono serena e poi basta un niente per farmi ricadere nelle mie antiche dinamiche. La scorsa settimana, ad esempio, sono stata molto male con il mio corpo, per decidermi a mettere un paio di jeans ci ho messo ore, eppure ero uguale alla sera prima. Questo conflitto me lo sono portata avanti per quattro giorni, in cui mi sono vestita sempre allo stesso modo, pantaloni larghi con maglione largo e stivali alti e cappottone lungo, e questo, per chi mi conosce, è un segnale che c’è qualcosa che non va. Poi, però, mi metto un freno, pensando ai tempi passati in cui mi sono arenata e ho rinunciato.
In quei momenti, nella mia testa, se mi penso, non mi vedo come sono realmente. Eppure, io degli altri guardo gli occhi, la faccia delle persone, e di com’è fatto il loro corpo spesso non me ne rendo conto, e questa è una cosa su cui ho lavorato molto; infatti, prima di scoprire che ogni corpo va rispettato e di abbracciare questa mentalità che mi sta salvando, la prima cosa che pensavo quando vedevo una persona era: ma io sono così?
Anche a me succedeva, mi chiedevo: ma io sono di più o di meno di così? A volte, non rendendoci conto di come siamo noi, cerchiamo il confronto con gli altri. Io ho passato anni della mia vita imbattendomi in qualcuno e poi voltandomi verso chi mi stava a fianco e chiedendo, “ma io sono di più o di meno di quella persona?”, e se la risposta non era quella che volevo, apriti cielo, entravo in un abisso di tristezza.
Esatto! In passato mi sono ritrovata ad appigliarmi a delle cose assurde, tipo mi è capitato una volta di vedere una donna con un corpo bellissimo ma con un accenno di cellulite, e pensare: “Poverina, meglio io, così come sono ma con meno cellulite…perché ho meno cellulite, vero?” [ride]. Questo è molto malato, è frutto della nostra società che ci porta a comparare il nostro corpo con quello delle altre.
Ho scoperto che una delle cose più importanti per un bambino appena nato è che i genitori lo tocchino, che gli facciano capire quali sono i confini del proprio corpo, in modo tale che possa iniziare a prenderne consapevolezza. Di conseguenza, io adesso mi tocco tantissimo: quando dico “mi sveglio al mattino, mi faccio la doccia e mi misuro”, lo faccio per riportare i miei confini, dove sono realmente, senza mentire a me stessa.
Tutto questo per dire che, nonostante mi ami e mi veda bella, a volte devo lottare con una tendenza che è più forte di me ed è radicata, per cui il body positive è più una richiesta di aiuto che il proclamo di una che ce l’ha fatta [ride], però mi ci impegno tanto a non cadere!
Ma infatti secondo me la cosa importante non è far vedere il proprio successo, dire “io sono arrivata qui, mi accetto, sono super figa” eccetera… piuttosto ciò che conta è dimostrare di crederci davvero in quello che si dice e si fa, perché anche solo credendoci, si ha qualche strumento in più per uscire da alcuni momenti difficili.
Una cosa che ho imparato, appunto, quando mi ritrovo a fare i conti con la dismorfofobia e mi sento una merda, è: mai più diete distruttive, mai più “spacca-fegato”, mai più, me lo sono ripromesso, piuttosto piano, ma sano. Da ottobre, e questa è una delle mie più grandi conquiste, io tutte le mattine faccio una colazione sana, mi preparo il pranzo e me lo porto in giro, la sera mangio cose sane, poi però se vado a cena fuori con i miei amici, sai che c’è? Le polpette col purè me le magno, perché me le voglio mangiare! Mi impongo di darmi dei premi e di non cadere nella mia fissazione.
C’è stato un tempo in cui mi punivo con i digiuni. In quarantena, per esempio, siccome avevo iniziato a digiunare di nuovo, ad un certo punto ho iniziato ad informarmi su tipologie di digiuno che potessero essere “sane”. Ho, quindi, scoperto e provato il digiuno intermittente, mangiando solamente nelle ore prestabilite; non sono mai stata così bene in tutta la mia vita. Però ho dovuto veicolare anche quello, perché faceva parte del percorso di amore verso me stessa smetterla di punirmi.
Nelle cose più private che ho scritto, che sono delle specie di canzoni, delle poesie prosate, parlo spesso del mio corpo e di come mi sento, al punto che mi sono detta, “Teresa, basta!” [ride].
Cosa significa per te casa?
È un posto dove sono a mio agio, in confidenza, sia con il luogo che con me stessa, e ovviamente con le altre persone.
Io quando viaggio faccio delle valige che sono la mia casa: mi porto tutto quello che mi può servire affinché io non sia a disagio. Quando posso contare su me stessa, quando non devo gravare sugli altri, questo mi fa sentire a casa, perché casa è dove ho le cose che mi permettono di stare bene. Questo si riflette moltissimo anche nei miei rapporti con le persone: io a casa dei miei amici vado e faccio la doccia, per esempio, e poter lasciare un pezzetto di me dappertutto e sentirmi a mio agio è casa; per me casa è poter avere confidenza con un luogo e con una persona, e fare cose che farei a casa mia.
“Casa è poter avere confidenza con un luogo e con una persona”
Quale è la cosa che ti fa più incazzare?
Sono un sacco le cose che mi fanno incazzare.
Le cose più banali: il razzismo, l’omofobia e tutto ciò che ha a che vedere con il limitare l’essere di una persona, questo mi fa avvelenare. Odio la prepotenza e l’arroganza, odio chi vuole sminuire le persone, non mi piace chi è disposto a fare qualsiasi cosa per ottenere qualcosa, anche sul lavoro, penso che avere rispetto per sé stessi sia fondamentale, quindi se ti impegni arrivi lo stesso dove vuoi senza dover sgomitare e calpestare gli altri, che sia in ambito lavorativo che relazionale. È una cosa a cui tengo molto, perché non l’ho acquisita, ce l’ho da sempre, è abbastanza innata. Per esempio, quando facevo le gare di nuoto, prima di iniziare le altre ragazze non si parlavano negli spogliatoi e si odiavano un po’, ma io, che in ambito sportivo ero molto timida, me ne stavo zitta zitta a prescindere, e arrivavo prima; perché? Perché ero talentuosa e mi impegnavo tanto negli allenamenti.
A 13 anni, mi piaceva un ragazzo in vacanza, e piaceva pure alla mia migliore amica; io però ero più espansiva di lei, quindi ci ero andata a parlare, e chiacchierandoci, mi diede una notizia tremenda, quando gli chiesi, “C’è qualcuno che ti piace?”, e lui mi disse, “Sì, la tua amica”. Io, di tutta risposta, organizzai il loro primo bacio, perché che senso aveva, se eravamo amiche, ostacolarla? Per cui, ero sinceramente contenta, che lei fosse felice. Non ci ho dovuto pensare neanche un secondo; non ho mai tradito me stessa rinunciando all’amor proprio.
È per questo che non mi piace la gente che si vuole fare la guerra.
Anche un’attrice che dice brava a un’altra attrice, o una collega che raccomanda un’altra per un lavoro, non è solidarietà femminile secondo me: è una cosa normale, è avere rispetto della propria ambizione e riconoscere il talento delle altre persone. E questo, vale anche per il mondo maschile, perché non è vero che le donne sono le peggiori nemiche di sé stesse, gli uomini possono essere squallidi nella stessa maniera.
Con il tuo lavoro di attrice immagino che, ogni volta che interpreti un nuovo personaggio, lavori su te stessa, anche scoprendo nuove cose di te. Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stessa?
Qualche tempo fa ho fatto un cortometraggio, che parlava di relazioni umane, tutto girato dentro una vasca: io e l’altro attore eravamo una coppia di fidanzati che, nonostante la vicinanza fisica, soffrivamo un enorme divario sentimentale ed emotivo. Lì ho scoperto che posso mettermi nuda senza avere timore del mio corpo, perché lo sto mettendo a servizio del mio lavoro. Era la prima volta che mi mettevo completamente nuda in scena. Avevo richiesto che ci fosse una certa cura ma mi sono resa conto che non avevo nessun timore a mettere a servizio il mio corpo per un lavoro. È stata una grandissima scoperta, perché sono stata tre giorni in una vasca, nuda, davanti a una macchina da presa e persone che non avevo mai conosciuto, e non ho avuto difficoltà, l’ho fatto senza sentirmi a disagio. Nonostante il mio corpo tante volte sia un problema nella mia testa, in quel momento era l’ultimo dei miei problemi: ho lasciato che quel personaggio vivesse il suo bagno serenamente.
Ti sei mai sentita sola? Se sì, come affronti la solitudine? O a volte la cerchi?
Anche questo è un percorso della mia vita molto lineare. Fino a qualche tempo fa, avevo molto timore a stare da sola e mi sentivo sola in mezzo alla gente, soprattutto da adolescente. Quindi, volevo stare con delle persone con cui mi sentivo molto in confidenza per sentirmi meno sola. Tra i 20 e i 25 anni ho iniziato a immergermi in tutto, facevo tremila cose perché avevo paura di stare da sola, uscivo di casa alle 9 di mattina per andare in accademia, poi uscivo di lì, andavo a prendere un aperitivo, poi a cena con un’altra persona o andavo al cinema, poi c’erano altri amici che mi aspettavano, e alla fine tornavo a casa tardissimo e, sfiancata, il giorno dopo mi risvegliavo alle 8 e ripetevo tutto quanto. Ad un certo punto mi sono detta: “Posso stare un po’ da sola, ho bisogno di stare da sola”. Adesso la mia solitudine è una compagnia incomparabile. Quando torno da un viaggio ho bisogno di stare da sola, o anche durante i viaggi ho bisogno di prendermi del tempo da sola. Io vivo praticamente da sola, ho una coinquilina ma non c’è quasi mai in casa, e quando mi prendo del tempo per stare con me stessa, vivo dei momenti bellissimi: recupero i film che volevo vedere e le serie che avevo lasciato in sospeso, leggo libri, scrivo le mie cosette, rimetto a posto la camera, cucino.
Ora non temo per niente la solitudine, e questo si collega anche al mio essere single, e sono consapevole che quando incontrerò qualcuno che mi piacerà sarà una persona per cui sarò disposta a rinunciare ad un pezzettino della mia solitudine. Ad ogni modo, è assurdo, non avrei mai pensato di arrivare ad amare la solitudine.
“Adesso la mia solitudine è una compagnia incomparabile”.
Io, anche se ho un compagno, non sono riuscita a rinunciare alla mia solitudine e penso che questa sia una cosa molto importante nel nostro rapporto e una cosa che è stata difficile da far capire. Però, è un percorso, come hai detto tu, e anche se all’inizio di ogni rapporto c’è quel bisogno di stare ogni secondo con l’altra persona, poi, se cresci in quel rapporto, secondo me è necessario preservare la solitudine anche solo per ritrovare le energie.
Ecco, io sono single da molto, e per quanto l’idea di incontrare qualcuno non mi spaventi e pensi sia una cosa bella, mi chiedo quanto sarà complesso far entrare qualcuno nella mia quotidianità.
È normale, perché ormai ci sono delle cose di te che non vuoi cambiare, sei una persona “tutta fatta”.
Esatto. Non è che sono una di quelle persone che la mattina si sveglia ed è di cattivo umore e non vuole parlare con nessuno, anzi, però ci sono dei momenti in cui voglio stare per conto mio.
Scrivi?
Sì, scrivo, principalmente sviluppo dei progetti, che inizio e non finisco mai. Per un sacco di tempo, ho anche scritto queste poesie prosate, e poi scrivo anche racconti. Un giorno, i miei progetti sono sicura che li porterò avanti, ma devo trovare il tempo, impiegando magari i miei momenti di solitudine per fare cose che non siano leggere, cucinare, vedere gli amici, guardare un film. Mi rendo conto che rispetto a prima ho molto meno tempo libero.
Anche da ragazzina scrivevo, ho ritrovato delle cose carine, quando avevo 12 anni scrivevo storie dal punto di vista dei cattivi dei film Disney, tipo sul perché erano diventati cattivi. La più straziante era quella di Malefica [ride].
Principalmente, quando scrivo riadatto cose personali, ho anche fatto un corso alla Scuola Holden per trasformare una pagina di diario in un qualcosa di fruibile per gli altri. Però, non sono molto disciplinata con me stessa, sono un po’ un disastro ad amministrare il tempo per portare avanti le mie passioni.
Stai leggendo? Se sì, cosa?
Ho appena finito “I miei stupidi intenti” di Bernardo Zannoni. Ho pianto da morire, ne parlo adesso e mi commuovo. Ho dato quel libro anche a mia nonna di 88 anni e adesso lo sta leggendo mia madre perché se lo sono passate; infatti io, mia nonna e mia madre abbiamo una specie di book club: ci scambiamo sempre i libri. Mi ha straziata, perché racconta l’ingiustizia e la giustizia della vita, i rapporti umani, l’amore, la necessità, è intimo e a tratti crudo, e parla di tutto e dal punto di vista di un autore di soli 25 anni, che nella narrazione è una faina!
Ora ho iniziato “Una vita come tante” di Hanya Yanagihara, ce l’avevo sulla scrivania da tempo ma non mi ero mai decisa a leggerlo perché è un bel librone, di più di mille pagine. Ne ho approfittato in questi giorni che devo viaggiare in autobus e ho più tempo. Ad oggi ho letto circa 150 pagine, e già prevedo che più andrò avanti e più piangerò.
Io comunque sono strana pure con la lettura: c’è stata una fase in cui volevo leggere solo autori italiani, oppure solo romanzi d’amore, oppure scelgo un autore, lo cerco su Internet, vado nella sezione “Opere” e leggo tutto quello che è elencato, ho fatto questa cosa con Ammaniti, con la Ferrante, con Sally Rooney, mi faccio delle imposizioni pazze.
È che a me leggere piace tanto…
Photos & Video by Johnny Carrano.
Makeup and Hair by Francesca Naldini.
Thanks to The Rumors.
LOOK 1
Blouse: Uniqlo
Jewels: Argentoblu
LOOK 2
Denim: Shaft Jeans
Jewels: Argentoblu
LOOK 3
Sweater: That’s Alyki
Dress: Cruna
Jewels: Argentoblu
LOOK 4
Dress: Cruna
Jewels: Argentoblu