La nostra Cover di settembre è qualcosa che non ti aspetti. Toby Wallace è un ragazzo imprevedibile ed unico e ce lo dimostra ancora una volta e sempre di più con uno dei film più belli che potrete vedere quest’anno: “Babyteeth”, diretto da Shannon Murphy e in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, per il quale ha vinto il Premio Marcello Mastroianni a un Giovane Attore Emergente.
Parlare di morte non è semplice: bisogna essere delicati, eleganti, giusti. Parlare di morte tocca tutte le persone, prima o poi tutti perdiamo qualcuno, e tutti dobbiamo fare i conti con delle emozioni che, per quanto disperate, portano con sé una tenerezza, un amore ed un rispetto che non hanno eguali nella vita.
Sedersi in un cinema e vedere che tutto questo è stato rispettato, anche nel momento più oscuro, ci fa capire di essere davanti ad un capolavoro.
Ma è tutto, ci fa anche capire anche che per morire non esistono solo le malattie clinicamente riconosciute, ma esistono la rabbia, l’abbandono e il non riuscire a sentirsi parte di qualcosa. Questa è la storia di Milla e Moses che non potrebbero essere più diversi ma che incontrandosi cambiano la vita, e la morte, l’uno dell’altro.
Da un film che sembra come tanti altri, si scopre un film come nessuno lo aveva mai fatto prima, vedere per credere.
Vedere per credere anche la bravura dei due ragazzi protagonisti Eliza Scanlen e Toby Wallace, che interpreta un senzatetto di 23 anni, un ragazzo con dipendenze e senza una guida ma che si schianta con la vita di chi ne ha ancora poca.
Il suo personaggio è crudo, mai stucchevole o scontato, urla al mondo ma lo fa nel modo più silenzioso. E anche quando fa casino, non potrebbe che essere più vero e coerente con la storia, lasciandoci intrigare ancora di più dalla verità di quella sua anima sporca, dannata dagli eventi.
Abbiamo intervistato Toby su una spiaggia, chiedendogli come fosse riuscito ad essere così vero e selvaggio e come ha vissuto quel personaggio che gli ha dato tanto e che, siamo sicuri, darà molto anche a chi lo vedrà.
Il film è visivamente ed emotivamente straordinario, ma non è mai esagerato o banale nel modo in cui commuove lo spettatore; quali sono stati i momenti che hanno commosso te quando hai visto il film per la prima volta?
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Bella domanda.
Hai modo di conoscere i personaggi così bene e di affezionarti a loro in maniera così profonda e questo grazie alla sceneggiatura incredibile. Ti accorgi che un film è scritto bene quando hai meno lavoro da fare. La scrittura in sé, i dialoghi, i personaggi ti fanno emozionare, perché sono così veri e le situazioni che stanno vivendo sono rese in modo così realistico, e questo sempre grazie alla scrittura. Vedendo il film per la prima volta, mi sono reso conto di quanto fossimo affezionati a quei personaggi e di quanto chiunque abbia partecipato al film tenga così tanto alla storia.
Il film è perfettamente equilibrato perché non fa questa cosa melodrammatica di ingigantire tutto quanto, e ancora una volta dobbiamo a Shannon [Murphy] il fatto di non farne un melodramma o non esagerare su alcuni punti delicati, di non rappresentare la malattia come un ostacolo insormontabile, così come il dolore che circonda la protagonista e la dinamica dei personaggi.
“Hai modo di conoscere i personaggi così bene e di affezionarti a loro in maniera così profonda e questo grazie alla sceneggiatura incredibile…”
Il tuo personaggio è così selvaggio e complesso. Come ti sei preparato, avevi qualche modello di riferimento?
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Io e Shannon abbiamo parlato molto di un film che si chiama “Mommy,” di Xavier Dolan, di cui io sono un grandissimo fan, e abbiamo discusso di un possibile paragone tra i personaggi; anche l’attore Michael Pitt è stato un punto di riferimento, e i personaggi “allo sbando” che ha interpretato, soprattutto negli anni Novanta. Per prepararmi, ho guardato tanti film di argomento simile, come “Belli e dannati,” film con personaggi enigmatici, perduti. Poi avevo un video diario: ogni sera ci riprendevamo mentre facevamo cose che fossero “nel personaggio,” per esempio Eliza [Scanlen] andava a casa e si faceva video mentre ballava, per cercare di sentire il personaggio spiritualmente.
C’è stato spazio per l’improvvisazione?
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Sì, c’era! Shannon è una regista da “buona la prima,” fai una cosa e lei ti dice: “Bene, questa è fatta! Non farlo di nuovo, proviamo qualcosa di completamente diverso”. È una regista che vuole provare cose nuove ogni singola volta, ed è il mio tipo preferito di regia, rende tutto più fresco e presente.
“Poi avevo un video diario: ogni sera ci riprendevamo mentre facevamo cose che fossero ‘nel personaggio'”.
Qual è stata la scena più difficile da girare? Forse conosco già la risposta…
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Sì, la risposta la puoi benissimo immaginare! [ride] Quella è stata la scena più terrificante, la “scena del cuscino”, che detta così suona molto più dolce di quello che è in realtà. È stato terrificante, perché eravamo solo io ed Eliza che dovevamo cercare di capire come impostare la scena in modo da non farla troppo melodrammatica, o da non esagerare, ma alla fine si è rivelato più facile di quanto avessimo immaginato, anzi, stranamente alla fine è stata quasi la scena più facile da girare.
Sia Moses che Milla sono malati, ma di due malattie diverse, e il bello del film è che noi spettatori vediamo la storia dal punto di vista di entrambi. Come hai lavorato con Shannon su questo aspetto?
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Non ci siamo mai soffermati direttamente su quei punti, credo, il nostro era sempre più un lavoro sull’emotività e sulle dinamiche tra di noi durante la scena del giorno. Penso fosse più una cosa di Shannon quella di individuare l’equilibro tra i diversi temi della storia, ma hai ragione, Moses e Milla sono entrambi molto malati. Abbiamo cercato di rimanere un po’ ambigui sul tipo di roba di cui si faceva Moses, sulle droghe che prendeva, ma era evidente che fosse un tossicodipendente.
“…dovevamo cercare di capire come impostare la scena”.
Sai qualcosa in più rispetto a noi sulla famiglia di Moses?
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Direi di sì, prima di iniziare io e Shannon ci siamo seduti e abbiamo parlato del retroscena, per aiutarmi. Abbiamo parlato di quello che era successo al padre e della relazione che c’era tra i due, abbiamo pensato a quanti anni potessero essere passati da quando Moses era andato via di casa e aveva cominciato a dormire ogni giorno in una casa diversa come un nomade; alla fine abbiamo pensato che potessero essere passati quattro anni da quando Moses aveva lasciato la famiglia e che suo padre se ne era andato quando lui era piccolo e che probabilmente l’aveva visto pochissime volte.
Il film si divide in capitoletti: qual è il tuo preferito?
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Qual è il titolo di quello in cui siamo tutti a cena insieme? Mi pare si chiami “Tutti erano lì”, comunque il mio preferito è quello, perché tutti i personaggi si riuniscono, sono felici e ognuno si ritrova ad affrontare i propri problemi, e la morte di Milla.
Come descriveresti il tuo personaggio in una parola?
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La parola che scelgo per descrivere Moses è “duro”.
“La parola che scelgo per descrivere Moses è duro”.
Il film parla di morte, amore, malattia, droga, ovvero temi abbastanza importanti. È cambiato qualcosa nel tuo modo di pensare, nella tua visione della vita?
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Sì, penso di sì. Uno degli aspetti principali del viaggio di Moses è il fatto che viva una vita fatta di sviamenti ed evasione, ed è molto bravo in questi sport; eviterebbe qualunque ostacolo gli sbarrasse la strada e guai a chi gli si avvicina troppo. È bravo ad evitare tutto fino al momento in cui Milla gli chiede di esserci per lei; anche la stessa scena del cuscino rappresenta il momento in cui Milla gli chiede di fare l’adulto, di comportarsi da uomo e assumersi le sue responsabilità, ma la responsabilità di cui parla Milla è anche la più grossa responsabilità che una persona possa assumersi ed è un concetto che mi ha insegnato molto, personalmente.
Anche io ho sempre pensato fosse più facile fare il vagabondo piuttosto che assumermi responsabilità ed è stato così fino alla mia transizione da bambino ad adulto, quando hai una ventina d’anni e cominci a capire davvero l’importanza delle responsabilità e a portare il fardello, qualunque cosa significhi.
“È bravo ad evitare tutto fino al momento in cui Milla gli chiede di esserci per lei”.
Se non mi sbaglio sei appassionato di fotografia, secondo te, l’osservazione può essere considerata uno strumento chiave del tuo lavoro e del mondo?
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Sì, penso di sì. Ho sempre voluto fare il regista, da quando ero piccolo, quindi anche quando recito cerco di imparare quanto posso sul dietro la cinepresa e sulla cinepresa stessa. In tutti i progetti di cui ho fatto parte ho sempre cercato di fare amicizia col direttore della fotografia e fargli il più domande possibile, quindi è un’arte che amo davvero.
Scrivi, anche?
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Ho iniziato a scrivere quest’anno in maniera più consistente, quindi spero di scrivere e dirigere presto qualcosa, possibilmente un cortometraggio. Eliza è già avanti, dirigerà presto un corto, e anche a me piacerebbe fare qualcosa del genere.
Qual è il tuo film preferito di sempre?
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“Paris, Texas” di Wim Wenders, è fantastico, adoro quel film.
Qual è il libro che stai leggendo ora?
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“Una vita come tante”, ne ho letta una buona parte e finora è stato davvero incredibile, parla di questi quattro amici che vivono a New York e di come crescono nel corso della vita, di come diverge la loro amicizia ed è piuttosto shoccante.
Vivi in Australia o negli Stati Uniti adesso?
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Al momento vivo a Los Angeles, da tre mesi più o meno, ma è probabile che mi venga voglia di prendere armi e bagagli e andarmene da qualche altra parte, per ora comunque sto vivendo lì.
Quale superpotere ti piacerebbe avere?
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Vorrei saper volare, credo.
Un epic fail sul set?
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Ne ho tanti! Come quando non mi viene una scena, e l’altra persona finisce di girare la sua parte e poi viene da me e io ammetto: “oggi proprio non ce la faccio”. Quando abbiamo girato la scena in cui io entro in cucina e comincio a rubare le medicine, c’era questa specie di chiodo gigante che sporgeva dal muro e che io cercavo di scansare ogni volta, ma ogni volta che ci passavo davanti quando giravamo e la mamma di Milla doveva guardarmi le mani e io dovevo far cadere il coltello e girarmi, mi graffiavo la spalla con quel chiodo, il che è più un infortunio che un epic fail…
Qual è il tuo prossimo progetto?
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La seconda stagione di “The Society” che penso cominceremo a girare a febbraio dell’anno prossimo, ma a parte quello penso mi fermerò per un po’ a godermi tutto quanto.