Mai uguale a sé stesso, ma anche se lo fosse, mai senza passione, mai miserabile: Tommaso Ragno è gentilezza, umiltà ma anche tanto carattere, quell’“anello di congiunzione tra capacità e fortuna” che serve a destreggiarsi anche nelle condizioni più avverse, necessario per scegliere il mestiere dell’attore, ogni giorno.
In una motivante conversazione telefonica, Tommaso ha condiviso con noi alcuni pezzi e pensieri del suo passato e del suo presente, dalle prime volte in cui ha calcato il palcoscenico agli ultimi momenti sul set, nello specifico quello di “Siccità” di Paolo Virzì e di “Come pecore in mezzo ai lupi” di Lyda Patitucci.
Come nostra Cover di maggio, Tommaso si fa esempio e promotore della cura e della bontà con cui muoversi nel mondo, nelle relazioni umane, in quella dimensione parallela che crea la recitazione, alla costante ricerca di un equilibrio stabile nel forte disequilibrio della vita.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
È legato al ricordo del suono dei film che arrivava dall’arena estiva, quando ero ancora troppo piccolo per poterci entrare. Lo ricordo come un suono misterioso e potente.
Da “Fargo” a “Lazzaro Felice” a “Nostalgia” e “Ti mangio il cuore”: che si tratti di serie tv o film, tra personaggi che interpreti non ce n’è mai uno che somigli all’altro. Quale spinta ti attira verso cose e persone distanti l’una dall’altra e magari spesso anche tanto distanti da te? È una casualità, oppure un tuo obiettivo?
È un obiettivo, ma la casualità non è secondaria.
Io credo che quello che un attore si augura è di sperimentare diverse esperienze anche dal punto di vista del proprio sviluppo, per evitare di fare lo stesso film ogni volta, perché sennò può succedere che uno si ritrovi a fare lo stesso film per tutta la vita. Mi spiego meglio. Vorrei sottolineare un aspetto legato al mestiere puro e semplice, dove un determinato attore o attrice si sono magari distinti nel fare Superman o 007, generi che cito senza assolutamente svalutarli. Anzi, io non penso che cinema sia solo cinema d’autore e che “Superman” e “Terminator” non lo siano, non sono di quest’avviso, perché il cinema è vasta come branca dell’arte.
Se mi è successo di fare qualcosa di diverso, insomma, è anche un po’ merito della fortuna, perché poi quello che mi trovo a fare, qualunque cosa sia, cerco di farlo al meglio possibile, se non altro perché poi resta. Diciamo che sì, è un atteggiamento personale, magari etico oltre che estetico, perché le due cose poi vanno insieme, ma alla base c’è il fatto che amo quello che faccio e quando ho la fortuna di poterlo fare, qualunque cosa sia, preferisco farlo al meglio possibile. Se mi dovesse toccare di fare James Bond per il resto dei miei giorni, perché no? C’è anche per me un aspetto leggero che trovo sia molto importante in questo lavoro: se ti capita di poter fare quel che uno pensa che sia il massimo che possa fare in base alla propria ambizione, se si riesce ad amare quello che si fa, anche quando non fosse un capolavoro, credo che l’atteggiamento sia quello. Quindi, finora sono stato fortunato, ma se mi dovesse capitare di fare lo stesso ruolo per il resto dei miei giorni, andrebbe bene ugualmente, perché alla base penso sia fondamentale anche solo riconoscersi nei ruoli che si fanno. Devo essere onesto su questa questione, perché c’è sempre il vago desiderio di dipingersi meglio di quello che si è, mentre la verità è che ci sono degli aspetti legati alla necessità di quel momento, perché magari non puoi fare altro. Quello dell’attore è già difficile farlo come lavoro, è già difficile pensarlo come tale, perché richiede parecchie energie, e io ho conosciuto il lavoro in tante forme, ho avuto la fortuna di poter fare veramente tante esperienze.
“Alla base c’è il fatto che amo quello che faccio e quando ho la fortuna di poterlo fare, qualunque cosa sia, preferisco farlo al meglio possibile”.
Cosa ti fa dire di sì ad un progetto?
Il senso che un progetto porta con sé, soprattutto perché è un lavoro che si fa insieme ad altre persone e con le quali si condivide un tempo importante.
Se potessi mettere in guardia il te stesso alle prime armi nel mondo del cinema, cosa gli suggeriresti? Qual è il miglior consiglio di cui avrebbe avuto bisogno?
In realtà, io sono stato fortunato su questo, perché ho potuto lavorare in Italia ai massimi livelli in teatro ed è stata una scuola anche di vita e di relazioni, non soltanto di formazione a livello artistico. Credo davvero che la cosa importante sia una bella testardaggine e una buona dose di pazienza, infatti, non penso che l’aspetto dell’avere passione sia centrale, perché la passione può estinguersi. Trovo che l’anello di congiunzione tra il talento e il destino, che tocca a chi fa questo mestiere, o a chi faccia uno sport, o a chi faccia un lavoro che abbia scelto di fare, proprio scelto e non perché non poteva fare altro, sia il carattere.
Il carattere è proprio quell’anello di congiunzione tra le capacità che si possono avere e la condizione storica e sociale in cui ci si trova a vivere, che magari può essere vantaggiosa o svantaggiosa, a seconda di come uno lo vuol vedere, il proprio stare al mondo, il proprio destino, quello che gli è toccato in termini di dove nascere e vivere e lavorare.
È vero che ci vuole talento, certamente, ma il talento non saprei neanche come definirlo, invece il carattere sì, e cioè quello che serve quando le cose non sono favorevoli, quando le circostanze non sono ottimali (e praticamente non lo sono quasi mai), è ciò che ti spinge a farlo ogni giorno e non occasionalmente, perché a quel punto il carattere serve molto di più del talento. Questo è quello che sento non tanto di consigliare, ma di raccontare in base a ciò che ho sperimentato. Sai, a parole posso dirti cose bellissime, come al solito sempre più belle di quelle che in realtà sono, ma l’aspetto reale, concreto, ha a che fare col carattere. Per farti un esempio, Roberto Baggio quando era molto giovane era stato dato per spacciato dai medici perché il suo ginocchio era messo parecchio male; stiamo parlando di un grande campione che ha incontrato non pochi ostacoli nella vita, e mi viene in mente questo esempio proprio perché il carattere di Baggio ha permesso ad un campione amato da tutti, anche dalle sponde di tifoseria opposte, di andare avanti e confermarsi come tale, forse anche per quest’aspetto.
“Una bella testardaggine e una buona dose di pazienza”
“Come pecore in mezzo ai lupi” è stato accolto molto positivamente dalla critica. Presentato in anteprima al Festival del cinema di Rotterdam, è l’opera prima di una regista emergente (Lyda Patitucci): un crime sulla fratellanza e su cosa si è disposti a fare per amor proprio, ma soprattutto per amore dell’altro. Cosa ti ha fatto pensare la sceneggiatura, in particolare, la prima volta che l’hai letta?
Sono sempre attratto dalla possibilità di partecipare all’opera prima di un regista, per la forza che hanno tutte le cose fatte per la prima volta. La possibilità di lavorare nelle opere prime è sempre molto stimolante, per me, perché hanno questo carattere originario, come se il gesto lo si facesse per la prima volta, che permette di riscoprire e di condividere tanto, perché il cinema è un lavoro che si basa sulla condivisione, è un lavoro di squadra che si fa insieme e molto potente. Di questo film, poi, mi interessava molto il tipo di personaggio che mi veniva proposto.
In “Siccità” di Paolo Virzì, interpreti un ex attore fattosi influencer che ha sviluppato una dipendenza dai social. Una storia che può suonare familiare… Come hai approcciato il tuo personaggio? Che esperienza hai avuto su questo set, raccontando di una città e di una società che stanno morendo?
Lavorare con Paolo è una benedizione per gli attori, perché è un artista che sta sempre accanto a te sul set, gioca con l’attore come fosse un altro attore a sua volta, non ti lascia mai solo a giocare. Il suo divertimento è contagioso. Ma sa anche quando non intervenire e lasciare liberi gli attori di seguire il loro istinto, ed è una qualità non comune perché richiede molta sicurezza e fiducia in sé. Non penso mai al personaggio come a un’entità a sé stante, per me è stata importante l’interazione con Elena Lietti, Emanuele Maria Di Stefano e Massimo Popolizio (nel film sono rispettivamente mia moglie, mio figlio, e il regista dello spettacolo teatrale). Il personaggio si forma nella relazione con gli altri personaggi.
Voi attori, proprio grazie al vostro lavoro, avete spesso modo di esplorarvi e scovare lati di voi magari dimenticati. Hai scoperto qualcosa di nuovo su te stesso durante quest’ultima esperienza? Qual è la più grande rivelazione che tu abbia mai avuto attraverso un film in cui hai recitato?
Sono grato a Paolo di avermi dato l’occasione per esprimere degli aspetti stupidi e comici della condizione umana in un contesto estremo come quello della siccità.
Non è solo attraverso i film, poi, che ho rivelazioni, ma è stato dal momento in cui ho potuto mettere piede su un palco, e poi su un set, più avanti nella vita, che ho realizzato come quell’atto potesse costituire una vita parallela nella quale di sicuro c’entra molto di personale, ma è anche un altro mondo che non ha niente a che vedere con quello personale, allo stesso tempo. È stata una rivelazione il fatto che potessi fare del teatro e del cinema un modo di vivere e certamente anche un modo di stare a contatto con la realtà attraverso un aspetto della “finzione”, che però non è fiction. Quando hai a che fare con quel mondo, si tratta di trovare un equilibrio nello stare nel disequilibrio della vita, accettando anche i rischi e pericoli di questo modo di vivere.
Non so se si possa chiamare rivelazione, ma ogni volta sono sorpreso che mi venga offerto di esercitare per lavoro la mia natura mimetica. E sono felice quando questo compito comporta una scommessa, un coefficiente di difficoltà alto.
“si tratta di trovare un equilibrio nello stare nel disequilibrio della vita”
Quando lavori ad un personaggio, solitamente sei più razionale o istintivo?
Tendo ad affidarmi, paradossalmente, a una sorta di “intelligente stupidità”, che mi aiuta a restare aperto, a meravigliarmi come fosse la prima volta. Naturalmente lo studio conta moltissimo, ma accanto a questa attività lascio aperta la porta alla mia ignoranza. Chissà che non scopra qualcosa di meglio di quanto mi immagini io.
Il tuo cuore (e la tua carriera) si divide tra teatro e cinema: dove ti senti più a casa?
Dove mi sia data la possibilità di esercitare questa attitudine mimetica che è la natura dell’attore, lì mi sento a casa. È solo salutare poter stare in entrambi gli ambiti.
Di teatro e cinema, entrambe vie di esercizio della tua “attitudine mimetica”, come dicevi, qual è il valore aggiunto che ciascuna arte apporta al vissuto di chi ne fruisce, secondo te? E cosa hanno portato nel tuo di vissuto?
Sai, non penso di saperlo del tutto. Dire che possa migliorare la vita degli altri mi sembra nobile da un certo punto di vista, ma non so neanche quanto sia vero. Se io vado a un concerto oppure a vedere un film, non necessariamente è perché cerco qualcosa che c’entri con me, anzi. Insomma, teatro e cinema sono sicuramente dei modi di guardare il mondo, una lente di ingrandimento, di qualsiasi genere si tratti, dalle opere più impegnate ai cinepanettoni; dipende da quello che si vuole in quel momento della vita.
Siccome tutto ha a che fare con la trasformazione, certe cose si trasformano più velocemente e per altre magari lo si vede meno, perché si trasformano più lentamente, mi rendo conto che diverse cose che ho visto, a seconda dell’età che avevo hanno assunto un significato diverso. Questo non vuol dire che io l’abbia capito del tutto, ma mi per certi aspetti hanno reso sicuramente la mia vita meno miserabile. Questo vale anche per la musica.
Un’opera teatrale che adatteresti in film? E un film da cui trarresti un’opera teatrale?
Non so risponderti meglio che pensando al film “Vanja sulla 42ª strada” di Louis Malle, è un film tratto da una famosa opera teatrale di Chekhov (“Zio Vanja”), contiene entrambe le cose.
Un epic fail sul set o sul palco.
Un vuoto di scena lunghissimo in teatro. Ero crollato addormentato in camerino durante l’ultimo atto di uno spettacolo di una lunga tournè, sono stato letteralmente scaraventato in scena dopo un vuoto di alcuni minuti e aver visto le facce degli altri miei compagni di scena tra l’imbarazzo e lo sdegno. Volevo sparire.
Il tuo must-have sul set.
Il buon umore.
Quali sono i tuoi riti da cinefilo?
Direi guardare i film al cinema, se possibile.
Adesso cosa stai leggendo?
Sto leggendo l’autobiografia di Elia Kazan, edita soltanto in inglese purtroppo. Si chiama “A Life”.
Cos’è che ti sorprende?
La gentilezza, mi sorprende ogni volta. Anche la bontà, che io credo sia una forma dell’intelligenza.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Questo è un lavoro che di suo richiede coraggio e molto anche. Soprattutto perché i no che si ricevono sono superiori alle volte in cui si riceve un sì.
“La gentilezza, mi sorprende ogni volta”.
Di cosa hai paura invece?
Vivere nella paura.
Il tuo più grande atto di ribellione?
Quello contro la paura.
L’ultima cosa o persona che ti ha fatto sorridere?
La mia ottusità quando invece credo di essere intelligente. E poi arriva un’occasione che mi ricorda che siamo una specie comica. E a quel punto è come ricevere un’illuminazione e sorrido con indulgenza.
La tua isola felice?
Leggere e ascoltare musica.
Photos & Video by Johnny Carrano.
Grooming by Micaela Ingrassia.
Location: Antico Casale di MonteMariolo.
Thanks to The Rumors.
LOOK 1
Total look: Kiton
Shoes: Vic Matié
LOOK 2
Jacket: Kiton
Shirt: MCS
Trousers: MCS
Shoes: Vic Matié
LOOK 3
Jacket: MCS
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