Reese, Ames e Katrina sono tre personaggi di finzione ma, allo stesso tempo, tre persone con problemi reali, condivisibili e comprensibili nel 2023. Alla ricerca di pezzi per dare un senso alla loro vita, sono coinvolti in tre diversi percorsi che si incontrano di fronte alla possibilità di creare una famiglia, insieme. Essere trans, aver fatto la detransizione ed essere incinta sono le tre condizioni che si sovrappongono, con tutte le preoccupazioni, problematiche, speranze e desideri che ne fanno seguito. Tre individui diventano una cosa sola, ritrovandosi a far fronte alle domande, i dubbi e le paure del loro futuro sia insieme che singolarmente, sotto una luce diversa ma senza mai dimenticare la loro umanità.
Torrey Peters è un’autrice ma, in momenti diversi della sua vita, è stata anche Reese, Ames e Katrina e proprio l’insieme di queste voci ha dato vita al suo romanzo “Detransition, baby“: onesto in quel modo brutale che dovremmo leggere più spesso per realizzare quanti e quali possano essere i problemi della quotidianità che colpiscono ciascuno di noi, la storia parla di andare oltre gli stereotipi e l’eteronormatività per riconoscere la natura umana che si cela dietro ad ogni scelta (e non-scelta). Tra le responsabilità che comporta scegliere di essere felici, l’importanza degli errori e le varie forme di onestà, Torrey Peters parla di essere, in quanto vivere, con assoluta trasparenza sia nel suo romanzo che attraverso le risposte che dà alle nostre domande. Ricordandoci quanto la libertà possa essere destabilizzante.
Intanto, complimenti per questo libro e per la sua complessità. Un libro come questo in Italia sarebbe al momento un libro molto politico, soprattutto per i bambini all’interno di famiglie “non normalizzate”, come ama dire una delle protagoniste. Leggendo il tuo libro, quello che ho ammirato di più è stato il tuo spostare l’attenzione sull’introspezione dei personaggi, quindi portandolo dalla politica al personale. È un’indagine fatta all’interno di una famiglia che si sta creando e sta creando un nuovo modo di fare famiglia. Volevo chiederti se questo è dovuto a una differenza della situazione americana nei confronti delle famiglie queer, su cui forse noi in Italia paghiamo ancora un notevole ritardo, oppure se anche in America, nelle famiglie e in particolare sui figli all’interno di famiglie queer, c’è questo grosso problema politico, oppure se a te invece interessava altro.
Secondo me, ogni storia di trans verrà interpretata politicamente, però il mio libro per me è stato una faccenda personale. Quando l’ho scritto, avevo trent’anni e passavo tanto tempo a domandarmi: che vita farò e come imparerò a farmi delle domande davvero oneste? Se consideriamo la struttura del libro, quest’ultimo comincia con tre persone in una stanza che si chiedono “Possiamo costruire una famiglia insieme?” e finisce con tre persone in una stanza che si chiedono “Possiamo costruire una famiglia insieme?”. Questa metrica potrebbe suggerire che dall’inizio alla fine non succede niente. Ma quello che accade, invece, è che i personaggi sradicano un sacco di stereotipi che possono riguardarli, i meccanismi di difesa che adottano nella loro vita, alla fine devono raccontarsi la verità. Il messaggio principale che il libro vuole trasmettere, secondo me, è che la politica non conta poi così tanto, che ognuno dei personaggi ha la propria storia, che Reese, per esempio, è alla ricerca di un uomo che la salvi ma questa cosa non funzionerà, mentre Katrina sta sperimentando queerness. Quindi, in pratica ciò che voglio dire è che riuscire a vivere una vita che abbia un significato implica domandarsi cosa sia corretto e cosa no per ciascuno di noi. Non è che non ci piace la politica e vogliamo cambiarla; bisogna chiedersi: “Cos’è davvero tollerabile per me? In che modo riuscirò a trovare un compromesso? In che modo devo dire di no?”.
Quindi, invito i lettori a farsi quelle domande considerando un raggio di possibilità più ampio che includa la queerness o magari anche la concezione tradizionale di coppia che abbiamo, pur di essere sempre onesti a proposito di cosa implica tutto ciò, per non semplicemente ereditare l’eteronormatività, né per prendere la queerness così come viene.
Io ho letto un altro libro in cui si parlava di transizione e a un certo punto uno dei personaggi di questo libro dice: “Io quando mi sveglio la mattina e penso a tutto questo percorso che ho fatto sono felice. Poi la vita è complicata, succedono un sacco di cose, però io di questo sono felice”. Leggendo questo libro, invece, la mia impressione è che i personaggi siano infelici; compiono questa ricerca, cercano di smontare la costruzione di pregiudizi che abbiamo, però la strada per la felicità, sempre che ci sia e sia percorribile, sembra ancora lontana.
Beh, penso che sia parte del gioco, i trans non esistono semplicemente per essere trans, infatti essere trans è una piccolissima parte della mia vita. L’effetto della transizione è semplicemente quello di spronarmi ad affrontare le altre domande della mia vita. Quindi, per i personaggi il punto non è “Dovrei fare la transizione? Qual è il mio genere?” e questo genere di cose, piuttosto le stesse questioni che anche altri adulti affrontano. Così, la transizione ti insegna a farti domande che si farebbe chiunque come: “In che modo la vita può assumere un significato? Dovrei mettere su famiglia? Dovrei avere un lavoro? Dovrei avere una relazione?”. Che tu sia trans oppure no, se non sei in grado di rispondere a queste domande fondamentali, la transizione non ti salverà. Questi personaggi hanno risolto la questione della transizione ma non hanno risolto la loro vita. Inoltre, penso che sia importante iniziare a creare personaggi trans che non siano necessariamente rappresentativi di tutte le persone trans o che non aprano un dibattito politico. L’idea che fai la transizione per essere felice in un certo senso è qualcosa che si dice per convincere gli altri che non c’è niente di male nella transizione, per affrontare il bigottismo, ma se non ci fosse bigottismo sul tema, non ci sarebbe nemmeno dibattito, che è un dibattito abbastanza strumentale, un dibattito per giustificare le persone trans. Io esisto già, ho già fatto la transizione, quindi artisticamente non mi interessa giustificare la mia esistenza. Sono felice di poter dire di essere qui, ho gli stessi problemi realistici che ha chiunque altro, e mi fa piacere parlare di come risolverò quei problemi. In effetti, sono una persona felice ma non penso che sia una mia responsabilità poiché trans quella di essere felice.
Forse è per questo che sono interessata in analogie tra donne cis e donne trans. Per esempio, si potrebbe associare l’idea della transizione a qualcosa come il matrimonio, quella visione/pensiero secondo cui, “Okay, ti sposi e così risolvi tutti i tuoi problemi”, ma la verità sarà deludente; quel matrimonio potrebbe essere solo un inizio e poi avrai un mucchio di altre cose su cui lavorare dopo che ti sposi. Allo stesso modo, la transizione è solo l’inizio e dopo hai un sacco di altro lavoro da fare.
Non so quale sia il libro che hai letto, ma qui ci si può ricollegare alla differenza tra letteratura per adulti e letteratura per adolescenti: nei young adult, le domande che emergono solitamente sono “Faccio o non faccio coming out? Diventerò mai una persona vera?” e vanno avanti per il resto della vita, mentre in un libro per adulti molte volte si fanno i conti con problemi legati alla difficoltà del relazionarsi con altri umani nel corso della vita.
La storia ci dimostra che famiglia non sono solo le persone con cui sei nato ma, soprattutto, coloro con i quali ti senti al sicuro e compreso. Essere parte di una famiglia e ed essere la versione più autentica di sé stessi: in che modo queste due ricerche si sono intrecciate? Per esempio, ci vuole molta forza e molto coraggio trovare entrambe le cose nella vita perché non sempre è facile trovare il proprio posto nel mondo, sia come individuo, sia come membro di un gruppo.
Per me, il punto di incontro sono l’onestà e l’impegno, e con “onestà” non intendo l’onestà verso sé stessi, perché onestà spesso significa anche essere onesti riguardo le proprie perplessità e quando le cose non funzionano. Per esempio, Ames ha “preso un impegno” con la transizione, e la verità è che Amy non era felice come donna perché la vita era molto complicata, così ha deciso che sarebbe ritornata a vivere come uomo. È una forma di onestà, l’impegno, e secondo me mettere su famiglia in un certo senso è la stessa cosa. Devi essere onesto su ciò che riesci davvero a tollerare: Katrina, nel suo caso, non sopportava il fatto che Ames avrebbe potuto fare una de-transizione, Reese potenzialmente non sopportava l’idea di condividere il ruolo di madre; poi, anche se avessero deciso che avrebbero tollerato tutto e si fossero impegnati nel vivere una potenziale vita alternativa, avrebbero comunque dovuto continuare ad essere onesti su ciò che funziona e ciò che non funziona.
Non è che tu fai la transizione e poi questa dura per sempre, devi essere in grado di dirti onestamente se qualcosa non funziona, oppure che quando metti su famiglia, quel modello di famiglia che hai diventa la tua famiglia per sempre, devi continuare a rivalutare e la rivalutazione è scomoda. È scomodo sposarsi e poi dire, “In realtà, vorrei divorziare”, ecco perché questo libro è dedicato alle donne divorziate, perché la forza, la filosofia e la lucidità necessarie per prendere l’impegno del matrimonio innanzitutto e poi anche per svincolarsi da esso secondo me è la forma di connessione più importante e non solo tra queste due cose, ma anche quella che costituisce l’essenza del tipo di donna a cui questi personaggi aspirano.
“Sono felice di poter dire di essere qui, ho gli stessi problemi realistici che ha chiunque altro, e mi fa piacere parlare di come risolverò quei problemi. In effetti, sono una persona felice ma non penso che sia una mia responsabilità poiché trans quella di essere felice”.
Hai voluto mettere al centro il tema della de-transizione del personaggio forse più complesso tra i tre, James che poi diventa Amy che poi diventa Ames. Bellissimo questo gioco con i nomi, che credo sia importante. La mia domanda è: quanto valore ed effetto hanno le nostre scelte sulla vita degli altri? E quanto questo può essere importante? Se consideriamo il personaggio di James, per esempio, la sua transizione ha avuto certi effetti, la sua de-transizione ne ha avuti altri che non riguardano solo lui ma anche le persone che gli stanno accanto, prima, dopo e durante.
Penso tu abbia centrato il punto, soprattutto per quel che riguarda James. Il gioco di parole è James-Amy-Ames: quando Amy affronta la de-transizione, non torna esattamente ad essere il personaggio originale di James, ma c’è una differenza, perfino nel nome. Ciò che voglio dire è che la de-transizione per come la intendo io non è semplicemente un binario che ti porta in una direzione e poi torni indietro; io vedo la de-transizione come un modo di adattarsi al luogo del mondo in cui ti trovi e c’è una sorta di linea arbitraria uomo-donna ma, la maggior parte delle volte, quando le persone fanno una de-transizione, non lo fanno perché hanno fatto un errore e vogliono tornare indietro, ma lo fanno perché si stanno costantemente riadattando a chi sono nel mondo in un momento particolare della loro vita, che infatti è quello che tutti noi facciamo. A vent’anni, una persona potrebbe sentirsi più femminile e poi a 30 potrebbe non sentirsi più così femminile oppure potrebbe aver adottato un nuovo modo di muoversi nel mondo e penso che la stessa cosa valga per le persone trans.
Tutti si aspettano che se sei trans, significa che hai fatto la transizione e diventerai quello, ma in effetti la maggior parte delle volte non lo sai di preciso, non centri sempre l’obiettivo al primo tentativo, devi vivere la tua vita e avere la libertà di compiere delle scelte e rimpiangere quelle scelte e adattare le tue scelte. In parte, il motivo per cui mi concentro sul tema della de-transizione in questo libro è la capacità delle persone trans di avere rimpianti. Non siamo forze della natura, non sappiamo sempre tutto, spesso ci sbagliamo, e sbagliare è utile per imparare, fai errori e rendi la tua vita migliore; se non dai ai trans l’opportunità di sbagliare, allora noi non potremo mai cambiare, non potremo mai migliorare le nostre vite.
I personaggi li hai avuti tutti in mente ben delineati sin dall’inizio, quando hai deciso di iniziare a scrivere questo libro, oppure si sono sviluppati/ti hanno sorpreso in qualche modo durante il processo di scrittura? E hai scoperto qualcosa di nuovo su te stessa mentre scrivevi di Ames, Reese, e Katrina?
La prima voce che ho sentito è stata quella di Reese, quella voce sbarazzina era facile da sentire per me e quindi all’inizio la storia la scrivevo principalmente dal punto di vista di Reese. Poi è successo che sono andata in Messico con un mio amico per farmi l’operazione di transizione, perché a quel tempo in Messico era più facile sbrigare le procedure che negli Stati Uniti, quindi siamo andati a Guadalajara ma io ancora non avevo cambiato il passaporto, quindi risultato un uomo sulla carta ed ero terrorizzata del controllo alla dogana; avevo però un vecchio completo maschile, lo stesso che ha Ames, quindi sono andata ai controlli, ho indossato questi vestiti che sembravano direttamente usciti da “Le iene” e li ho tenuti su per evitare qualsivoglia problema col mio passaporto; una volta arrivata dall’altra parte, ho scoperto che mi avevano perso il bagaglio, quindi in parole povere ho passato una settimana in Messico indossando quel completo maschile e infatti ho iniziato a sentirmi parecchio dissociata da me stessa; da un lato, ero contenta di ricordarmi ancora come ci si sentisse a muoversi nel mondo nei panni di un uomo, il rispetto che ricevi se sei un uomo, la deferenza, come quando entri in un negozio e nessuno ti incute timore, ma dall’altro lato mi sentivo lontanissima, come se mi stessi osservando dall’alto. La voce che mi parlava quando indossavo quel completo in Messico è poi diventata la voce di Ames, in Messico quindi ho trovato la voce di Ames. Una parte del libro in realtà l’ho scritta anche con la voce di Katrina, ma non funzionava quindi alla fine ho deciso di tenere solo Reese ed Ames. Credo che le tre voci corrispondano in effetti a diversi aspetti di me stessa in momenti diversi della mia vita; per esempio, adesso sono sorpresa di scoprire che mi riconosco di più in Katrina, nel suo modo di stare al mondo, nel suo bisogno di stabilità e chiarezza che corrisponde in maniera più precisa alla persona che sono oggi, mentre non mi riconosco più tanto in Ames.
Thanks to Mondadori