Un’intervista con Travis Van Winkle è molto più di una semplice sequenza di domande e risposte su lavoro e vita: è un’analisi profonda dell’animo umano e delle situazioni in cui vita e lavoro ci catapultano, nel nostro mondo sovra-sollecitato e già inondato dalla frenesia del sapere e realizzare. Travis, invece, ha trovato le sue tasche di pace, le sue zone di calma e i suoi metodi per raggiungere anche gli obiettivi più ambiziosi.
Perfettamente integrato in una nuova, grande famiglia, quella di “You”, nella cui terza stagione interpreta il biohacker Cary, il “re di Madre Linda”, Travis si sente parte di una famiglia ancora più grande di uomini e donne, in cui regna l’uguaglianza a prescindere da fattori genetici e sociali. Una famiglia che sogna ad occhi aperti, perché purtroppo non esiste ancora.
Tra personaggi senza limiti, intense preparazioni fisiche, pause yoga ed escursioni nella natura, Travis ci ha raccontato un bellissimo scorcio della sua esperienza di lavoro e di vita.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Di sicuro ce n’è un altro prima di questo, ma al momento ricordo della volta in cui ero al cinema a vedere “Titanic” con mia madre e una sua amica, e mi impressionò la portata dal film, mi sembrò così grande; ricordo di aver pianto e di non volere che mia madre mi vedesse piangere, quindi, mi giravo in continuazione dall’altro lato e cercavo di trattenere le lacrime e fare il duro. Quello è stato un momento che mi ha ispirato a voler diventare parte di quel mondo.
A proposito di “You”, invece, tu sei uno dei nuovi membri della famiglia. Nella terza stagione, appena uscita, interpreti un personaggio di nome Cary, un uomo facoltoso con cui Joe fa amicizia. Chi è Cary, e che ruolo avrà nella nuova vita di Joe nel sobborgo californiano?
Cary è un uomo che vuole fare del bene nel mondo, e vuole insegnare a tutti ciò che ha imparato, ciò che funziona per lui. Ha un modo tutto suo di comunicare con le persone, rimettendole in contatto con il loro io più profondo, con il loro nucleo interiore. La sua missione nei confronti degli uomini, quindi, è chiara: riconnetterli a quell’anima perduta che hanno dentro. Cary è ed ha un po’ tutto: è un uomo di famiglia, un marito fantastico, un padre, possiede un’azienda di integratori, è un biohacker professionista… Diciamo che è un bravo venditore, ma in realtà non ti sta vendendo niente, il prodotto è lui stesso. Quindi, quando invita Joe nel suo mondo, Joe è un pesce fuor d’acqua, e Cary capisce che quest’uomo è represso e ha bisogno di una scossa; l’ironia di questo rapporto è che Cary fa di tutto per cercare di far emergere la bestia che c’è dentro di lui, mentre Joe fa di tutto per cercare di tenersela dentro quella bestia, perché sa quello che può succedere quando viene liberata. La dinamica tra di noi è parecchio divertente, ci si possono aspettare tante sorprese con Joe e Cary.
Quindi Cary come si inserisce nella trama della serie, e quali sono le dinamiche relazionali con gli altri personaggi?
In realtà, si tratta sempre di me e mia moglie, Cary e Sherry Conrad, e noi due siamo il re e la regina di Madre Linda. Viviamo in questa comunità perfetta, in una società perfetta, e Joe e Love sono carne fresca, quindi noi li invitiamo nella nostra cerchia ristretta e gli facciamo conoscere il nostro stile di vita: Joe e Love iniziano a diventare amici di Sherry e Cary e così nasce un rapporto pieno di sorprese.
Nel corso della stagione, questo rapporto si sviluppa e sembra andare in una direzione precisa, ma alla fine… si scopre che non è quello che sembra.
Eri fan della serie o dei libri anche prima di far parte del cast? O te ne sei innamorato strada facendo?
Prima che mi capitasse questo ruolo, avevo sentito parlare della serie, ma non l’avevo mai vista e non avevo mai letto i libri, quindi, quando mi è stato proposto il ruolo, ho divorato la serie e me ne sono innamorato, e mi sono reso conto che non era solo un selvaggio thriller psicologico – parla di ossessione, assassinio, e argomenti molto cupi – ma è anche esilarante, satirico, è una cronaca di tutti noi, e tutti noi potremmo riconoscerci nella storia, tutti potremmo trovarci un pezzo di noi. Sono rimasto colpito dal tipo di narrazione e da quanto sia avvincente, ed ero entusiasta di entrare a far parte di una serie con un pubblico così vasto, credo che racconti le varie storie in un modo che cattura gli spettatori.
Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura e la prima domanda che hai rivolto al regista/ai creatori della serie?
Una delle prime domande che ho fatto è stata: “Cos’è che Cary non vuole che la gente sappia? Quali sono i segreti di Cary?”. Poi, volevo conoscere le sue origini: da dove viene, qual è il suo rapporto con le dinamiche familiari? Volevo conoscere la storia delle sue origini. Ero anche entusiasta di interpretare un personaggio che sembra non avere limiti, infatti ciò che mi piace di Cary è che per lui ciò che conta di più è l’eccellenza: se l’eccellenza si trova in cima ad una montagna, lui si mette in marcia per raggiungerla e niente può fermarlo. Ad alcuni potrebbe non stare simpatico per i valori in cui crede, perché ha opinioni molto salde e di solito ha ragione, ha sempre avuto successo nella vita e l’eccellenza sarà qualcosa che otterrà per certo. Trovo che interpretare un personaggio del genere sia molto divertente, lui non ha limiti, quindi non sai fin dove può spingersi. Non vedo l’ora che vediate la serie, sarà super divertente.
Hai lavorato con un personal trainer e seguito una dieta particolare per questa serie: come ti sei preparato? Come hai costruito il tuo personaggio?
La mia preparazione è stata intensa, e sono convinto che la fisicità del personaggio dia molte informazioni su di esso, molto più del suo atteggiamento, la fisicità concretizza i suoi pensieri e sentimenti. Quindi, ho deciso che volevo mettere su 5 kg di massa muscolare e ho assunto Grant Roberts, che è un nutrizionista e allenatore straordinario – ha trasformato Kumail Nanjiani in un supereroe per il suo nuovo film, che uscirà il mese prossimo. La mia preparazione è stata davvero intensa, avevo circa due mesi per mettere su quei 5 kg, quindi abbiamo messo insieme un programma nutrizionale mirato: lui mi ha dato alcune macroistruzioni da seguire, le proteine, i grassi e i carboidrati che avrei dovuto assumere. La mia dieta prevedeva 240 grammi di proteine al giorno, 130 grammi di grassi e 100 grammi di carboidrati, 5 giorni alla settimana e poi, i weekend, avevo i miei “load meal”, i pasti più carichi di roba, in cui mangiavo pizza, hamburger, cioccolato, dolci, e cose così, e mi riempivo di tutti quei carboidrati e poi mi allenavo intensamente il lunedì e il martedì, e pompavo sangue nei muscoli che volevo potenziare, quindi il processo consisteva nell’aumentare la massa muscolare e bruciare grassi. Mi allenavo 5 giorni alla settimana, facevo cardio una volta alla settimana, avevo un giorno di riposo, e sono stato incredibilmente rigido nel seguire il mio piano nutrizionale, non ho mai saltato neanche un giorno di allenamento, non ho sgarrato mai con la dieta, ho fatto tutto quello che Grant mi diceva di fare, perché è dimostrato che sa quello che fa, quindi, non gli dicevo mai di no, sono stato un ottimo allievo. Ho la mia palestra personale in garage, quindi ho anche avuto modo di seguire tutte le sue istruzioni; nessuno poteva farlo al posto mio, dovevo prendere l’iniziativa e auto-motivarmi, e credo che far parte di una grossa serie tv come “You” sia abbastanza motivante di per sé, perché la guarderanno milioni di persone. Comunque sia, prima di tutto, io volevo sentirmi come Cary, diventare Cary, e quello è stato uno dei modi per far sì accadesse.
“…volevo sentirmi come Cary, diventare Cary…”
Cosa ti fa dire di sì ad un progetto?
Prima di tutto, voglio che l’idea mi entusiasmi. Se leggo qualcosa e mi provoca un certo entusiasmo, o se mi spaventa un pochino e mi fa pensare, “Mi sta provocando?” o se l’entusiasmo che provo nei confronti del personaggio mi fa pensare, “Questo tipo lo conosco, posso farlo venir fuori,” allora è un sì. Di solito, provo una sensazione precisa quando so che qualcosa è in linea con me: molto spesso, le cose funzionano in sincronia, e il progetto si incastra perfettamente con la mia storia, o è qualcosa che mi interessa. C’è sempre una sorta di allineamento degli elementi, ma anche le tempistiche dei vari ruoli sono importanti. Un sacco di fattori entrano in ballo, ma credo che il sentimento che mi porta a dire di sì sia una specie di crescendo che alla fine mi porta ad una conclusione: “Voglio farlo! Questa parte è mia!”. [ride]
Tra i temi principali affrontati in “You” rientrano i pericoli della cultura dei social media e la mancanza di privacy che l’uso dei social comporta: qual è il tuo rapporto con i social media, come hanno influenzato la tua vita? E qual è, secondo te, il modo giusto in cui bisognerebbe farne uso?
È una domanda profonda, e penso che la risposta debba includere una serie di fattori… C’è un documentario su Netflix che si chiama “The Social Dilemma” e racconta i risultati di tante ricerche scientifiche sull’effetto derivante dall’uso regolare dei social media e cosa questo può comportare, negativamente, a livello psicologico. Ne viene fuori che chi ha creato i social l’ha fatto con l’intenzione di dar vita a qualcosa che ci avrebbe creato dipendenza, quindi, in pratica, i social funzionano come il gioco d’azzardo, le droghe, sollecitano le stesse risposte dai nostri corpi. Da un lato, sono molto pericolosi, ma dall’altro, sono ciò che ci consente di comunicare tra di noi a livello globale, e io, per esempio, ho la sensazione di imparare molto dal social media, molte delle news che leggo ogni giorno vengono dai social media, i social ci permettono di tenerci in contatto con gente collocata in ogni parte del mondo. Inoltre, i social si rivelano utili anche per alcuni elementi di servizio della mia vita – io lavoro con BuildOn, una onlus dedicata alla costruzione di scuole nel mondo, e sono un mentore nel Grande Fratello di Los Angeles, un programma che va in onda in tutti gli Stati Uniti. Quindi, attraverso queste piattaforme abbiamo anche la possibilità di condividere contenuti ed essere di ispirazione per gli altri, cosa che ritengo molto importante e utile.
Il mio rapporto con i social è un po’ enigmatico e complicato, poiché conosco bene le ripercussioni che i social potrebbero avere sul mio cervello, riducendo la mia soglia di attenzione, distraendomi in generale, sottraendomi al momento presente, all’esperienza del momento, perché, molto spesso, vi chiedete mai il vero motivo per cui state scattando una foto? State scattando una foto perché sarà un bel post da pubblicare su Instagram, o perché volete immortalare un momento che state vivendo? Secondo me, oggi, veniamo inconsciamente indotti a vivere certe esperienze dal pensiero che sarà figo condividerle sui social. Ma non è per quello che dovremmo vivere le esperienze della vita, non dovrebbe essere quella la nostra motivazione! Però penso proprio che i social stiano iniziando ad assumere il controllo su di noi. Io ho un rapporto di amore e odio nei loro confronti: credo siano utili per il lavoro, utili per connettermi in tempo reale con i miei fan, con le persone che hanno visto alcuni dei miei film e serie, e mi piace anche il fatto che mi consentano di avere una piattaforma su cui esprimermi, che sia in maniera scherzosa o per progetti a cui sto lavorando. Ti sto dando una risposta lunghissima, ma voglio essere sincero: a volte, mi ritrovo ad amare i social media, altre volte mi sento fin troppo dipendente dai feedback e dalla necessità di postare storie, e mi lascio intrattenere troppo da essi e distrarre dalla mia vita vera. Quindi, ho bisogno di equilibrio, e quell’equilibrio devo ancora trovarlo, e ci provo costantemente.
“Secondo me, oggi, veniamo inconsciamente indotti a vivere certe esperienze dal pensiero che sarà figo condividerle sui social”.
Sei un patito di yoga e hai un tuo centro di yoga a Los Angeles: cos’è che ami di questa disciplina e come influenza o migliora la tua vita quotidiana?
Bellissima domanda. Il centro di yoga che io e alcuni miei amici abbiamo aperto 5 anni fa si chiama Urban 728, è un centro di Hot Yoga, un posto stupendo, si trova a nord di Melrose e La Brea, se capiti a Los Angeles, dacci un’occhiata.
Mi sono innamorato dello yoga circa 12 anni fa e ne sono diventato un fanatico, non avevo mai fatto yoga prima. C’è un elemento spirituale intrinseco nell’azione del collegare il respiro con il movimento, che è una fonte naturale di calma: calma il sistema nervoso, concentra la mente, placa il cuore; allo stesso tempo, fa bene anche al corpo, ti fa eliminare le tossine, ti fa fare dello stretching, che è qualcosa che la nostra cultura non ci consente di fare troppo spesso, perché siamo sempre seduti in macchina, sulla sedia o sul divano. Lo yoga per me è diventato una componente che percepisco come salutare per la mia vita al punto da esserne diventato dipendente. Beh, se volete diventare dipendenti da qualcosa, assicuratevi che siano cose da cui potete trarre beneficio, che non facciano male a chi vi circonda – lo yoga? Direi perfetto! [ride] Io ne sono diventato dipendente, anche se devo ammettere che negli ultimi quattro anni non l’ho praticato molto, mi sono appassionato anche ad altre cose, come il basket, le nuotate nell’oceano, il paddle tennis, il sollevamento pesi, il trekking. Ad ogni modo, insomma, consiglio lo yoga, è una disciplina incredibilmente spirituale, ma anche pratica per la nostra salute, secondo me.
A proposito, la spiritualità e la salute sono due valori molto importanti per te: hai un mantra o segui una routine particolare che ti aiuta a gestire i ritmi frenetici della vita e del tuo lavoro?
Il mio metodo consiste nell’entrare in varie “tasche” dentro di me che mi consentono di meditare intensamente, infatti medito due volte al giorno, di solito 10-15 minuti al mattino, quando mi sveglio, e subito prima di cena. Dopo aver meditato, recito un qualche tipo di preghiera, dei bei pensieri che mi vengono in mente su alcune persone a cui mi ritrovo a pensare, e adoro stare in quella “tasca” là. Altre volte, è diverso, adesso per esempio, è da un po’ che non entro in modalità meditazione, e lo sento, sento di averne un bisogno quasi disperato e mi manca. Quindi, per me è una pratica a intermittenza e ho imparato ad accettarlo. Qualche anno fa, mi sarei flagellato e me la sarei presa col mondo, pensando, “Oh, mi manca la meditazione! Ho bisogno di meditare per forza!”. Ma la meditazione è l’esatto opposto di quella mentalità, è imparare ad accogliere il flusso di ogni cosa. La meditazione è un elemento importante della vita, è una pratica che ci consente di trovare il baricentro e ancorarci ogni giorno a questo mondo in cui siamo costantemente inondati di luci, tecnologia, news, e tutte queste miriadi di ideologie, guerre e conflitti.
È fondamentale trovare del tempo per verificare come ci sentiamo e trovare il nostro baricentro. Questa conversazione mi ha ispirato, probabilmente andrò a meditare dopo questa chiamata! [ride]
Prima hai menzionato l’associazione non-profit BuildOn, di cui tu sei sostenitore. A questo proposito, quali cambiamenti speri di vedere (e realizzare tu stesso) nel mondo?
Anche questa domanda è super profonda! Io sono un global ambassador di BuildOn, una onlus incentrata sulla promozione dell’educazione e dell’emancipazione. Hanno avviato un programma “Out of School” negli Stati Uniti, dedicato ai bambini leggermente al di sotto della soglia di povertà o che hanno una situazione familiare problematica, affinché abbiano una sorta di sfogo e che gli consenta anche di rendersi utili alla comunità. BuildOn li ispira a rendersi utili in qualunque modo abbiano voglia di farlo, quindi i bambini hanno davvero piena responsabilità del modo in cui vogliono dare una scossa alla comunità e fare servizio. Quando i bambini si sono impegnati in questa attività per un tempo sufficiente e hanno racimolato un numero sufficiente di ore di servizio, BuildOn li porta in giro per il mondo per andare a costruire scuole per comunità che le meritano davvero, in posti in cui l’istruzione non è facilmente accessibile, in cui spesso non c’è acqua corrente, né elettricità. Quindi, questi due mondi collidono, e avviene un bellissimo scambio culturale in cui i bambini americani imparano lezioni di vita in modo del tutto nuovo, la semplicità della gioia, imparano che non è necessario possedere ricchezze per essere felici, perché sono la comunità e la famiglia gli elementi essenziali per sopravvivere. Allo stesso modo, i bambini degli altri Paesi, che sia il Nepal, Haiti, Nicaragua, Malawi, o il Senegal, hanno modo di vedere com’è la vita di bambini identici a loro ma che vengono dall’altra parte del pianeta. C’è questo bellissimo scambio culturale, quindi, una condivisione di culture, il tutto basato sull’idea che l’istruzione è davvero in grado di spezzare i cicli di povertà e analfabetismo e poche prospettive di vita. BuildOn è un’organizzazione fantastica, stanno facendo un lavoro profondo, e fino ad ora hanno costruito circa 2000 scuole, io stesso ho partecipato alla costruzione di 7 di esse e ho allungato i miei tentacoli su 20/30 altre scuole. Quindi, se qualcuno dovesse essere interessato a costruire una scuola, BuildOn è una onlus eccezionale, tenetela in considerazione.
Quali cambiamenti vorrei vedere nel mondo? Direi, semplicemente, più uguaglianza in generale, per tutti gli uomini, tutte le donne, a prescindere dal sesso o da come ci si identifica, dall’orientamento sessuale, dal colore della pelle, dalla religione, dalla cultura, dalla politica. Uguaglianza, tutto qui, per vivere in un mondo in cui tutti riusciamo a renderci conto che siamo le stesse creature, fatti della stessa stoffa, che siamo tutti una grande famiglia. Quindi, direi che ciò che vorrei vedere è una celebrazione più onorevole di ciò che già esiste; ci siamo lasciati distrarre da ciò che la società ci ha imposto nel corso del tempo, della storia, l’amor proprio e il patriarcato hanno danneggiati parecchi di noi, e sono convinto che la soluzione sia ristabilire l’uguaglianza: è un passo molto importante da compiere, e chissà se mai ci arriveremo, ma penso sia quello l’obiettivo.
“…siamo le stesse creature, fatti della stessa stoffa, siamo tutti una grande famiglia”.
L’ultima cosa che hai scoperto su te stesso?
Che faccio schifo a ricordarmi i compleanni! E mi basterebbe semplicemente metterli nel telefono e attivare i promemoria! Ecco cosa ho imparato, che voglio essere più bravo a onorare le persone che amo nel loro giorno speciale.
Se hai bisogno di una pausa, dove te ne vai?
Nella natura. Mi addentrerei nella natura, di qualunque forma: andrei in spiaggia, affonderei i piedi nella sabbia, mi tufferei nell’oceano, andrei a fare una bella escursione, mi farei un giro nella foresta, andrei in bici… Immergermi nella natura è la maniera più efficace per ricaricarmi, la natura rappresenta sempre il riflesso di ciò che abbiamo bisogno di vedere, è il nostro mentore e la nostra insegnante più brava, il promemoria di un tipo di perfezione che trovo stimolante.
Hai mai avuto un epic fail al lavoro?
Sì! Ho avuto tantissimi epic fail in tantissimi lavori! Ricordo la volta in cui dovevo recitare il mio primo ruolo da guest star, era il 2004 forse, e la serie era “Raven”. È una sitcom, quindi prevedeva una prima fase di prove in cui facevi un table read, poi abbozzavi un’interpretazione della sceneggiatura, e alla fine i produttori venivano a guardare quello che ne era venuto fuori. Questo schema si ripeteva per un paio di giorni e poi si iniziava con le riprese dei live. Durante una di queste prove, il regista venne da me, mi portò in disparte e mi disse, “Dobbiamo parlare,” e io gli dissi, “Okay,” quindi lui mi fece sedere e mi disse, “Non stai andando alla grande, devi fare di meglio, quindi lavoriamoci su, okay?”. [ride] Fu uno di quei momenti in cui trovai molto bello che qualcuno mi stesse difendendo – ero sicuramente nervoso, era il mio primo lavoro, stavo ancora imparando come cavolo si recita! [ride] – ma al contempo mi stesse parlando schiettamente, dicendomi che non stavo andando bene; mi ha stimolato a essere più rigoroso e darmi da fare, mettermi al lavoro, e chiedere aiuto e non avere problemi a chiedere e ricevere aiuto, perché invece credo che la nostra società ci abbia abituati a provare vergogna nel chiedere aiuto e spinti a cercare di fare tutto da soli, ma quello non era proprio il caso. Per me, il mio “fallimento”, in quella situazione, è stato una grande lezione.
Sono convinto che i nostri fallimenti possano essere grandi lezioni se scegliamo di considerarli da quella prospettiva.
Qual è il tuo must-have sul set?
Il mio cane.
Che cosa significa, per te, sentirti a tuo agio nella tua pelle?
Credo corrisponda con una sorta di senso di neutralità: nella vita, ci capitano un sacco di cose e noi reagiamo di conseguenza, reagiamo all’ambiente in cui viviamo, quindi, sentirmi a mio agio nella mia pelle credo significhi mantenere uno spirito neutrale. C’è un che di pacifico nello stato neutro. Non sono sempre in grado di raggiungerlo, ma penso possa essere un’ottima fonte di pace interiore.
Di cosa hai paura?
Credo che ognuno di noi abbia un potenziale dentro, che cambia di persona in persona: direi che la mia più grande paura è non riuscire a realizzare quel potenziale.
Qual è la tua isola felice?
Nuotare nell’oceano con il mio cane.