Ci sono libri che non sono semplice storie: ci sono libri che sono pezzi di anima e che vanno a costituire nuovi capitoli della propria vita. Per me, tutti i libri di Valentina D’Urbano sono proprio questo, un’estensione cartacea del mio cuore capace di trasmettermi sempre nuove emozioni attraverso le trame e i personaggi. Aver avuto l’occasione di parlare con Valentina del suo ultimo romanzo, “Figlia del temporale” è stato ben più di una semplice occasione: è stata l’opportunità di conoscere una scrittrice virtuosa, che sa parlare di umanità, amore, dolore e cambiamento con una sensibilità e una delicatezza uniche nel panorama non solo italiano, ma internazionale. Valentina ci ha presentato Hira/Mael, conducendoci nei boschi aspri dell’Albania dove essere donna, essere libera ed essere indipendente significa poco e, allo stesso tempo, significa qualcosa di diverso. Attraverso una nuova voce femminile che parla di un’esperienza “limitata” ma universale sotto certi aspetti e che è parte di Valentina stessa (come tutti gli altri suoi personaggi), ci ricordiamo ancora una volta l’aspra bellezza della vita. E che salvarsi da soli, a volta, è l’unica salvezza possibile.
“Figlia del temporale” è un romanzo ancora una volta diverso, ancora una volta con una voce narrante forte e portata, dal contesto, da ciò che le accede o da quello che è e si sente di essere, a cambiare. Ci sono stati, di recente o meno, dei cambiamenti nella tua vita o a cui hai assistito che ti hanno portata a dar vita ad una storia con un contesto così specifico come quell’ dell’Albania degli anni ‘70/’80?
Ho scritto questo romanzo in un momento di profonda crisi personale. La fine della scrittura ha coinciso con una completa rivoluzione di quella che era stata la mia vita fino a quel momento. Anche se l’idea di questa storia è arrivata anni fa, credo che comunque si avverta al suo interno l’influenza della mia vita personale, la resistenza al cambiamento, l’accettazione e infine la presa di coscienza delle mie necessità. I libri non si scrivono da soli, dietro c’è sempre un essere umano con tutto il bagaglio emotivo che si porta dietro. Anche se poi la storia narrata è lontana anni luce dal vissuto personale dell’autore.
Come hai condotto le ricerche sulla storia e il folklore di questo paese?
Tanto studio, tanta documentazione storica e fotografica, tante interviste e chiacchierate informali con chi il regime di Hoxha lo ha vissuto davvero, con chi in Albania c’è nato e vissuto. Sono stati due anni di ricerche intense, di vicoli ciechi, di porte sbattute in faccia. Ma anche di storie potenti e commoventi, di tradizioni affascinanti quanto sconosciute, di immensa ricchezza umana.
Hira/Mael mette il lettore di fronte all’importanza dell’identità, della ricerca di sé e del ruolo che il corpo gioca nel mostrarci agli altri. Ti sei ispirata a qualcuno di particolare per la sua voce? E quanto ti ha sorpreso come personaggio nel corso della scrittura, come si è evoluto?
Quando ho iniziato a scrivere avevo chiarissimo in mente chi era Hira e come poi avrebbe assunto l’identità di Mael, quindi conoscevo già la mia protagonista. Questo non vuol dire che non sia stata una sfida impegnativa, anche perché la vita di Hira è quanto di più lontano da me io possa immaginare.
Generalmente, le donne dei tuoi romanzi si spezzano, si ricostruiscono e scoprono la loro forza e il loro desiderio di ribellione man mano che la storia si sviluppa. Qual è l’elemento nella tua vita che ti aiuta a rimanere “intera” (quasi per citare un discorso di questo libro), per non dover rinunciare a qualcosa di tuo o a spezzarti nel processo?
Potrei dirtene tante: la forza interiore, il coraggio di non rispondere alle aspettative della società, la psicoterapia. Ma voglio essere più sincera di così, più brutale: l’indipendenza economica. Ecco cosa mi ha permesso di smarcarmi, ribellarmi e rimanere intera. Avere delle entrate mie, per cui non dovevo dire grazie a nessuno, per cui non dovevo chiedere il permesso a nessuno.
Avevo e ho la grande fortuna di avere “una stanza tutta per me” dove potermi esprimere in libertà.
Il paese dove vivono gli zii di Hira e il bosco di Astrit sono più che un paesaggio di sfondo, sono protagonisti a loro volta della trama. Anche questo elemento si ritrova nei tuoi romanzi, l’importanza del contesto che non è mai solo contorno, ma sempre parte integrante della narrazione. Quanto è difficile equilibrare anche questo aspetto alla caratterizzazione dei personaggi e allo sviluppo della trama proprio? Solitamente, dai già in che contesto culturale/sociale svilupperai la tua storia quando ti approcci alla stesura di nuovo libro?
Certo, sì, storia e contesto nascono insieme, non possono sopravvivere l’uno senza l’altra. Nel caso di figlia del temporale poi, il contesto è necessario allo sviluppo della figura di Mael. Il fenomeno delle Vergini Giurate è stato documentato solo in una piccola zona montuosa divisa tra Albania, Montenegro e Kosovo. È una storia legatissima al territorio in cui cresce. Magari nei romanzi precedenti avrei potuto fare scelte diverse, in quest’ultimo era proprio impossibile.
Essere salvati o salvarsi da soli, grazie alla presenza/assenza dell’amore, che nei tuoi romanzi è sempre un sentimento viscerale, che ci mette a nudo. Come lettrice, non trovo a livello italiano o internazionale una descrizione dell’amore così unica come quella che sai mettere per iscritto tu. Amare ed essere amati quindi: che cosa rappresenta per te questo concetto così ricco di sfumature e interpretazioni?
Ho sempre bene in mente che ci si salva da soli. L’amore è condivisione e reciprocità non un salvagente per stare a galla. Poi nei miei romanzi racconto di amori spesso un po’ borderline, sofferti o impossibili, ma è fiction. I miei personaggi maschili son tremendi, spesso più delle mie protagoniste femminili, si scannano e si tengono testa a vicenda (oppure muoiono giovani e muoiono malissimo). Nei libri queste dinamiche sono belle e appassionanti, nella vita vera ti portano in analisi!
Da “Il rumore dei tuoi passi” a “Figlia del temporale”, come è cambiato il tuo rapporto con la scrittura? Sai già dove ti piacerebbe che ti portasse prossimamente?
“Il rumore dei tuoi passi” era un gioco, un romanzo scritto per me, non mi aspettavo di pubblicarlo davvero. Poi la scrittura è diventata un lavoro, con le sue scadenze e le sue responsabilità. Ho dovuto impostare ritmi diversi, mi lascio trasportare ma fino a un certo punto, quando scrivo tengo sempre bene a mente che la storia ha la precedenza su di me. Ho imparato moltissimo grazie alla collaborazione con i miei editor (Fabrizio Cocco in Longanesi e Linda Fava in Mondadori, due persone che non ringrazierò mai abbastanza per avermi reso l’autrice che sono oggi… grazie, miei amati editor!). Spero di continuare a fare questo lavoro per sempre e vorrei riuscire a pubblicare con tempi meno lunghi, come facevo all’inizio.
Quanto di Valentina c’è in Hira, Beatrice, Celeste, Fortuna, Neve, Angelica?
In tutte loro c’è molto di me. Negli anni però, ho imparato a nascondermi dietro alle mie protagoniste femminili, lascio che siano loro a parlare. Beatrice, che è la prima, è stata l’unica in cui mi sono mostrata con tutta la rabbia dei miei venticinque anni, il desiderio di riscatto e le asperità del mio carattere in bella vista. Negli anni ho affinato la tecnica, mi sono mimetizzata meglio, scrivendo si impara anche a non raccontarsi troppo, a lasciare spazio al personaggio.
“Ho sempre bene in mente che ci si salva da soli”
Qual è stato il tuo più grande atto di ribellione fino ad ora?
Ho lasciato una situazione molto comoda, ordinata e rassicurante, e una casa acquistata con grandi sacrifici perché non ero più felice. Le persone a me vicine non mi hanno capita, forse sarò sembrata pazza, sicuramente sconsiderata. Però mi sono accorta che alla quieta, serena infelicità preferisco una turbolenta incertezza. Almeno so di essere ancora viva. Mi è sembrata l’unica scelta possibile, ma ho scoperto che non tutti sono della mia opinione, anzi.
Il libro, o i libri, sul tuo comodino in questo momento.
“I sette mariti di Evelyn Hugo” di Taylor Jenkins Reid e “Works” di Vitaliano Trevisan.
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stessa grazie anche a “Figlia del temporale”?
Che i cambiamenti sono spesso dolorosi ma necessari. Che non si può restare fermi tutta la vita. E che se non cambiamo rischiamo di scomparire.
Che cosa significa sentirti a tuo agio nella tua pelle?
Sapere che sono in grado di fare una muta e cambiare pelle quando serve.
Qual è la tua isola felice?
Gli amici stretti, quelli che reputo famiglia. I molti progetti per il futuro. E anche il sacco e i guanti da boxe.
Thanks to Mondadori
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