Sedute al tavolo di un caffè milanese, con un vassoio di Veneziane e tazze di caffè a creare l’atmosfera tipicamente italiana, ho riconosciuto la mente straordinaria e lo spirito intraprendente di Veronika Strotmann, co-fondatrice insieme a Sander van Bladel del brand di skincare coreano Yepoda.
Abbiamo approfondito la storia di Yepoda, una piccola ma grande idea nata dal gioco di squadra di marito e moglie, ispirata dall’interesse globale per il K-beauty e dal desiderio di coniugare l’innovazione nella skincare con valori di sostenibilità. Yepoda è nata dalle loro esperienze di viaggio, quando di ritorno in Europa dalla Corea, riempivano le valige di prodotti K-beauty richiesti dagli amici, alimentando così il sogno di un brand che integra i rigorosi standard della cura della pelle coreana con pratiche etiche, vegane ed eco-sostenibili. Durante la nostra chiacchierata, Veronika ha raccontato come il loro team ha affrontato le sfide – come lo sviluppo di formule senza microplastiche e con packaging sostenibile – rimanendo fedeli al loro impegno di non scendere mai a compromessi.
Una cosa è certa: il K-beauty sta ridefinendo l’industria a livello globale e Yepoda è una delle forze trainanti del suo successo in Europa.
Ricordi quando e qual è stata la scintilla che ti ha fatto intuire: “Abbiamo bisogno di una realtà come Yepoda”?
Io e mio marito abbiamo fondato il brand insieme. Lui è coreano per metà, quindi andiamo molto spesso in Corea, e i nostri amici europei ci chiedevano sempre di portargli prodotti K-beauty, perché li vedevano su YouTube.
Così, abbiamo capito dalla nostra esperienza personale che gente non coreana voleva provare il K-beauty, quindi ad un certo punto abbiamo pensato: “Okay, forse piuttosto che portare dalla Corea una valigia piena di regali, perché non portiamo il K-beauty in Europa ad un livello professionale?”. Così, abbiamo iniziato a pensare a come procedere e abbiamo pianificato una strategia, e si è tutto sviluppato in modo molto naturale. Volevamo unire l’innovazione – la skincare routine – con quello che vediamo costantemente nel mercato europeo, come l’attenzione alla sostenibilità, al vegan e al cruelty-free.
Volevamo formulare dei prodotti che combinassero il meglio dei due mondi.
Tutto è partito da qui e poi c’è stata una lunga fase di product developement; nel 2019, abbiamo contattato una serie di laboratori coreani, ma non è stato facile perché se vuoi fare prodotti innovativi e vegani, quindi con una grande quantità di ingredienti naturali, il product developement diventa un’operazione complicata, ma alla fine siamo riusciti a risolvere tutte le problematiche. Sin dall’inizio ci siamo detti che non saremmo scesi a compromessi sui prodotti: vogliamo solo lanciare prodotti che soddisfino tutti i nostri criteri, e di cui siamo convinti al 100%.
Abbiamo dovuto posticipare il lancio del brand di quattro mesi perché il nostro detergente ha una formula molto particolare, priva di microplastiche, difficile da creare. Ci è voluto più tempo del previsto per finalizzarla, ma volevamo assicurarci che il risultato finale fosse quello che volevamo noi.
Com’è stata la tua esperienza con Yepoda finora? Quando vi ci è voluto per trovare un equilibrio tra i vostri valori, le esigenze del mercato e l’idea di portare il K-beauty in Europa?
Abbiamo pensato a cinque pilastri per il nostro brand: k-beauty, clean beauty, sostenibilità, efficacia (perché a volte i prodotti dei brand clean perdono un po’ di efficacia, ma noi volevamo che i nostri fossero super funzionali) e divertimento. Abbiamo voluto formulare prodotti user-friendly, piacevoli da usare, ed essere presenti sui social media così che i consumatori potessero affezionarsi al brand, e farci tutte le domande che volevano. Stessa cosa per i nostri pop-up store, vogliamo creare un’esperienza speciale e divertente per il pubblico.
Questi cinque pilastri sono già molto bilanciati perché noi non scendiamo mai a compromessi, controlliamo sempre che i nostri prodotti rispettino tutti i cinque pilastri. È così che manteniamo l’equilibrio. Ovviamente, per noi è molto importante comunicare sempre con i clienti e la community, chiedergli come si trovano con i nostri prodotti, se gli piacciono e la loro esperienza con gli acquisti online. Sono informazioni molto utili anche per capire dove migliorare: il cliente è sempre la cosa più importante, dico bene?
Certo.
Come dicevi, Yepoda non scende a compromessi. In un mondo e campo in cui la sostenibilità è ancora un work in progress, come riuscite a mantener fede a questa promessa?
È il bello di essere un piccolo brand: hai un po’ più di flessibilità, mentre se fai parte di una società molto grande, ci vuole molto più tempo per ottenere le varie approvazioni. Noi, invece, siamo più agili e veloci, è questo il nostro vantaggio e non ci resta che sfruttarlo.
Impostare in questo modo un brand sin dall’inizio magari è più facile che realizzare dei cambiamenti più in là nel tempo: noi abbiamo sempre avuto le idee chiare su come dovrebbe essere, e su cosa è importante per noi, sin dall’inizio. Inoltre, è fondamentale anche trovare i giusti partner, soprattutto nel laboratorio e in tutte le fasi di produzione: i soci devono essere allineati a noi, condividere i nostri valori, e capire perché sono importanti per noi. Se hai i giusti partner, lavori insieme per raggiungere un obiettivo comune.
Inoltre, noi non accettiamo un “no” come risposta. Sin dall’inizio, ci siamo fatti strada nell’industria del beauty come innovatori, e ci dicevano sempre, “Questo non è possibile”, “Possiamo farlo ma è molto complicato, ecco perché di solito non lo fa nessuno”, ma noi ribattevamo sempre, “Proviamoci!”, per poi scoprire che “è possibile ma è solo più difficile”.
“clear beauty, clean beauty, sostenibilità, efficacia e divertimento“
In che modo vi impegnate costantemente a migliorare i livelli di sostenibilità del vostro brand? Quali sono le sfide principali che dovete affrontare e come le superate?
Di recente abbiamo raggiunto un traguardo di sostenibilità, perché abbiamo lanciato una versione refillable di quasi tutti i nostri prodotti, che è una cosa che volevamo fare sin dall’inizio, ma è stato difficile, abbiamo avuto un sacco di porte in faccia e c’è voluto un po’ perché il nostro team trovasse una soluzione. Ad ogni modo, ora ce l’abbiamo fatta! Finalmente la maggior parte dei nostri prodotti sono refillable e anche i packaging sono completamente biodegradabili, per non creare ulteriori sprechi. Ci abbiamo lavorato su per molto tempo e ora è un progetto importantissimo, fuori dal comune, ma oltre a questo abbiamo in cantiere altre ottime iniziative. Per esempio, siamo da sempre partner di One Percent for the Planet, un’iniziativa dei founder di Patagonia, pionieri nella sostenibilità che si spingono sempre oltre i propri limiti. I membri dell’associazione donano l’1% delle loro entrate a progetti ambientali – non dei profitti, il che è una grande differenza. Credo sia un’iniziativa bellissima e se tutte le aziende vi aderissero, sarebbe una svolta molto importante, se tutti donassimo l’1% delle nostre entrate, sarebbe pazzesco.
Dal canto nostro, abbiamo iniziato come un’azienda molto piccola quattro anni fa, ma ogni anno cresciamo tantissimo, il che genera un impatto sempre maggiore, anche solo con quell’1% di donazione. Stiamo ottenendo ottimi feedback, perché siamo in costante crescita!
L’argomento sostenibilità è multidirezionale, secondo me, riguarda gli ingredienti, il packaging, e anche iniziative che prendi al di fuori dei prodotti.
Come descriveresti l’impatto dell’industria K-beauty a livello globale?
Se n’è parlato per parecchio tempo, e secondo alcuni è solo una moda passeggera, che ad un certo punto sarà passata, ma non secondo me è più di questo, il K-beauty è qui per restarci. Hai presente, si dice “macchine tedesche, orologi svizzeri, cuoio italiano” come emblema di qualità, e penso che anche il K-beauty sia qualcosa di paragonabile: la Corea ha stabilito nuovi standard nell’industria del beauty, perché lì c’è innovazione continua, nuovi ingredienti, nuove tecnologie. È stata rivoluzionaria a livello globale e ora tutti quanti stanno seguendo l’esempio della Corea, motivo per cui io sono convinta che non sia un trend, piuttosto un vero e proprio movimento che ha cambiato tutta l’industria.
In che modo i social hanno influenzato e migliorato il tuo approccio all’industria del beauty?
I social sono fondamentali in quello che facciamo ed è un vantaggio per noi essere un giovane brand, perché ci consente di essere più giocosi, vicini alla comunità, un po’ una sorta di “amici divertenti e di supporto” nel loro viaggio skincare. È questo che stiamo cercando di essere, e sin dall’inizio tutti i nostri mercati hanno deciso di utilizzare un approccio localizzato. Ecco perché abbiamo un account italiano, uno francese, uno spagnolo, eccetera, perché vogliamo parlare con la nostra community “direttamente”, e vogliamo dargli la possibilità di chiederci quello che vogliono, senza limiti e confini, e questo funziona se usiamo il linguaggio del posto. Siamo molto presenti su Instagram, siamo stati uno dei primi brand ad utilizzare TikTok nel marketing, e credo sia una mossa intelligente da parte del nostro team marketing puntare tanto su TikTok. Per i clienti è sicuramente utile, perché ottengono un sacco di informazioni e possono farci un sacco di domande, ma è utile anche per noi, perché possiamo fare noi stessi domande alla community, ottenere informazioni, quindi vale in entrambi i sensi.
TikTok in particolare sta andando forte, perché lì puoi pubblicizzare un prodotto in maniera molto simpatica e tutti subito e improvvisamente iniziano a parlarne. È successo con il nostro Dewy Day, il fondotinta che abbiamo lanciato con un grande evento: tutti quanti hanno iniziato a parlare dell’evento e del prodotto, che dal niente è diventato uno dei nostri bestseller, e tutto grazie a Instagram e TikTok.
Il K-beauty si basa sull’ottenere una pelle naturale, sana e luminosa attraverso una serie di step specifici. Quali sono i must-have nella tua beauty routine?
È un argomento interessante, perché so che a volte alla gente spaventano i numerosi step previsti dalla skincare routine coreana, si lamentano che richiede troppo tempo. Eppure, la maggior parte dei nostri clienti compra una full routine di 5-6 step, il che indica che vogliono davvero prendersi cura della propria pelle. La skincare routine coreana è così da sempre, preventiva, di modo che ogni step abbia la sua funzione specifica – costruisci ora una routine che ti aiuterà a mantenere una pelle sana in futuro. Secondo me, oggi sempre più persone la vedono così, vogliono seguire una skincare routine per questo motivo.
Nella mia beauty routine non può mancare il nostro balsamo detergente, il Calm Balm, lo adoro e non vivo senza. Oltre a quello, uso ogni giorno il Bubble Double e il Mist Have, di cui all’inizio pensavo di non aver bisogno, ma ora ne sono dipendente, non posso vivere senza. Poi, mi piacciono moltissimo le nostre nuove creme idratanti, l’oil-free che abbiamo lanciato da poco, e le SPF, quella in crema e quella in stick.
“La skincare routine coreana è così da sempre, preventiva, di modo che ogni step abbia la sua funzione specifica – costruisci ora una routine che ti aiuterà a mantenere una pelle sana in futuro”.
Qual è il prodotto K-beauty che raccomanderesti a chi approccia questo mondo per la prima volta, e perché?
Io raccomanderei sempre la doppia detersione.
Per qualsiasi tipo di pelle? Perché io ho sempre pensato che la doppia detersione potesse essere un po’ troppo aggressiva…
Tutti i nostri prodotti sono dermatologicamente testati per pelli sensibili, quindi anche se hai la pelle sensibile, la doppia detersione va benissimo. Anche per chi non è un grande fan della skincare routine coreana, la detersione è super importante perché se la tua pelle non è propriamente pulita, nessuno degli altri prodotti che applichi successivamente può funzionare al meglio – per esempio, senza detersione, applicheresti del siero su pori ostruiti, il che produrrebbe solo la metà dei risultati. Ecco perché la detersione dovrebbe essere alla base di tutte le skincare routine: bisognerebbe sempre iniziare con la detersione per vedere gli effetti di tutti gli altri prodotti che applichi successivamente.
C’è qualcosa sul futuro di Yepoda che ci puoi anticipare? Magari alcuni nuovi lanci?
Ci saranno parecchi nuovi lanci il prossimo anno. Ora ce ne manca uno solo, un prodotto che uscirà a dicembre e… non sarà per il viso: lanceremo una crema mani. È uno dei prodotti che la community vorrebbe da tempo e di cui ci chiede spesso, soprattutto in inverno.
Qual è stato, nella tua carriera, il tuo atto di ribellione più grande?
Abbiamo compiuto diversi atti di ribellione contro il laboratorio, perché lì ci dicevano sempre: “No, non possiamo farlo così”, “Non possiamo realizzare un detergente senza microplastiche”, ma noi ribattevamo sempre, “Dobbiamo riprovarci“, dicevamo. Ad esempio, non abbiamo prodotto maschere usa e getta per i primi due anni e mezzo di Yepoda, perché le maschere in tessuto sono un prodotto non riutilizzabile, quindi non sostenibili, e le persone della nostra community ci chiedevano: “Ok, siete un brand di k-beauty, ma come potete non avere maschere in tessuto?”. Ma il laboratorio ci diceva: “Non possiamo renderle sostenibili, siamo esperti di maschere in tessuto, è così che bisogna farle”, mentre noi dicevamo: “Proviamo una nuova soluzione“. Infatti, alla fine abbiamo lanciato le nostre maschere in tessuto totalmente biodegradabili, sia a livello di packaging sia la maschera in sé.
Ci vuole sempre una certa resistenza e una certa ribellione quando si ha a che fare con il laboratorio, ma alla fine, funziona tutto sempre.
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stessa?
Sai com’è, all’inizio pensi che tutto sia possibile, ma questo ti fa venire anche molti dubbi, a volte ti chiedi: “In che direzione devo andare?”. Ora, siamo attivi da quattro anni e quest’anno ho capito che siamo in un buon momento e che devo fidarmi della mia intuizione. Naturalmente, bisogna ascoltare i clienti e le loro esigenze, guardare i dati e ascoltare il team, ma penso che, soprattutto come founder, tu debba anche seguire l’intuito. Ora ho capito che a volte bisogna fidarsi del proprio istinto e guidare il brand in quella direzione.
Cosa significa per te sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Ora ho quasi 34 anni, e mi ci è voluto del tempo per capirlo, il che va di pari passo con quello che dicevo sulla fiducia nell’intuito, ma ho realizzato che tutto sta nel non dubitare troppo, ma fidarsi del proprio istinto e seguirlo. Sentirsi a proprio agio nella propria pelle, nelle proprie decisioni, è qualcosa che impari nel tempo. A dire il vero, fondare un’azienda è piuttosto spaventoso, ci sono molte cose che possono andare storte, e alla fine ognuno ha il suo percorso, quindi non penso che sia una questione di giusto o sbagliato, c’è semplicemente una strada “giusta” da seguire per ognuno, che bisogna scoprire, e ci possono essere più modi per arrivare a destinazione.
Credo sia davvero importante non dubitare di ogni cosa che fai, perché è la vita, la vivi e ne fai il meglio possibile; a volte puoi commettere un errore, ma poi vai avanti, mentre se dubiti di tutto continuamente, non ti godi nulla. Se fai parte di un’azienda, anche nei momenti di stress, devi cercare di goderti il viaggio.
Thanks to MM Studio.