Chi ha visto “Jane the Virgin” non può non pensare a lei come al personaggio che ha avuto, nel tempo, un arco più completo, colei che è cambiata di più e che con il suo tono ironico è riuscita ad arrivare fino all’ultima puntata e, per fortuna, al suo happy ending (non è stata la sola a temere per il suo destino).
Stiamo parlando di Petra Solano, uno dei personaggi femminili più belli della serie tv, interpretata da Yael Grobglas, che con il suo ritmo comico e la sua interpretazione sfaccettata, ci ha regalato grandi emozioni per ben 5 stagioni, 5 anni.
La serie tv “Jane the Virgin” non è solo importante dal punto di vista del panorama televisivo, per il suo innovativo metodo di narrazione e al mix di stili come quello delle telenovela, ma perché è stata pioniera nella rappresentazione di donne vere, della comunità Latina e con un cast e crew che sono per la maggior parte donne, aprendo così per primi un dibattito sull’uguaglianza sul set e sull’uguaglianza dei lavoratori del set: dai creativi ai macchinisti.
Dobbiamo ammetterlo, quando siamo stati a Los Angeles per intervistare Yael, eravamo emozionati: dopo 5 anni passati a tifare per lei, non vedevamo l’ora di conoscerla, di chiederle tutto quello che potevamo sulla serie ma anche sui suoi prossimi progetti.
Una donna dallo spirito meraviglioso, con un viso con cui riesce a comunicare tutto e una voglia immensa di raccontarsi e raccontare le storie degli altri, e di farlo in un modo nuovo, ogni volta. Superata la stroncatura della sua florida carriera da modella, Yael lo ha capito subito: era lei, la recitazione ad essere la sua grande passione. Tra il suo epico fail (forse il più “disastroso” raccontato finora) e il suo sogno di dirigere, abbiamo parlato di un po’ di tutto.
Adesso però non vediamo l’ora di vedere quale sarà il suo prossimo passo, ma senza correre.
Ti ricordi del momento preciso in cui hai deciso di voler fare l’attrice e cosa hai fatto dopo averlo capito?
Strano a dirsi, ma non ci sono poi così tanti momenti particolari della mia vita che ricordo, però quello lì sì. Sono stata una modella terribile per un brevissimo periodo e una delle poche cose che ho fatto è stata una sfilata. Ci avevano insegnato come camminare sui tacchi arrivando alla fine della passerella per poi voltarci e mantenere la classica espressione seria, e per la prima volta avrei indossato un vestito molto elegante. I miei genitori erano nel pubblico e io ero così emozionata che avevo un sorriso enorme stampato in faccia e conclusi la sfilata facendo un inchino prima di voltarmi. Dietro le quinte mi urlarono addosso, mi dissero “non era quello che dovevi fare”, ed avevano ragione, il tuo compito è quello di mostrare il vestito che indossi con grazia ed eleganza, e non attirare l’attenzione sul tuo viso.
Mio padre, che era stato un regista in Francia e in Israele, mi disse: “ascolta, non sarai una modella, ma potresti essere un’attrice, è evidente che ti piace stare sotto i riflettori”. Io gli risposi “no, non so di che parli, non voglio fare l’attrice”, ma lui mi disse “prendi qualche lezione” e io così feci, mi iscrissi ad un corso locale e il primo giorno, dopo i primi 15 minuti, pensai: “okay, questo è ciò che devo fare nella vita”.
All’improvviso tutto aveva un senso e, guardandomi indietro, mi resi conto che la strana collezione di cose che sapevo fare e che mi piaceva fare, come quando facevo le facce strane e la gente mi diceva che ero brava, aveva senso. Ciò che feci immediatamente dopo fu andare alla mia agenzia di moda e dire che non avrei più fatto la modella, ma che avrei fatto dei provini di recitazione. Cambiai agente e ottenni presto il ruolo principale in una serie israeliana sci-fi per ragazzi che andò in onda per tre anni e io girai 158 episodi. Quindi, senza alcuna esperienza di recitazione, fui lanciata nel profondo oceano, senza saper nuotare. Avevo bisogno che mi spiegassero cose del tipo “questa è la telecamera, qui ci sono le luci, fai sembrare tutto vero”. Mi innamorai così tanto del mio nuovo lavoro che dopo i primi 50 episodi, alla fine della prima stagione, mi dissero: “beh, è andata benissimo, ci vediamo l’anno prossimo”. Avevo capito cosa farne della mia vita e volevo continuare a farlo, quindi mi iscrissi ad una scuola di recitazione in Israele, perché volevo stare sul palco e sapere cosa stessi facendo. Ho frequentato quella scuola per tre anni e contemporaneamente lavoravo, mi ci buttai a capofitto ed è un approccio che cerco di adottare sempre.
“Mi iscrissi ad un corso locale e il primo giorno, dopo i primi 15 minuti, pensai: ‘okay, questo è ciò che devo fare nella vita’”.
Il nostro personaggio preferito di “Jane the Virgin” è Petra, insieme a Rogelio…
Oh grazie, mi piace essere accoppiata con Rogelio. Quando mi chiedono “se avessi potuto interpretare un altro personaggio, chi avresti scelto?” io rispondo sempre “Rogelio”.
Petra è il personaggio che cambia di più nel corso della serie: qual è il tuo momento preferito con lei?
Mi viene da ridere, perché quando ho conosciuto Petra, non avevo idea di cosa aspettarmi. Nel pilot, che è tutto ciò che di solito ti è concesso leggere prima di accettare un lavoro, c’era scritto molto poco di lei, se non che era una “moglie trofeo” e che non era previsto fosse un personaggio divertente, ma Jennie Urman, la creatrice della serie – una donna brillante, così come il team di sceneggiatori – ha davvero scritto pensando agli attori e, dopo esserci conosciute un po’ meglio, ho notato che una certa comicità fisica ha iniziato ad insinuarsi nel personaggio di Petra. Mi sono innamorata di lei nel momento in cui era incinta e durante il parto, è stato allora che l’ho conosciuta davvero.
“Ho notato che una certa comicità fisica ha iniziato ad insinuarsi nel personaggio di Petra”.
Ogni personaggio della serie è così ben caratterizzato, ognuno ha delle particolarità, adoriamo che ci sia spazio per tutti. Com’è stato lavorare con gli tutti: scrittori, produttori e attori?
Ora mi sento estremamente viziata, perché è stato un sogno. È stata una di quelle rare situazioni in cui non devi sforzarti di trovare delle cose carine da dire, tutti sono davvero meravigliosi, la troupe, il cast, gli sceneggiatori, i registi, anche l’atmosfera era fantastica. Eravamo una delle rare serie con uno showrunner donna, le prime tre persone del callsheet erano donne, così come la maggior parte degli sceneggiatori e dei registi, e questo non capita spesso, abbiamo spianato la strada ad un bel cambiamento in quel dipartimento, quindi ne sono estremamente fiera. Poi, la gente era così piacevole che andare a lavoro significava arrivare sul set e vedere le persone più impegnate, Gina e Jennie, la protagonista e l’ideatrice della serie, sempre felici di essere lì e pronte a diffondere buon umore, dando l’esempio al resto di noi, quindi il set era un posto allegro e meraviglioso in cui stare.
Nella serie, affrontate molti argomenti importanti, ma lo fate in modo divertente…
È vero! La serie è riuscita a bilanciare le tematiche in modo perfetto, parlando di temi molto importanti, come hai detto tu, ma raccontando le storie di queste persone in modo delicato e accattivante, così da non suonare troppo moraleggiante o forzata. L’idea era: “queste sono le storie di queste persone, così è come stanno affrontando le cose e questo è il nostro punto di vista sulle cose”. È stato fatto con la giusta dose di comicità e fascino e nel modo migliore possibile.
“Eravamo una delle rare serie con uno showrunner donna, le prime tre persone del callsheet erano donne, così come la maggior parte degli sceneggiatori e dei registi, e questo non capita spesso, abbiamo spianato la strada ad un bel cambiamento in quel dipartimento”.
C’è stato spazio per l’improvvisazione?
L’improvvisazione non era nel copione. Io cercavo costantemente di aggiungere piccole cose, e la maggior parte di queste veniva tagliata, ma a volte, quando le mie aggiunte venivano mantenute, ero davvero sorpresa. Ad esempio, piccoli tratti strani di Anežka,. Oppure nella scena in cui Jane dice a Petra che le vuole bene e si aspetta che Petra le risponda allo stesso modo, ma Petra dice “no, non se ne parla, non voglio dirlo” e poi dice “d’accordo. Ti voglio bene” e Jane l’abbraccia e Petra le da un bacio sulla fronte: quel bacio sulla fronte non era nel copione, ma io continuavo a darglielo, sentivo che doveva esserci e alla fine non l’hanno tagliato e io ero contentissima. Tra l’altro, pare sia diventato il momento preferito di alcuni fan.
Quanto è difficile lasciar andare un personaggio dopo averlo interpretato per così tanti anni e stagioni?
Sono contenta che non sia morta, ha avuto un lieto fine. L’addio lo gestisco fingendo che questi personaggi continuino a vivere, come se le loro storie continuassero e noi semplicemente non possiamo vederle, perché col tempo i personaggi diventano tuoi amici, inizi a preoccuparti per loro, non pensi che ci sia una fine alle loro vite.
Se possedessi un hotel, come lo chiameresti?
“Chez Yael”! E ci sarebbe tantissimo tè, tantissimi gatti e tantissimi libri. Probabilmente sarebbe un hotel molto strano…
In che modo pensi che “Jane the Virgin” abbia cambiato la televisione?
Mi piace pensare che, per molti versi, abbia contribuito al grosso cambiamento che la televisione ha subito, essendo una serie gestita da donne in molti dipartimenti, ma anche considerando tutto quello che ha fatto per la comunità latino-americana, raccontando una bella storia.
Ti piacerebbe dirigere o produrre?
Sarebbe fantastico. In realtà sono stata assistente alla regia per tre volte in “Jane the Virgin”, ma alla fine non sono riuscita a dirigere nessun episodio, anche se mi sarebbe piaciuto e spero di farcela in qualche progetto futuro. Mi sono informata su alcuni workshop e ho letto dei libri sulla regia, voglio frequentare qualche corso. Adesso so un po’ meglio come funzionano le cose negli Stati Uniti, perché qui hanno un modo di gestire il set completamente diverso rispetto al mio Paese, quindi sento di potermici buttare a capofitto e iniziare a pensare seriamente a qualche esperimento di regia.
“L’addio lo gestisco fingendo che questi personaggi continuino a vivere, come se le loro storie continuassero e noi semplicemente non possiamo vederle”.
C’è un genere con cui ti piacerebbe cimentarti come regista?
Probabilmente comincerei con qualcosa di divertente e poi mi avventurerei verso il genere drammatico. Il mio genere preferito, sia da attrice che da regista, sarebbe una combinazione di commedia e dramma. Come “Fleabag”, divertente, ma al contempo serio. Una delle cose che adoro di “Jane the Virgin” è che era una serie molto divertente, ma anche concreta, c’erano tante lacrime e tante risate, a volte negli stessi cinque minuti! [ride] È il tipo di impostazione su cui preferisco lavorare e ho la sensazione che dietro la macchina da presa sarebbe lo stesso.
Qual è il tuo “guilty pleasure” film?
Anche se non mi sento esattamente “guilty”, non ho sensi di colpa, alcuni film che potrebbero rientrare nella categoria sono “Intervista col vampiro”, “10 cose che odio di te”, “Stage Beauty” e “Titanic” che credo di aver visto cinque volte al cinema quando è uscito, ne ero ossessionata. Una volta, ero a casa da sola, malata, quando una mia amica è venuta a trovare per vedere come stavo e mi ha trovata sul divano, in un bagno di lacrime, a guardare “Titanic”. Mi ha detto: “perché ti stai facendo questo?”; io le ho risposto: “Sentivo di averne bisogno in questo momento!” [ride] Adesso è diventata una tradizione, guardare “Titanic” quando sono malata.
Una serie da divorare e una da assaporare?
Non lo so, io non so assaporare, sono terribile, se una serie mi piace tanto la divoro. L’ultimo binge-watch è stato “Fleabag”.
Il film che ti fa piangere?
“Titanic”, per sempre, ancora, e per il resto dell’eternità.
“L’ultimo binge-watch è stato ‘Fleabag”’.
Qual è il tuo film israeliano, americano e francese preferito?
Non ne ho uno preferito in assoluto, è difficile, perché mi piacciono cose diverse a seconda delle fasi della mia vita. Uno francese che ho visto di recente e mi è piaciuto molto, si chiama “Mon Roi” di Maïwenn; uno israeliano è “Zero Motivation”, anche perché nel cast ci sono molti miei amici, e in più è un film che ci fa vedere l’esercito israeliano da una prospettiva interessante, perché parla delle donne nell’esercito ed è anche molto divertente; il mio film americano preferito… ce ne sono così tanti, non riesco a scegliere! Mi viene in mente questo film, che però non è americano, ma mi è piaciuto tanto, “Jojo Rabbit”.
Hai mai avuto un “epic fail” sul set?
Certo, almeno uno al giorno! [ride]
Ho lavorato per circa 8 anni in Israele prima di ottenere il mio primo ruolo americano; ero stata a Los Angeles per un paio di settimane e in qualche modo ero riuscita ad ottenere la parte principale nel pilot di una serie americana, decisamente uno dei momenti più emozionati della mia vita. Presi un volo per Budapest da Israele, ero la prima nel callsheet, e non sapevo nemmeno cosa volesse dire questa cosa. Avevo due settimane per prendere lezioni di equitazione, di scherma, di walzer, e cose del genere; ogni giorno avevo un attacco di panico, era tutto così incredibile e fantastico e travolgente, il cast si sarebbe presto riunito per lavorare con questo grandissimo regista, e poi alla fine arrivò il primo giorno di riprese e… Io non so correre. So spostarmi velocemente da un latro all’altro della stanza, ma sembro un’idiota mentre lo faccio e per qualche scherzo del destino mi ritrovo sempre a dover correre in ogni ruolo, anche in quelli in cui meno te lo aspetti.
“Jane the Virgin” era finalmente qualcosa in cui non avrei dovuto correre, ma poi, ovviamente, chi è che viene rapito da Roman Zazo e finisce a dover correre in mezzo ad una maledetta foresta? Io. [ride]
Ad ogni modo, tornando a Budapest, la prima scena che scelgono di girare è quella in cui ci sono io che devo correre su per una rampa di scale in un castello. Era inverno, a Budapest, io sono israeliana, avevo visto la neve tipo una volta nella mia vita, il pavimento era ghiacciato, eravamo in un castello vero in mezzo al nulla, fuori Budapest, era la prima scena, tutti erano super eccitati, della serie “ecco la nostra protagonista, abbiamo scommesso su di lei, è israeliana, negli Stati Uniti non la conosce nessuno”. Il regista dice “Azione!”, io corro su per le scale e stando al copione devo lanciarmi contro il muro per slanciarmi nella direzione opposta, quindi corro su per le scale e mi lancio di faccia contro il muro e mi strappo via la pelle di metà faccia. Ci fu un silenzio tombale, e la mia reazione, quando mi faccio male, di solito è far finta che sto bene, ma le lacrime mi sgorgavano dagli occhi, e in più mi sentivo un’idiota. Eravamo in mezzo al nulla, quindi non ci restò che interrompere tutto dopo un solo ciak. Mi sistemarono la faccia, in qualche modo, e io riuscii a sopravvivere. È proprio da me, fare una figura del genere.
Nel corso della tua carriera, fino ad ora, hai mai vissuto un momento difficile e come l’hai superato?
Secondo me, il momento più difficile quando ami il tuo lavoro quanto lo amo io, è quando non fai niente. In quanto persona creativa, ho questa specie di impulso a creare cose, quindi devo sempre trovare un modo per incanalarlo ed essere produttiva, fare cose con la mia creatività, il che per me significa anche cucinare e dipingere, pensare ad idee per serie tv e così via.
A parte questo, il momento più critico che ho vissuto nel corso della mia carriera è stato quando vivevo ancora in Israele e avevo da poco girato a Los Angeles il pilot di “Jane the Virgin”. Una volta tornata a casa, mi dissero che la serie era stata approvata, e avevo circa due settimane per fare le valige e partire. Lasciai a Israele il mio ragazzo, i miei genitori, il mio gatto, il che fu devastante, perché a lui non puoi davvero spiegare cosa sta succedendo, e dovevo spostarmi dall’altra parte del mondo, cosa che non mi aspettavo di dover fare, e in più ero sola. Quindi è stata dura, e come l’ho superata? L’ho semplicemente fatto! Penso abbia aiutato anche il fatto che, stranamente, nel mondo dello spettacolo, ti aspetti sempre che il tuo personaggio venga ucciso ad un certo punto, e mi aspettavo che Petra morisse fino all’ultimo episodio, perciò pensavo che il trasferimento non fosse permanente.
Col tempo mi sono innamorata di Los Angeles e ora sono qui, la mia carriera sta decollando qui, ma non ho mai pensato: “oh, ecco, mi sto trasferendo ed è per sempre”. È stato quello il momento più difficile che ho vissuto finora.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Produrre un essere umano [ride] e ci sono un paio di cose su cui sto lavorando e che spero di realizzare, audizioni, e poi vedremo! Strano, ma ora mi piace non sapere cosa succederà. Sto leggendo molte sceneggiature e mi sto guardando intorno, ma l’obiettivo principale resta produrre un essere umano, fare una piccola persona!
Photos and Video by Johnny Carrano.
Makeup by Emily Cheng.
Hair by Karina Vega Tulao.
Styling by Serra Geris.
Thanks to No Vacancy.
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