Vedere Cuba & The Cameraman è stata un’esperienza forte, profondamente emozionale. È come se il film riversasse un’onda di realtà sugli spettatori, ininterrottamente per due ore: episodi di vita quotidiana cadono come gocce di pioggia, uno dopo l’altro, in quell’oceano di unicità, rischio e di difficoltà che è stata la Rivoluzione Cubana.
Il reportage trasmette autenticità, e lo è.
È come seguire i protagonisti attraverso gli anni. Alla fine del film anche il più disinteressato scoprirà che, in un modo o nell’altro, anche lui tiene a Louis, a Caridad, ai tre fratelli. Parlando onestamente, è impossibile guardare Cuba & The Cameraman senza esserne coinvolti sul piano personale, sul piano umano: nessun può, o dovrebbe, guardare vite snodarsi di fronte ai suoi occhi e rimanerne distaccato.
Questo è uno dei grandi meriti di questo documentario: si focalizza sulle persone, le guarda attraverso lo specchio della rivoluzione.
Il protagonista non è Fidel Castro, non sono i contadini con la loro vita semplice. La protagonista è la realtà nella sua forma più pura e vera. La protagonista è Cuba, con la sua sanità pubblica, la sua mancanza di servizi e la sua visione unica delle cose.
Cuba & The Cameraman è, in effetti, il titolo perfetto: sono questi i due protagonisti del documentario. Capirlo è il primo passo per permettere ad una scheggia di realtà Cubana di infiltrarsi nella nostra vita.
Volenti o meno, questo film cambierà la visione di Cuba, del suo popolo, della sua Rivoluzione.
Abbiamo incontrato Jon Alpert al Marriott Hotel di Venezia, con ancora la memoria del suo documentario fresca nella nostra mente, in occasione della Mostra Internazionale del Cinema. Siamo saliti su una barca e siamo partiti, pronti a raggiungere la bella Isola delle Rose, dove Netflix ospitava le conferenze e dove eravamo attesi per l’intervista.
Durante il viaggio, abbiamo avuto tempo per discutere la stupefacente apertura a questo tipo di documentari dimostrata di recente dal famoso servizio di Streaming Online. È un’apertura mentale, questa, che è mancata alle reti televisive in passato, come dimostrato anche dalle difficoltà riscontrate da Jon Alpert nel suo paese d’origine.
È davvero bello vedere che una sorgente di contenuti grande e globale come Netflix renda finalmente questo documentario disponibile a tutti.
Dal principio, è stato chiaro che Jon fosse un uomo straordinario.
Vivace, curioso, con una conoscenza profonda del mondo ma con un’attitudine gentile, positiva, che ci ha subito messi a nostro agio. È una di quelle personalità davvero, davvero interessanti: una di quelle persone che hanno visto un’infinità di cose, fatto esperienza di moltissimi cambiamenti in prima persona, ma che non sono affatto intimidatorie.
Le cose che volevamo chiedere a Jon erano moltissime, sia riguardo la sua esperienza personale che riguardo le persone che ha seguito attraverso la recente storia di Cuba, e lui è stato molto disponibile nel rispondere, andando a scavare ancora più a fondo nella sua storia.
Cuba & The Cameraman sarà disponibile su Netflix entro la fine del 2017 e, davvero, è un film che merita di essere aggiunto a tutte le watchlist: se non altro, per entrare in contatto con le meravigliose persone che Jon Alpert ha filmato a Cuba.
Storie di grandi uomini e di grandi donne, storie di potere, di difficoltà, di cambiamenti e di felicità. Ma soprattutto storie che sono così, come le vediamo: senza filtri, vere.
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Quando hai deciso di trasformare il reportage in un documentario?
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Eravamo su una barca, al confine Cubano. Un’untià di pattuglia ci impediva l’accesso all’isola.
Gli ho domandato, dalla nostra barca: “Se la rivoluzione è così bella, perchè non volete che la vediamo?” e loro ci bloccavano, ripetevano ininterrottamente: “Non potete accedere, non potete accedere”.
E infine, dopo tre giorni in cui mi stavano ad ascoltare, dovevano pur farmi stare zitto: così hanno portato due gigantesche Cadillac e ci hanno fatto fare un tour di tre ore di Havana.
Ci hanno mostrato il nuovo progetto urbanistico e poi han detto: “Addio, andatevene sulla barca, non vi vogliamo più vedere”.
Questa è stata la nostra prima spedizione: non avevamo molto accesso. Ma si poteva sentire, in quel momento, una sorta di eccitazione nel paese, come se stessero davvero costruendo qualcosa per la prima volta. È una sensazione da pelle d’oca. E il fatto che fosse proibito, da Cuba ma anche dall’America, è il tipo di cosa che ti fa ribollire il sangue.
Così siamo tornati; ci sono voluti due anni per avere un nuovo accesso.
Giocavo a Baseball con i Cubani ogni domenica, cercando di fare amicizia. Io e i miei amici.
E alla fine, gli siamo piaciuti e ci hanno invitato: a quei tempi non era mai facile avere un buon accesso ed erano molto restrittivi. Ma ci hanno visti tentare di sgattaiolare attraverso tutte le loro restrizioni e, alla fine, ci hanno mostrato di più. Ma non avrei mai pensato che avremmo seguito queste persone per quarant’anni.
Penso che con l’età, con l’esperienza, abbia capito che era importante mostrare la Rivoluzione Cubana sul lungo periodo. Perchè ci sono promesse e ci sono realtà, ma non vedremo mai la realtà se ci fermiamo.
Tutte queste persone sono miei amici e tutte le restrizioni dei reporter non mi sono mai state applicate. Perchè erano miei amici e semplicemente potevo andare a trovarli.
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Perchè hai deciso di mostrare il film qui, a Venezia?
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Allora, l’idea di iniziare a seguire tutti è arrivata circa quindici, vent’anni fa, poco dopo la metà del progetto. Non sono così intelligente, quindi mi è servito un poì per realizzare che questo sarebbe potuto diventare qualcosa di interessante. Quindi abbiamo iniziato a focalizzarci quasi esclusivamente su tre storie e su Fidel.
E Venezia è stato come se il Paradiso si fosse aperto, lasciando intravedere la luce. Siamo molto contenti di essere qui.
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Quali sono i cambiamenti che più ti hanno colpito, personalmente, durante la Rivoluzione?
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I cambiamenti che mi hanno colpito personalmente, ma che hanno colpito quasliasi cubano, sono stati in quell’oscuro, speciale momento in cui l’85% della loro economia è crollata in una notte. Potete immaginarlo? Come sarebbe se ciascuno di noi perdesse l’85% delle proprie risorse, così, dal nulla?
E non c’era davvero nulla che potessi fare per aiutare le persone che mi erano diventate amiche. Quella è stata una parte difficile, emozionante.
Anche verso la fine, quando persone che conoscevo bene e a cui ero affezionato sono diventate vecchie, e sapevo che sarebbero morte.
Quella parte è stata profondamente personale, sentita.
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Cosa pensi della popolazione di Cuba? Li abbiamo visti sempre ridere, nonostante i problemi… Cosa pensi di loro?
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Penso che sia una delle ragioni per cui si può imparare da questo documentario. A Cuba hanno un carattere davvero bello e unico.
Ridono in faccia a straordinarie avversità e sfide. Hanno spiriti positivi.
Facciamo un contrasto con la Nazionale di Calcio Italiana, ok?
Quando la Nazionale è in difficoltà, cosa fa? I giocatori diventano tristi, smettono di sorridere, smettono di provare… L’abbiamo visto contro la Spagna, no? Una volta giocavo per una squadra di calcio italiana, quindi ne capisco il carattere, che è diverso ripetto alle altre nazionalità.
E anche i Cubani hanno un carattere unico, una cultura diversa dalle altre. Questa è una delle ragioni per cui chiunque abbia un paio di centinaia di Dollari da parte dovrebbe andare a Cuba e vedere come stanno le cose.
Le cose sono destinate a cambiare, nessuno sa cosa succederà: a Febbraio Raul dichiarerà di voler lasciare il potere. Ci saranno altre persone al comando di Cuba, persone sulle quali nessuno è molto informato.
È un luogo interessante da visitare, sia negli aspetti positivi che nelle difficoltà.
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Dopo tutti questi anni, quale credi che sia il risultato della Rivoluzione Cubana?
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Credo che la rivoluzione Cubana sia salita al potere in un clima di grande eccitazione. Mi ha esaltato. Stavano cercando davvero di fare qualcosa, di creare entusiasmanti cambiamenti sociali. Chi non vuole una buona educazione, e gratuita? Chi non vuole la sanità pubblica? Chi non vuole una bella casa in cui vivere? La rivoluzione ha portato grandi progressi. Ha alfabetizzato la popolazione, portando in due anni educazione ad una popolazione per lo più analfabeta.
Ma chi è a Cuba oggi, i giovani, non hanno vissuto la rivoluzione.
Hanno una connessione molto distante dalle condizioni che, negli anni 50, hanno provocato la Rivoluzione.
E l’economia di Cuba è stagnante, c’è stato un livello molto basso di ricchezza personale negli ultimi trenta o quarant’anni.
E se ti svegli per trent’anni e la tua doccia non funziona, ogni mattina… sì, vuoi educazione gratuita, sì vuoi sanità gratuita, ma vuoi anche farti una bella doccia.
Le aspettative delle persone cambiano con il tempo. E, nonostante i servizi sociali di base siano stati mantenuti, tutti vogliono una crescita nella loro vita, tutti vogliamo una crescita personale: quindi è stato difficile, per la Rivoluzione, sopravvivere in queste aree.
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All’inizio menzioni il fatto che sia stato difficile entrare nel Paese. Ma come era vista la tua relazione con Cuba a casa, negli Stati Uniti, soprattutto considerati i rapporti tesi tra le Nazioni?
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La prima volta che siamo torntati da Cuba le autorità non volevano farci rientrare. Non sapevo cosa avrebbero fatto, ma ci stavano sostanzialmente ordinando di risalire sulla barca e abbandonare per sempre l’America.
Si trattava principalmente di esuli cubani che avevano ottenuto posizioni di pattugliamento del confine, ma noi avevamo i documenti che provavano che eravamo in regola. Non erano molto felici quando abbiamo dimostrato che ci era legalmente permesso di andare e che, come reporter, era nostro diritto.
Sapete, nel nostro lavoro, se si continuano a stuzzicare le persone al potere, ci saranno di sicuro delle conseguenze.
Sono diverse in ogni Paese: negli Stati Uniti generalmente non ti uccideranno, che è ottimo rispetto ad altri governi, ma di sicuro siamo stati aggiunti alla lista nera. E quando il nostro reportage su Cuba è stato reso pubblico in TV, gli esuli cubani hanno fatto saltare due stazioni televisive per protesta.
Ma non siamo stati censurati dalla TV Pubblica per Cuba: è stato un documentario sulla sanità. E la sanità è stato un problema molto serio negli Stati Uniti negli ultimi quarant’anni, lo è ad oggi. Una delle ragioni per cui mi interessava andare a Cuba era per vedere come i cubani se la cavavano con la sanità.
E poi, con la Prima Guerra del Golfo, siamo stati messi sulla lista nera anche dalla TV Commerciale.
Dopo abbiamo vinto il Premio per la Pace Italiano, per quel dovumentario, e uno per la Copertura Mediatica della Guerra. È stato un progetto ricevuto molto bene in Spagna e Italia.
Quindi sì, abbiamo avuto problemi: ma è il nostro lavoro fare quello che facciamo, ed è il nostro lavoro accettarne le conseguenze.
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E, parlando di Fidel Castro, come lo definiresti?
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Guardate la Rivoluzione Cubana, quella sorta di eroismo romantico che c’è in quello che ha fatto. Il fatto poi che abbiano vinto, che abbiano creato qualcosa di unico come esperimento sociale. Hanno fatto infuriare e hanno ispirato tutto il mondo. E Fidel è rimasto al potere cinquant’anni, sputando in un occhio a quell’America che ha cercato sempre di contrastarlo.
Avrebbe potuto fare meglio? Certo. Tutti possiamo fare meglio. È diventato molto testardo? Sì, forse anche come reazione al fatto che abbiamo provato a distruggerlo tutto il tempo. Ma di sicuro è stato una delle personalità più intriganti, forse, dell’intero Millennio.
E il fatto che abbia avuto la possibilità di vedere un lato di Fidel Castro che nessuno vede mai, nemmeno i Cubani, e poterlo condividere con voi…è molto bello.
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Il tuo ricordo più bello? Di Fidel come uomo, non come Comandante?
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Una volta ha scritto una giustificazione per mia figlia, per l’assenza da scuola: è stato fantastico.
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Anche il fatto che tu sia stato l’unico giornalista Americano a vedere questo lato di Fidel Castro è molto interessante.
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Penso che, proprio come le persone normali nel film, l’abbiamo visto invecchiare e morire. Ho fatto un film su mio padre, alla fine della sua vita, che è stato probabilmente il film più difficile e personale che abbia mai fatto. Qui avevo la stessa sensazione che, alla fine della lunga corsa della vita, ci sia qualcosa di inevitabile alla fine, qualcosa che succede a ciascuno di noi. E vedere Fidel in quel momento, alla fine della vita, è stato altrettanto importante ed emotivo.
Perchè è stato una persona che ha contrastato tutti ma, alla fine, non si può contrastare l’orologio che ticchetta per tutti.
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Secondo te, come verrà ricordato?
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Penso che abbia fatto qualcosa di straordinario. Mi sarebbe piaciuto che il mio Paese lo avesse lasciato in pace, almeno. In quel caso avremmo assistito alle conseguenze di quella sorta di esperimento sociale. Avrebbe potuto essere un bel laboratorio.
Insomma, Cuba è sempre stata il terreno di prova per le idee americane. Per esempio, la TV a colori è stata prima testata a Cuba: su una piccola parte di popolazione, vediamo se funziona e se piace. Avremmo potuto lasciarli provare, vedere. Ma abbiamo reso le cose difficili.
Avrei voluto vederla avere più chances di vittoria: forse sarebbe comunque crollata e allora avremmo davvero imparato qualcosa, non avremmo quell’idea romantica che il Comunismo o il Socialismo può funzionare sul serio.
Ma non lo sappiamo: perchè, di base, li abbiamo aiutati a fallire.
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Qual è il significato di Cuba per il Mondo?
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Penso che Cuba sia meravigliosamente complicata. E spero che, vendendo il nostro film su Netflix, le persone si sentano ispirate ad andare per vederla con i loro occhi. Ciò che è bello è che, come quando arrivi a Venezia, ne vedi subito l’unicità. Non c’è nulla di simile al mondo.
Per Cuba è lo stesso.
È ciò che è bello davvero, ora, è che ci sono stati alcuni cambiamenti nell’economia. Quindi, se non ci si può permettere un hotel, che sono dispendiosi, si può stare in un carinissimo appartamento Cubano per trenta Dollari a notte. E con cinque dollari in più ti preparano anche una bella colazione.
Si può andare a cena in questo ristorante Sardo, The Mediterranean, con pesce e pasta e una bella bottiglia di vino per venti Dollari. Allora si può assorbire l’unicità di Cuba.
Tutti dovrebbero andare.
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Pensi che durerà?
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No, nulla dura per sempre. Io non durerò per sempre, Fidel non è durato per sempre, Cuba non durerà per sempre. Le cose cambiano. Ma c’è qualcosa riguardo, per esempio, Venezia che durerà per sempre, anche quando sarà sotto il mare a causa del riscaldamento globale, come l’Havana. Ma ci sarà sempre qualcosa di unico a Cuba, il resto non importa.
È stata una rivoluzione affascinante: hanno preso questa cultura folle, sempre felice, “prendiamoci una bottiglia di rum e balliamo” e hanno messo a capo un regime comunista. E, wow, che razza di ibrido è?
È come mettere il motore di una Ferrari in una Fiat.
Quindi, no: le cose non cambieranno nei prossimi anni.
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Nell’era di Internet, sei riuscito a rimanere in contatto con i tuoi amici?
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Allora, la novità è che ogni volta che vado a Cuba passo per la fattoria, non importa il resto. I nipoti stanno gestendo le cose, ci sono molte persone. Hanno bisogno di una pompa, adesso: ricordate che nel film ottenevano un allacciamento all’acqua? La pompa si è rotta dieci anni fa. Uno dei problemi di Cuba è che non si ottengono i materiali per aggiustare le cose e loro non hanno abbastanza soldi per risolvere la questione.
Quindi questa è la situazione: sopravvivono, hanno cibo a sufficienza.
Louis si era lanciato nel mercato delle speculazioni: comprava e rivendeva appartamenti. Ma è stato coinvolto in altri affari del mercato nero, roba seria, ed è stato preso. Tutti i materiali da costruzione che vendeva? Sono arrivati e hanno preso tutto, non rimane nulla.
Sta ricominciando da zero.
Caridad è tornata a Cuba. Ha lavorato come bidella in una scuola, in Florida, ed ha risparmiato 18.000 Dollari. Non poteva comprare niente con quei soldi in Florida, ma si è presa una bella casa a Cuba. Sembrava piuttosto felice.
Wilder guida un camion di consegne per una farmacia a Tampa e dice di essere molto contento. Ha appena ottenuto la cittadinanza.
Sì, tutti nel film sono ok.