La prima cosa che si nota di questo film sono le inquadrature eccezionali sul volto di Natalie Portman, un volto completamente cambiato, sebbene non intriso di makeup o effetti speciali. Sembra proprio che per questa parte Natalie si sia sottoposta ad un cambiamento profondo, così profondo che le cambia anche il volto, lo sguardo: tutto. E vediamo come i gesti, l’accento, i tic nervosi, le manie di Jackie si riversano in maniera quasi spaventosa su un’eccezionale Natalie Portman. Così eccezionale che tanti, ed anche noi, pensiamo che sia la sua interpretazione migliore, una di quelle che rimarrà nel tempo.
Il film è un dialogo aperto e sincero tra Jackie e un giornalista dopo la morte di suo marito, il Presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy. E nel raccontarsi a questo giornalista Jackie ci fa vedere tutti quei momenti più intimi e che non sapremo mai come si siano realmente svolti: scene di lei che si pulisce dal sangue di suo marito in volto ma che nonostante tutto rifiuta di cambiarsi il famoso completo rosa Chanel sporco di sangue, perché “tutti devono sapere”; scene di lei che racconta ai bambini ciò che è successo e scene in cui rivede in modo nevrotico tutte le sue decisioni. Sì, non sapremo mai come sono andati veramente quei momenti, ma interpretati in quel modo sembrano darci una scorcio di quella che è stata la realtà senza mai, neanche una volta, metterla in discussione.
Il suo volto ci emoziona, ci fa stare sulle spine, ci fa provare dolore. In effetti la vita di Jackie è stata condita da tanto dolore: dai figli mai abbracciati al marito morto tra le braccia. Tutto questo con il mondo che la guardava. Ma lei le sue mani le ha sempre volute porgere al “suo popolo” per il quale lei era divenuta madre, amica, sorella e, alla fine, icona.
L’attrice ha dichiarato: “Di lei sapevo più o meno quello che sanno tutti, ma non l’avevo mai guardata da vicino, come essere umano. Ho trovato molto commovente il modo in cui, durante quella situazione terribile, ha dovuto tenere insieme il pubblico e il privato, essere il simbolo di una nazione, mentre era una donna annientata dalla sofferenza. Ho letto tutto quello che ho trovato sul suo conto, ho ascoltato le conversazioni con lo storico Arthur Schlesinger, ho appreso il suo modo di vivere, l’educazione ricevuta in famiglia e gli obiettivi con cui era stata allevata. E poi la maniera in cui si muoveva, e quella in cui parlava, perché aveva un accento molto particolare”.
Pablo Larrain, regista di “Jackie” presenta così il suo primo film americano con grande produzione. Il regista cileno riesce a non sprofondare in un ritratto patinato o tipico dell’immaginario, il film ha un’anima, ed è pure bella. Insomma, ci regala qualcosa di più di una ricostruzione storica.
Il film si concentra sui tre giorni seguenti la morte del Presidente non seguendo un rigoroso ordine cronologico ma piuttosto un percorso emozionale. Come già detto prima, la camera si concentra sempre su Jackie, ma con raffinatezza, grazia e sembra quasi, con rispetto.