“E’ come avere un grande fuoco nella propria anima e nessuno viene mai a scaldarvisi, e i passanti non vedono altro che un po’ di fumo, in alto, fuori dal camino, e se ne vanno per la loro strada”. Vincent Van Gogh.
Sono in molti a conoscere e amare la carriera artistica del più importante esponente post-impressionista, caratterizzata da colori vivi e cangianti e dall’amore per la natura reso nei suoi paesaggi; pochi però guardano i suoi capolavori considerando la sopravvivenza di Vincent Van Gogh ad una vita crudele e desolata.
Un uomo prima del genio; un artista che non ha voluto appartenere a nessuna corrente, che desiderava semplicemente dipingere il suo tormento e nel dipingere ritrovare la pace. In ventisette anni il pennello di Vincent Van Gogh viaggia dall’Olanda contadina e tetra, a Parigi, dove incontra la lucentezza dell’impressionismo e le stampe giapponesi, fino ad Arlès in Provence, la culla dei suoi più splendidi paesaggi. Finita la difficile convivenza con Paul Gauguin e il successivo ricovero in un ospedale psichiatrico, si trasferirà pou ad Auvers-sur-Oise, un villaggio che ispirerà Van Gogh con tale forza da portarlo a dipingere un quadro al giorno tra giardini, campi di grano e i vividi volti di alcuni dei suoi abitanti, facendo da sfondo ai suoi ultimi giorni di vita.
“Ora vorrei solo ritornare” (le ultime parole di Van Gogh prima di morire nel 1890) Il film “Loving Vincent” è appunto una sorta di ritorno del pittore, che con le sue opere non ha mai lasciato il mondo che amava, ma che tanto disprezzava allo stesso tempo. Un ritorno “cinematografico” dove cui le opere di Van Gogh rivivono in ogni singolo fotogramma del film, trasmettendo le emozioni impresse in ogni tela che ha accompagnato il pittore proprio durante quell’ultimo periodo ad Auvers.
Loving Vincent, diretto da Dorota Kobiela e Hugh Welchman, viene definito un film giallo d’animazione. Come il giallo acceso dei dipinti del giovane pittore, il film segue un filone “ad enigma“, indagando le possibili cause e artefici della morte del genio. Nel 1891 ad un anno dalla scomparsa, Armand Roulin figlio di un vecchio postino amico di Vincent, riceve dal padre il compito di consegnare a Theo Van Gogh, il fratello tanto amato, una lettera scritta dal pittore prima di morire che forse racchiude le vere cause della sua prematura morte.
Nonostante per alcuni la biografia e di conseguenza la morte del genio siano risapute, il film riesce ad immergere il pubblico in una narrazione chiara, ricca di intrigo e curiosità, nel tentativo di svelare, insieme al giovane Armand, il mistero dietro la perdita del più grande dei pittori moderni. Un mistero che si imprime nella avanguardistica animazione del film, tanto da renderlo originale e ‘nuovo’ agli occhi sia dello spettatore medio che a quelli del più fedele cinefilo.
Un dramma raccontato attraverso 60.000 tele e l’immenso lavoro di un gruppo di talentuosi pittori che, partendo da 94 opere di Van Gogh, hanno ricalcato fotogramma per fotogramma ogni ripresa, come per colorare un album di figure, riproducendo magnificamente lo stile di Vincent Van Gogh. E’ come se stessimo guardando un suo quadro in movimento mentre si lega e si immerge in un altro paesaggio, ammirando la vita come Van Gogh era solito farlo: Loving Vincent é dunque l’avverarsi del desiderio di vedere un quadro come “La notte stellata” (1889) animarsi, osservare la gente camminare tra le strade, i corvi volare muovendo “realmente” i filoni di grano (1890) ed entrare nella quiete de ‘il caffè di notte“(1888).
“Preferisco dipingere gli occhi degli uomini che le cattedrali, perchè negli occhi degli uomini c’è qualcosa che non c’è nelle cattedrali, per quanto maestose e imponenti siano.“.
Un immane progetto dovuto, oltre alla bravura della squadra di artisti che hanno reso il film un vero e proprio dipinto su tela, anche al cast, scelto appositamente per riprendere fedelmente i volti di quelli che erano i soggetti dei quadri che testimoniano quell’ultima triste fase della sua vita.
Attori e attrici emergenti, non a caso principalmente teatrali, tra cui la dolce Saoirse Ronan (protagonista di Amabili Resti e Grand Budapest Hotel) e il mercenario Bronn di Game of Thrones, Jerome Flynn, che, grazie alla sua stimabile interpretazione, è stato in grado di dar vita a un’impressionante mimica facciale che lo ha reso incredibilmente somigliante al Dottor Gachet, medico curante di Van Gogh, nonché suo grande confidente. Ed è proprio questa riproduzione, o meglio, trasformazione dei volti di star hollywoodiane nei personaggi dei quadri di Van Gogh, insieme alla loro fedelissima somiglianza, a dare ancor più intensità alla pellicola, che è stata nominata ai Golden Globes nella categoria “Miglior Film d’Animazione”.
“Non posso cambiare il fatto che i miei quadri non vendono. Ma verrà il giorno in cui la gente riconoscerà che valgono più del valore dei colori usati.”
Il film era nato inizialmente come semplice corto-documentario che si muove alternando momenti di vita del Genio, vista al passato in una sorta di flashback, a tratti dell’immaginaria ricerca della verità da parte del giovane Armand attraverso i volti vicini a Van Gogh.
Lui, Vincent Van Gogh, un uomo che desiderava solo essere amato e amare, con la stessa passione con cui ogni giorno dipingeva le sue tele, l’unica via di fuga che conosceva per scappare dai continui no della vita, dai pregiudizi di un popolo che non sapeva comprendere il suo prodigio e che, come succede ancora oggi, non riusciva a superare l’immagine datagli di ragazzo problematico, folle al punto da tagliarsi un orecchio. Loving Vincent combatte il pregiudizio e onora l’uomo, ancor prima del pittore, che ha inseguito disperatamente quell’idea di felicità e normalità che agognava con tanto desiderio.