Sorprendente, incredibilmente poetico e struggente. Nella corsa agli Oscar 2017 arriva anche “Moonlight”, il film che supera un tabù sociale mettendo in scena il coraggio di chi lotta per affermare la propria identità. Il regista Barry Jenkins porta sul grande schermo la battaglia interiore ed esteriore di Chiron, quella di un ragazzo nero costretto a convivere con la propria omosessualità, condizione che nessuno vuole accettare, nemmeno lui.
Suddiviso in capitoli temporali, Il film racconta tre fasi della vita del protagonista: quella di un bambino in cerca della propria identità, di un ragazzo che impara a conoscere le proprie pulsioni e di un adulto che invece cerca di nasconderle.
Nato e cresciuto in un ghetto di Miami, dove violenza e degrado sociale solo all’ordine del giorno, Chiron è alle prese non solo con una madre tossicodipendente e un padre che lo ha abbandonato, ma anche con l’atteggiamento aggressivo dei suoi compagni di scuola. Troverà conforto nell’amicizia di Juan, un boss del quartiere, e della sua compagna, che lo accoglieranno in casa e dove Chiron troverà molte risposte alle sue domande.
Uno splendido viaggio introspettivo che, pur non rinunciando ad affrontare le tematiche della droga, della violenza e della discriminazione sociale, riesce a mettere in scena la profonda dicotomia tra realtà ed apparenza, tra fragilità interiore e forza di volontà.
Tratto da “Moonlight Black Boys Look Blue”, opera teatrale di Tarell Alvin McCraney, il film racconta il percorso evolutivo di un uomo, consapevole del dramma dell’essere nero ed omosessuale nella società americana moderna. Un tema di grande attualità che il regista affronta con una sensibilità fuori dagli schemi, sia dal punto di vista narrativo che cinematografico. Eppure allo stesso tempo è un film estremamente romantico, che ci insegna che l’amore non ha pregiudizi e che ha il potere di cambiare la vita delle persone, a prescindere dalla loro razza, cultura o tendenza sessuale.
Frutto di un lavoro di ben 8 anni, “Moonlight” dimostra una grande maturità registica che si riflette nelle scelte stilistiche di Jenkins che attraverso la cinepresa riesce a far trapelare la tensione psicologica del personaggio mantenendo un tono pacato e risoluto dove i dettagli non passano inosservati.
Fiore all’occhiello del regista sono i tre attori che magistralmente interpretano il protagonista (Alex R. Hibbert, Ashton Sanders, Trevante Rhodes) e il suo trasformarsi pur rimanendo lo stesso, prigioniero di una vita che non lo lascia libero dagli stereotipi di una società che gli ha voltato le spalle. Le uniche vie di fuga prendono il nome di Juan (interpretato da Mahershala Ali, vincitore di un Sag Award e candidato agli Oscars), una sorta di padre adottivo, e Kevin, il suo migliore amico (anche lui interpretato dai tre attori Jaden Piner, Jharrel Jerome e Andrè Holland) di cui Chiron si innamora e per cui proverà sempre un forte sentimento.
Il dramma familiare, il razzismo e gli stereotipi, la ricerca d’identità…tutte tematiche narrative che Jenkins ci presenta in tutta la loro crudezza, spogliandole di qualsiasi fronzolo stilistico per lasciare spazio solo al sentimento puro e all’emozione che invade lo spettatore dall’inizio alla fine del film.