Il Lucca Comics & Games è appena finito, già si guardano i braccialetti al polso con nostalgia, ma è stata senza dubbio un’edizione piena di novità. Dallo stand Netflix con il percorso a tema “Stranger Things” alle tante anteprime, non solo fumettistiche.
È stato infatti possibile assistere alla proiezione in anteprima mondiale del documentario trasmesso finora solo sulle TV giapponesi “Never Ending Man: Hayao Miyazaki”, che ha dato l’opportunità di entrare nel mondo del maestro del cinema d’animazione giapponese.
Il film inizia da quella che sembrava la fine, l’ennesimo annuncio del proprio ritiro che Miyazaki aveva fatto nel settembre 2013 dopo l’uscita del suo ultimo film “Si alza il vento”. Subito veniamo colpiti dalla saggezza che il due volte premio Oscar emana da tutti i pori, come fosse un cliché del vecchio saggio ai piedi del monte Fuji. La sua profondità sul senso della vita, sul suo lavoro e su quello che rappresentano è disarmante, espressa con una lucidità che solo i geni possono padroneggiare.
Il documentario presenta un Miyazaki giunto all’ultima parte della propria vita, un Miyazaki che sa di essere arrivato verso la fine, come lui stesso sottolinea più volte, ma che ancora sente di non aver dato tutto, di non aver ancora creato qualcosa di indimenticabile.
Ed è la sua costante ricerca e il suo continuo scommettere su se stesso a portarlo a provare ad utilizzare la CGI, per la prima volta dopo una lunga carriera “analogica”.
Con la nuova tecnologia Miyazaki ha infatti deciso di portare sullo schermo per circa dieci minuti un personaggio che aveva in mente da tempo, ma che era troppo complicato da realizzare coi metodi tradizionali. È così che ha avuto la possibilità di dare vita a Boro, un piccolo bruco peloso dagli occhi curiosi.
La relazione con la CGI però non è stata delle più rosee. Vediamo infatti un Miyazaki in difficoltà nell’affezionarsi al personaggio, come se non essendo uscito dal suo pennello fosse stato snaturato della magia che ha sempre circondato i suoi lavori.
Ed è forse per questo, o per la pesantezza della “pensione”, che ci viene rivelata la volontà di Miyazaki di creare un altro lungometraggio, coi metodi tradizionali, con tutta la tecnica e la magia che lo Studio Ghibli ci ha fatto amare.
E Miyazaki è tutto questo: magia, tecnica, umiltà, ironia, ma anche serietà e dedizione al lavoro. In poco più di un’ora il Maestro ci cattura e non vorremmo mai andarcene da quello studio o da quella cucina, così come non avremmo mai voluto uscire dall’abbraccio di Totoro o lasciare la foresta della Principessa Mononoke.
Con questo documentario abbiamo la prova definitiva che i film di Miyazaki non sono altro che Miyazaki stesso.