Leggenda nazional-popolare narra che al centro-sud gli Italiani se la prendono comoda, abbracciando la filosofia della “vita lenta” o, come preferisco dire io, loro la vita se la godono. Come a Roma, per esempio, dove non c’è fretta, nessuno scalpita e spintona per precipitarsi chissà dove e chissà perché, i pranzi durano mezze giornate, gli amici quando si ritrovano poi fanno fatica a lasciarsi, a tornare ognuno alle proprie cose, ognuno alle proprie storie.
Quant’è difficile, tante volte, fare i conti con sé stessi? Anche il più solitario tra i lupi prima o poi si ritrova a subire una certa insofferenza verso la propria condizione. Perché la solitudine, per quanto apprezzabile possa essere, per alcuni più che per altri, spesso finisce per confinare con un’altra circostanza tipica del privato: la noia. Quel “senso di insoddisfazione, di fastidio, di tristezza, che proviene dalla mancanza di attività e dall’ozio o dal sentirsi occupato in cosa monotona, contraria alla propria inclinazione, tale da apparire inutile e vana”. Proprio questa /nò·ia/, i modi in cui si può interpretare, quelli in cui si può declinare, come si manifesta e in cosa si concretizza, ha ispirato e raccordato gli scatti di Storie di /nò·ia/, il primo progetto fotografico di Johnny Carrano.
Roma, Rione Monti, meta di un giro panoramico della Città Eterna con un tassista chiacchierone e aneddoti degni di @romantalks, salite e discese ciottolose e il vociare impaziente tra i tavolini dei bar di chi si è appena affacciato nel weekend, tra i tavolini di via Panisperna 59. Lì, in quegli instanti perfettamente in tono con ciò che sta accadendo, salgo lo scalino d’ingresso della Sacripante Art Gallery e sostituisco i miei occhi con quelli di Johnny Carrano ed entro nei luoghi più privati delle quotidianità dei suoi soggetti.
Luci soffuse, ospiti elettrizzati, il fotografo e il suo team accalorati da emozione e orgoglio, forse ormai indistinguibili l’una dall’altro; appese sulle pareti in pietra dieci storie di /nò·ia/, proiettati sulla parete specchiata alla fine della galleria d’arte dieci video di /nò·ia/.
Dal primo all’ultimo scatto, l’intento del fotografo appare chiaro: esplorare, rappresentandolo, quello stato d’essere che lo ossessiona e ci ossessiona tutti sin dall’inizio della nostra presa di coscienza come umani.
Ognuno ha il proprio modo di stare al mondo, così come ognuno ha il proprio modo di annoiarsi, il proprio “stile di noia”, che ci definisce e ci caratterizza tanto quanto il nostro stile di vita. Perché a quella frase di una famosa serie tv americana che dice “La noia è per le persone pigre che non hanno immaginazione” (“Girls”, 03×02) io non ci ho mai creduto. A conferma della mia convinzione, i soggetti di Storie di /nò·ia/ sono proprio attori, artisti, creativi, ovvero le persone meno pigre e più immaginative per antonomasia. Beatrice Grannò, Fatima Koanda, Barbara Ronchi, Eduardo Valdarnini, Federica Sabatini, Valeria Bilello, Patricia Allison, Noemi Brando e Arianna Panieri, Ema Stokholma, Giacomo Rabbi: per ogni interprete, una definizione di noia.
In “Unicum”, l’attrice Beatrice Grannò è una Dafne moderna, con perline sul viso come un essere marino, avvolta in strati su strati di tulle fino a fondersi con gli elementi della natura; Fatima Koanda, modella, attrice e dj, è un pezzo del deserto, una presenza perfettamente integrata nell’ambiente selvaggio, sabbioso e isolato di “Candida ombra”; l’attrice Barbara Ronchi è l’eleganza domestica, l’ozio ingannevole che fin troppo spesso ci tormenta, in “L’attesa”; ne “I giochi dei grandi”, l’attore Eduardo Valdarnini è l’impazienza pura, come quella dei bambini che non si danno pace, che vogliono tutto ma non sanno cosa, perché forse in fondo non vogliono niente; l’attrice Federica Sabatini in “De(i)solata” è il ritratto del rimuginare, quel pensare troppo che spesso ci attacca molesto quando siamo soli; in “Forme di luce”, l’attrice Valeria Bilello è acqua, raggi di sole che filtrano la superficie dell’elemento che tutto riempie e tutto soddisfa; in “Me Me Me”, l’attrice Patricia Alison è l’ego-centrismo nel senso più letterale del termine, la curiosità verso il proprio corpo e come si relaziona a ciò che lo circonda; in “Nel bene e nel male”, le due attrici e modelle Noemi Brando e Arianna Panieri sono la routine della convivenza, quell’abitudinarietà riconoscibile in ogni relazione vissuta; la conduttrice e scrittrice Ema Stokholma è la protagonista di “Confini”, rappresentazione della fluidità dell’esistenza, l’esperimento di genere, una donna che inganna il tempo facendo cose da uomini; in “Dove”, l’attore e scrittore Giacomo Rabbi è ciò che succede sulla strada quando, con o senza meta, ci abbandoniamo al viaggio, ci lasciamo guidare dall’automobile, immersi e assorbiti in noi stessi.
Da qui mi ricollego ad una riflessione che mi ritrovo spesso a fare, e in cui sono ricascata quella sera in via Panisperna, come quando tra una cosa e l’altra capisco dove sbaglio e poi realizzo che tutti sbagliamo quando ci precludiamo alcune sfumature di emozioni e di stati d’animo, o peggio quando ci forziamo a scacciarle via nel momento in cui ci incontrano. La noia può essere un valore aggiunto alla nostra vita, la noia può insegnarci tanto, su noi stessi e sugli altri e sul mondo. Storie di /nò·ia/ racconta di coloro che non hanno paura di abbandonarsi alla monotonia dell’ozio, ci invita ad accogliere la noia per vedere dove ci porta, perché come ogni emozione e stato mentale, compresi quelli che più ci indeboliscono e sembrano impoverirci, in realtà ha uno scopo e una sua utilità, va vissuta e processata. Per affacciarci a possibilità che mai avremmo pensato di esplorare.
Storie di /nò·ia/
LOCATION EXHIBITION
Rome – Sacripante Art Gallery
Coming soon:
Venice – JW Marriott Venice Resort & Spa
Milan – TBD
Photographer Johnny Carrano.
Producer Maria Bastianello.
Video BTS Paolo Terraneo.
Makeup Artist Vanessa Vastola // Claudia Raia.
Further collaborations: