Ci sarebbero da dire tante cose sul nuovo film “Silence” diretto da Martin Scorsese. Per esempio sulla qualità delle immagini che ci rimanda alla memoria la pittura dei migliori quadri grazie all’utilizzo della pellicola per girarlo, che rende luci e colori più belli che mai, immagini che rimangono impresse nella nostra mente anche dopo essere usciti dalla sala del cinema. Si dice sia stata la sua opera monumentale: è forse è davvero così.
Un film che Scorsese desiderava fare da 30 anni, da quando (nel 1988) gli fu regalato da Paul Moore, arcivescovo di New York, il libro “Silence” di Shūsaku Endō da cui è tratto il film. Non è un segreto che da adolescente volesse diventare un prete, lo ha spesso dichiarato in svariate interviste. Ma Scorsese ha sentito una sola vera vocazione nella vita: quella di fare film. E da sempre, ha voluto legare questa sua vocazione alle domande sull’esistenza e sulla religione: “Durante gli anni le idee vanno e vengono. Domande, risposte, domande che diventano senza risposta e nuove domande ma Silence era diventato un’ossessione, andava fatto”.
L’autore del libro, che condivide con Scorsese un rapporto tormentato con la fede cristiana, ricostruì il viaggio di due gesuiti nel Giappone dei Kakase Kirishitan (i cristiani nascosti) alla ricerca del loro mentore, padre Ferreira (Liam Neeson), costretto dalle persecuzioni e dalle torture ad abiurare la fede.
Il giovane e tormentato padre Rodrigues, ha il volto pulito di Andrew Garfield, accompagnato dall’attore Adam Driver. Silence non è tanto un racconto sulla ricerca di due preti del loro mentore quanto una complessa riflessione sulla fede, che fa vivere allo spettatore le domande più scomode. Perché Dio permette tanto dolore? Perché preghiamo in cambio del silenzio? Infatti la sceneggiatura evidenzia senza troppi giri di parole i tormenti del regista, egli non offre risposte, scorciatoie o consolazioni.
L’eccezionale Andrew Garfield ha dichiarato: “Sono felice che ci abbia messo così tanto a girare questo film, anche se per lui deve essere stato doloroso, perché questo vuol dire che sono io la persona che doveva fare questo percorso con lui. La cosa più geniale del film è che tutti hanno ragione e torto, non c’è una sola risposta e non c’è una sola strada. Martin ha trasceso sé stesso con questo film. Avere fede in Cristo, a mio parere, è un dono. Recitando con Martin, di formazione cattolica, la mia interiorità si è arricchita”.
Il regista ha dichiarato: “Penso di aver affrontato in diversi modi l’idea dei principi della fede cristiana nella vita di tutti i giorni”. E pensiamo a quante volte ciò sia stato rappresentato nei suoi film: nella morte di Jack Nicholson in “The Departed”, nella follia di Robert de Niro in “Taxi Driver” o nel fanatismo religioso di “Gans of New York”.
Ma Silence non è solo il titolo del film, è anche protagonista ed antagonista, il buono e il cattivo, la speranza e la disperazione.
Il silenzio definisce tutto: è ciò che fa vacillare e ciò che dà la forza. Perché solo nel silenzio più grande si è capaci di sentire le urla del bisognoso ed è solo grazie al silenzio che si riesce a costruire la vera fede.
Il piacevole rumore del mare, delle onde che si infrangono sugli scogli, le foglie nel vento, piccoli rumori della natura e poi: il Silenzio ancora.
E tutti noi speriamo non rappresenti il silenzio del regista, che non abbia voluto così, con quest’opera perfetta, concludere il cerchio dei suoi più grandi film e dando in questo modo l’interpretazione più grande e alta di cosa per lui è la fede cristiana e soprattutto, nella maniera più sofferta, spiegare il puro senso della vita, così diffide da comprendere in tutto questo frastuono.
“Io prego ma sono sperduto, alla mia preghiera risponde il silenzio”.