Nell’iniziare a scrivere questo articolo, mi è venuta in mente quella canzoncina che dice: “Per fare un tavolo ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole l’albero” e così via. Ora, proviamo ad adattarla al contesto della moda sostenibile: “Per fare un abito sostenibile ci vuole…”: il rispetto verso l’ambiente, gli animali e i lavoratori coinvolti nel processo produttivo. Ci vuole poi una certa attenzione per il sistema circolare, fondato sui principi di recupero, riciclo e riuso, per l’utilizzo delle risorse coinvolte (come l’acqua) e per le emissioni di CO2. E ci vogliono anche le certificazioni che testimoniamo i risultati raggiunti in nome della trasparenza.
In altre parole, ci vogliono impegno, volontà, desiderio di cambiamento e, soprattutto, parlando in termini “pratici”, ci vogliono dei materiali e dei tessuti sostenibili! Detta così sembra facile, ma quali sono in realtà? E come facciamo a riconoscerli? Ecco una pratica guida per sapere come, e di cosa, sono fatti i vostri vestiti!
I TESSUTI CLASSICI
LE FIBRE NATURALI
Sono dei singoli filamenti dalla lunghezza già prestabilita in natura che vengono poi filati e attorcigliati per formare dei fili utilizzati nella produzione di tessuti quali cotone, lino, canapa, juta, seta e lana (queste ultime due di origine animale).
COTONE: una fibra tessile ricavata dalla bambagia che avvolge i semi delle piante del genere Gossypium. La lavorazione del cotone è di per sé nociva per l’ambiente, e per questo è importante ricorrere al cotone biologico: per ottenerlo, è necessario il 91% di acqua in meno rispetto a quello tradizionale, è meno inquinante e la sua produzione ed emette un minor quantitativo di gas serra. Come riconoscerlo? Prestate attenzione alle certificazioni OCS (Organic Content Standard) o GOTS (Global Organic Textile Standard) e all’etichetta Fairtrade per assicurarvi che quel capo in cotone rispetti gli standard internazionali in tutti i suoi livelli di produzione.
LINO: tutti ci ricordiamo la lezione di storia in cui si parlava dell’Egitto e del lino, ricavato da una pianta della famiglia delle Linacee. Rappresenta un filato sottile pregiato, resistente, traspirante e termoregolatore e, proprio per queste sue qualità, viene utilizzato in molti settori. Si tratta di un materiale biodegradabile e riciclabile, che non necessita di grandi quantitativi di acqua o energia per la produzione e le cui piantagioni contribuiscono alla diminuzione di anidride carbonica presente nell’aria. Tra le certificazioni che ne valutano l’eccellenza, troviamo Masters of Linen e GOTS (Global Organic Textile Standard).
JUTA: si ricava dal fusto delle piante di Corchorus che crescono in ambienti umidi, principalmente in India e in Cina. Questi fusti vengono essiccati, macerati e poi lavorati per ottenere una fibra 100% biodegradabile e molto versatile, nota anche come “fibra dell’oro” per il suo aspetto lucente. In termini di sostenibilità, la sua produzione non richiede assistenza chimica o pesticidi, ed è stato dimostrato che un ettaro di piante di juta può assorbire fino a 15 tonnellate di anidride carbonica e rilasciare fino a 11 tonnellate di ossigeno durante la stagione di crescita, migliorando allo stesso tempo la qualità del suolo.
CANAPA: le fibre sono contenute nella pianta della famiglia della Cannabis e prevedono una lavorazione simile a quella del lino. La lavorazione della canapa non richiede sostanze chimiche: basti pensare che canapa, juta e lino possono definirsi fibre ecologiche anche senza bisogno di certificazioni. Si tratta di un materiale pregiato, versatile e confortevole, le cui fibre possono anche essere mescolate con quelle di altri materiali per dar vita a prodotti altamente resistenti.
SETA: uno dei materiali tessili più pregiati, derivata da una sostanza viscosa prodotta dal bozzolo dei bachi da seta, che viene prima essiccato e poi macerato prima di effettuare la scopinatura, dalla quale si ottiene l’effettivo filato. I bachi si nutrono solo di foglie dell’albero di Gelso, le cui piantagioni innalzano il livello di biodiversità dell’ecosistema e non necessitano di fertilizzanti o pesticidi, con un bassissimo impatto ambientale. La fibra di seta è inoltre 100% riciclabile e riutilizzabile. Tra le certificazioni disponibili, troviamo la GOTS, la Oeko Tex Standard 100, la Reach e la Fair Wear Foundation.
LANA: si ottiene dalla cardatura e filatura del vello delle pecore ed è un materiale traspirante, morbido e che trattiene l’umidità. Anche qui, bisognerebbe prediligere quella di natura biologica, ottenuta in allevamenti dove gli animali sono liberi di pascolare e che vengono tosati nei periodi giusti dell’anno, senza recare loro violenza. Questo filato prevede poi dei passaggi che non utilizzano sostante dannose per l’ambiente, sostituite da altre più sostenibili. Sono un esempio di lavorazione sostenibile la lana rigenerata e la TirolWool, un marchio registrato per indicare la lana delle pecore tirolesi, che vivono nei pascoli del Tirolo e vengono tosate solo quando scendono a valle nel periodo pre-estivo. La TirolWool è una lana molto grezza prodotta a KM 0 e con il sistema di lavaggio ecologico OXY-WASH. Tra le certificazioni della lana biologica, ci sono la Responsible Wool Standard, la GOTS, la Organic Content Standard, la Oeko Tex Standard 100, la Reach e la Fair Wear Foundation.
CASHMERE
Sfatiamo un mito: la produzione di cashmere non è sostenibile. Lo è stato finché la fibra veniva considerata pregiata e quindi centellinata: basti pensare che il cashmere si ottiene pettinando una volta all’anno le capre Hircus, allevate dai pastori nomadi nelle regioni dello Sinkiang, nel Tibet e in Mongolia, e che per fare un maglione servono circa 4 capre. L’aumento della domanda negli anni ha portato a un sovraffollamento di greggi e a un conseguente sfruttamento eccessivo del territorio che non è più sostenibile. La soluzione? Il cashmere riciclato, che comporta un risparmio del 97% di emissioni di CO2, del 76% di energia e del 92% di acqua rispetto alla produzione della materia vergine, garantendo un indumento trascurabile, antistatico e dalla durata infinita. Tra le certificazioni proprie, troviamo la GOTS, la Organic Content Standard, la Oeko Tex Standard 100, la Reach e la Fair Wear Foundation.
BAMBOO
Quella che si ricava dalle fibre di bamboo è una viscosa artificiale di origine naturale. Data l’estrazione chimica, è bene acquistare capi in bamboo prodotti da aziende che prevedono processi di lavorazione sostenibili e certificati, con un ridotto utilizzo di acqua ed energia e il rifiuto di sostanze tossiche dannose. La coltivazione di bamboo (che si ha prevalentemente in Asia) è invece a basso impatto ambientale: l’utilizzo della sua fibra in modo sostenibile consente di ottenere capi morbidi, resistenti e brillanti, oltre che antibatterici ed estremamente elastici. Tra le certificazioni di provenienza, abbiamo la Oeko Tex Standard 100, la Reach, la Fair Wear Foundation e la Animal Free.
I TESSUTI DELL’INNOVAZIONE
ORANGE FIBER
Una fibra Made in Italy ottenuta dagli scarti della filiera agrumicola: si tratta di Orange Fiber, nome sia del prodotto che dell’azienda di Catania nata nel 2014 da un’intuizione di Adriana Santanocito ed Enrica Arena che hanno brevettato, prodotto e commercializzato tessuti ricavati da agrumi. Ogni anno, in Italia, si producono circa 1 milione di tonnellate di scarti nella filiera degli agrumi ed è qui che interviene Orange Fiber, che propone un’alternativa a questo enorme spreco di materiale per donargli una nuova vita: l’azienda si occupa di estrarre la cellulosa di agrumi dagli scarti per ottenere un filato versatile. Si tratta di un prodotto innovativo che non incide sulle risorse naturali, sfruttando al contrario quelle che andrebbero altrimenti smaltite, e che offre una soluzione innovativa e sostenibile all’esigenza della moda. Orange Fiber è stato adottato da brand come Ferragamo ed H&M per realizzare collezioni speciali nel rispetto dell’ambiente.
DESSERTO
È il vincitore dei LVMH Awards 2020: questo tessuto, brevettato da Adrian Lopez Velarde e Marte Cázarez, si ottiene dagli scarti del cactus Nopal ed è stato riconosciuto come pelle vegana a basso impatto ambientale. Il processo produttivo alla base di questo tessuto è molto meno inquinante rispetto a quello della pelle effettiva, in quanto non prevede l’utilizzo di materiali sintetici, dando vita ad un materiale altamente resistente e versatile, oltre che biodegradabile.
TENCEL
Si tratta di un marchio registrato dall’azienda austriaca Lenzing AG che certifica la produzione delle fibre tessili Lyocell e Modal, due tessuti artificiali di origine naturale, estratte rispettivamente dalle piante di eucalipto e di faggio e considerate tra le fibre cellulosiche rigenerate più ecologiche al mondo. Entrambe si ottengono da alberi coltivati da aziende certificate dalla Forest Stewardship Council (FSC), rispettando gli standard socialmente e responsabilmente utili per l’ambiente. Durante il processo di produzione, non vengono utilizzate sostante chimiche dannose, mentre il 99.5% del solvente viene recuperato, purificato e riutilizzato per le successive estrazioni. Si presenta come un tessuto elastico, liscio e 100% biodegradabile.
MYLO
Un’altra pelle ecologica, questa volta estratta dal micelio, ovvero una parte che compone le radici dei funghi: si tratta di Mylo, un tessuto biodegradabile brevettato da Bolt Threads e supportato da un consorzio formato niente meno che da Adidas, Kering, Lululemon e Stella McCartney per incentivarne la produzione e la vendita. Il processo che si cela dietro a Mylo, privo di prodotti chimici, prevede l’estrazione delle ife sotto forma di schiuma, poi trasformata in pelle per mezzo di una lavorazione totalmente sostenibile, a basso impatto ambientale.
PIÑATEX
Tra i numerosi benefici dell’ananas, troviamo anche quello di far bene all’ambiente come tessuto: Piñatex è infatti il brevetto dell’azienda Ananas Anam fondata da Carmen Hijosa, che ha ripreso e sviluppato un’antica tecnica filippina per ottenere un materiale simile alla pelle partendo dalle foglie di ananas, che rappresentano uno scarto alimentare. Nel 2015, il materiale ha ottenuto il riconoscimento “Vegan Fashion Label” da Peta e il loro Innovation Award per la sua natura ecologica, biodegradabile ed economica: per produrre un metro quadrato di simil-pelle servono quasi 500 foglie, che corrispondono in media a 16 ananas. Ad oggi, sono numerosi i brand che utilizzano Piñatex, tra i quali Camper, Trussardi, Laura Strambi e Hugo Boss.
ECONYL
Si tratta di una fibra tessile sintetica derivata dalla rigenerazione di polimeri di plastica riciclata ottenuta grazie al riciclo di reti da pesca, tappeti, rifiuti plastici industriali e scarti di tessuti. L’econyl è stato brevettato da Aquafil, un’azienda tessile italiana, attraverso il riciclo di risorse esistenti e la riduzione di emissioni, oltre che del consumo di materie prime, per ottenere un nylon ecofriendly e certificato, sia a livello di sostante utilizzate per la produzione che di normative vigenti per rispettare la manodopera coinvolta. I rifiuti plastici provenienti dall’oceano e utilizzati per la produzione di econyl vengono raccolti dai SUB Volontari di Healthy Seas. Un utilizzo esemplare di questo materiale proviene dal gruppo Prada, che ha utilizzato l’Econyl per dar vita alla collezione Re-Nylon, e dal brand Burberry, che nel 2020 ha lanciato la capsule collection ReBurberry Edit: abbigliamento (tra cui l’iconico trench), calzature e accessori interamente realizzati in econyl.
APPLE SKIN
Dopo l’ananas e i funghi, è il turno della mela, o meglio, degli scarti della mela dai quali si estraggono delle fibre che, unite al poliuretano, danno vita ad un tessuto innovativo e resistente. L’Apple Skin è un brevetto della Frumat Leather (azienda italiana con sede a Bolzano) che ha vinto oltretutto il premio “Technology and innovation” al Green Carpet Fashion Award 2018. Ad utilizzarla è stato il brand Womsh, che ha lanciato una linea di scarpe vegan interamente realizzate con questa Apple Skin grazie alle sue caratteristiche di resistenza, funzionalità e comfort.
WINELEATHER
Un progetto innovativo quello dell’azienda italiana Vegea SRL, che ha sfruttato le bucce (note come vinaccia) e i semi dell’uva per creare una pelle vegetale, nel nome dell’economia circolare. Wineleather si ottiene infatti grazie ad un processo produttivo d’avanguardia che trasforma le fibre e gli oli vegetali della vinaccia in un materiale ecologico che ha le stesse caratteristiche della pelle. I vantaggi sono enormi: basti pensare che, al mondo, ogni anno vengono prodotti 26 miliardi di litri di vino; questo significa che si ottengono 7 milioni di tonnellate di vinaccia da trasformare potenzialmente in tre miliardi di m2 l’anno di Wineleather. Il progetto ha ottenuto nel 2017 il Global Change Award della H&M Foundation.