Oggigiorno si fanno report per qualsiasi cosa, in qualsiasi settore e sono tutti, giustamente, importanti per analizzare l’andamento di una determinata attività. Ho l’impressione però che questi report siano diventati nel tempo obbligatori per certe task (penso ad esempio ai social media), ma allo stesso tempo mi domando: com’è possibile che ancora non lo siano per monitorare l’effetto dell’impatto delle industrie, a cominciare proprio dalla moda?
Siamo tutti qui ad urlare la necessità di un cambiamento in questo settore, un cambiamento che DEVE avvenire, viste le numerose problematiche ecologiche ed etiche che, purtroppo, ancora caratterizzano l’industria della moda. Le notizie di greenwashing, pratiche scorrette e regolamentazioni del lavoro assenti sono quasi all’ordine del giorno, mentre quelle inerenti ad un brand che ha pubblicato un report di sostenibilità sono sporadiche. Eppure, quando si introducono pratiche sostenibili nella propria realtà, si dovrebbe condividere i risultati ottenuti con tutti: “tale azienda ha implementato questa pratica per ridurre il consumo di acqua di tot già entro 3 anni”, e le prove dove sono? “Questo brand ha trovato un modo per impiegare l’invenduto anziché gettare tutto in discarica o bruciarlo”, e chi ce lo assicura?
In un mondo dove “trasparenza” e “reperibilità di informazioni” sono all’ordine del giorno, la moda fa ancora fatica a schiudersi. E no, i commenti come “è un settore che è sempre stato riservato” non sono più validi nel 2024, almeno non quando si parla di sostenibilità. C’è bisogno di una vera e propria regolamentazione per rendere obbligatori questi report per tutti (indipendentemente da dimensioni, lusso, fast fashion ecc.), strumenti utilissimi nel monitorare l’andamento del settore moda, per capire dove siamo arrivati e quanta strada ancora abbiamo da fare, individuando le esigenze reali e smascherando chi si macchia di diffusione di false informazioni nel tentativo di essere più green. Fare del bene, e farlo bene, non è più un’opzione: è un dovere, nei confronti del pianeta, della nostra generazione, e di quelle future.
Che cos’è un report di sostenibilità e perché la moda dovrebbe avvalersi di questo strumento
Un report di sostenibilità è un documento che contiene informazioni sull’impatto ambientale, sociale ed economico (in termini sia positivi che negativi) dell’organizzazione/attività che lo redige, fornendo anche una panoramica sulla strategia dello stesso e i prossimi step/obiettivi in termini di sostenibilità. Ad oggi, è un documento che viene preparato volontariamente e non ci sono linee guida condivise o regolamentate per la moda su come doverlo preparare per essere completo, attendibile e comprensibile. La pubblicazione di questo report permette ai vari stakeholders, clienti e pubblico in generale di rimanere aggiornati sull’andamento, in termini di sostenibilità, di una determinata azienda, creando così un precedente di trasparenza e responsabilità etica ed ambientale che, nel tempo, porta alla costituzione di un rapporto di fiducia con una determinata realtà.
Il motivo per cui dovrebbe essere obbligatorio non è solo per dichiarare come un brand sia attento alle proprie responsabilità ambientali e sociali, ma è anche fondamentale per evitare azioni quali il greenwashing e per dare un esempio positivo alle altre aziende del settore. In questo modo infatti, i brand possono dimostrare concretamente cosa hanno fatto per essere più green come azienda, portando esempi e dati utili non solo agli insiders, ma ai clienti stessi, che vedono in una tale scelta la volontà di fare effettivamente la differenza. Tale report, per una facilità di fruizione, può essere condiviso online, tramite social, i siti delle aziende, o delle pubblicazioni di settore per esplicare le problematiche, il modo in cui si sono affrontate, i prossimi step, dare prova del modo in cui vengono usate le materie prime o dove vengono prodotti i capi/accessori, dimostrare di avere a cuore le condizioni di lavoro degli addetti in ogni parte del mondo, il processo produttivo che si è seguito, l’utilizzo delle energie, il rispetto delle regolamentazioni governative, e così via: tutto quello che può essere sostenibile, è racchiuso in un pratico e utile strumento che tenga traccia del progresso, delle azioni e dei risultati ottenuti o meno per valutare le performance ambientali, sociali, ed economiche conseguentemente, di una determinata realtà.
Cosa non può mancare in un report di sostenibilità per la moda
Se il rischio di greenwashing è sempre dietro l’angolo, per non cadere nella trappola bisogna essere onesti, trasparenti, seri e accurati nelle informazioni che si condividono, mettendo anche a disposizione le fonti, i dati e i processi di analisi necessari per arrivare ad una determinata affermazione. Nel redigere un lavoro del genere, bisogna:
- Organizzare tutte le informazioni disponibili, decidendo come presentare i vari elementi, in che ordine e secondo quale storytelling
- Raccogliere i dati in modo completo e rilevante grazie all’utilizzo di fonti interne ed esterne
- Analizzare i suddetti dati per una valutazione precisa dell’andamento dei vari elementi che saranno poi inclusi nel report
- Presentare i risultati in modo chiaro e accessibile ai vari fruitori dei report
Non devono mancare quindi una presentazione accurata del brand e della sua strategia in termini di sostenibilità, i dati effettivi per valutare le varie performance e le considerazioni/analisi di riferimento che devono essere precise e chiare, per evitare il sorgere di qualsivoglia dubbio.
Esempi di report di sostenibilità nella moda
Uno dei lavori più completi e interessanti è quello fornito da Fashion Revolution, che annualmente presenta il Fashion Transparency Index condividendo informazioni sui principali brand di moda inerenti alle loro pratiche e impatti ambientali e sociali. È forse uno dei modelli più realistici, chiari e accessibili per capire veramente a che punto siamo in termini di sostenibilità nella moda. Ci sono poi i report forniti dai brand proprio: ad esempio, Vestiaire Collective mette a disposizione un Impact Report annuale completo e interessante, così come Business of Fashion, che propone (a pagamento) un’analisi precisa simile nella struttura e obiettivi a quella di Fashion Revolution, ed è particolarmente utile agli insiders del settore.
Altri esempi di grandi nomi che condividono dei report di responsabilità sono i gruppi Moncler, Armani, Kering ed LVMH. Due degli esempi più utili e ben redatti, a mio parere, sono: il report di sostenibilità di Reformation, reso disponibile con cadenza trimestrale e suddiviso in argomenti quali persone, pianeta, prodotti e progresso, e quelli di Ganni, al momento impegnato in una strategia sostenibile denominata “GAMEPLAN 2.0” per raggiungere una serie di obiettivi entro il 2025. Di Ganni, amo il modo onesto e alla mano con cui vengono presentate le informazioni, senza nascondere le difficoltà che si sono superate per raggiungere un determinato obiettivo. Tutti esempi utili per ricordarci come la trasparenza nella sostenibilità ripaghi, sempre. Non tanto in termini economici, quanto di miglioramenti e di convinzioni che sì, cambiare in meglio è davvero possibile: d’altronde, abbiamo tutti bisogno di un po’ di speranza.