L’odore vaginale ha una storia complessa che intreccia una serie di fattori culturali e sociali a un susseguirsi di narrazioni tossiche che da sempre hanno reso questo aspetto femminile oggetto di tabù, stigmatizzazioni e mortificazioni, facendo leva sul senso di vergogna delle donne per creare le basi di un ambiente di disinformazione e repressione che ha avuto impatti profondi sulla nostra salute e sulla nostra libertà fino a oggi.
La percezione negativa dell’odore vaginale (che fin dall’antichità era considerato come qualcosa di “impuro”, di “cattivo gusto” da coprire e nascondere), spesso alimentata da norme culturali che promuovevano l’idea di una femminilità pura, candida e perfetta, non solo ha influenzato enormemente l’accessibilità (o, in questo caso, proprio l’inaccessibilità) a un’educazione sessuale e ad una comprensione del corpo adeguata, ma ha anche posto le fondamenta per un clima opprimente.
Un clima che da una parte ha obbligato le donne a nascondere o ad alterare le proprie caratteristiche fisiologiche con impatti profondi sulla salute intima e sull’immaginario distorto che ne abbiamo avuto, e dall’altro ha creato una proliferazione di mercato senza precedenti che, approfittando del senso di mortificazione delle donne, ha creato le basi per la diffusione di un ideale di “odore vaginale perfetto”.
Non c’è da sorprendersi, infatti, se fino a pochi anni fa entrando in un qualsiasi negozio e passando davanti al reparto di igiene intima, ci trovavamo di fronte a scaffali interamente dedicati a prodotti per “profumare” la vulva come saponi, deodoranti vaginali e creme e, andando un po’ più a fondo nel web, ci imbattevamo in siti che vendevano tutta una serie di linee di prodotti intimi specificamente progettati per “migliorare” l’odore della vagina, facendoci profumare di vaniglia, cannella o fiori e adattando l’odore delle nostre zone intime alle tendenze di mercato del momento, trasformando la gestione dell’odore vaginale in una vera e propria industria a tutto tondo che continua – ahimè – ancora oggi a esistere, figlia di un retaggio e di una lunga tradizione di stigmatizzazione dell’intimità femminile.
L’idea che l’odore naturale della vagina fosse qualcosa di “sconveniente” o “ripugnante” ha però radici molto più antiche: fin dal Medioevo si hanno infatti testimonianze di come il corpo femminile, soprattutto se associato al piacere e agli organi sessuali, fosse considerato un tabù e di come poi, dopo una lunga storia di soppressione di secoli e secoli, a ridosso del Novecento, le donne facessero uso di soluzioni posticce e invasive come le irrigazioni vaginali o il talco per mantenere le loro parti intime “fresche e pulite”.
Ed è proprio nel Novecento difatti che assisteremo a un vero e proprio boom di pratiche igieniche aggressive che, attraverso una subdola azione di marketing che ha tramutato il senso di vergogna storicamente impiantato nelle donne in un’occasione di profitto, non solo hanno minato gravemente il concetto di ciò che giusto e sbagliato per la salute intima, ma hanno anche alimentato ancora di più un profondo senso di imbarazzo. Plasmando la percezione che le donne stesse avevano del proprio corpo e creando una domanda-offerta che persiste ancora oggi e che, con ogni probabilità, impiegherà ancora molti anni prima di poter essere completamente smantellata. Tramutando dunque un profondo problema sociale e culturale in una grande trovata di marketing e investimento.
Un esempio storico rilevante è quello dell’azienda Lysol nel 1946, che, tramite le proprie campagne pubblicitarie, attribuiva alle donne la responsabilità dei conflitti coniugali al loro odore corporeo, presentando il proprio prodotto per l’igiene femminile come la soluzione a tutti i problemi matrimoniali, così come quello dell’azienda Femfresh, che legò all’immaginario di una “vagina fresca e inodore” quello della castità e della purezza, promuovendo l’ideale di una donna innocente e virginale che durante la prima notte di nozze utilizzava il deodorante del marchio per prepararsi all’atto sessuale, allargando così dunque lo spazio dalla sola “igiene” intima all’intera sessualità e alle norme sociali sul sesso.
Influenzando non solo un fattore – anche se già di per sé determinante come l’odore vaginale – ma intrecciandoci tutta una serie di sfaccettature e generando a lungo andare stigmi non solo inerenti all’odore vaginale, ma anche a temi come la percezione della donna, la sessualità, il piacere e le funzioni corporee (come il ciclo mestruale e le perdite).
Non solo: aziende come la stessa Femfresh, ma anche Bidex e FDS svilupparono in breve tempo una gamma di intimate refreshing products riuscendo a posizionarli sul mercato come beni di consumo di prima necessità, direttamente negli scaffali dei negozi, dei supermercati e delle parafarmacie, rendendoli così accessibili a gran parte della popolazione e ampliandone in breve tempo la domanda e l’offerta.
Anche la pubblicità, i magazine e gli spazi televisivi hanno contribuito all’ascesa e al ruolo così radicato che hanno questi prodotti nella società: tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta i prodotti per l’igiene intima femminile cominciarono a essere pubblicizzati con maggiore frequenza e visibilità, soprattutto su riviste femminili di massa e in televisione, riuscendo così a raggiungere un pubblico sempre più ampio.
Il cambiamento più significativo nella percezione dell’odore vaginale ha inizio con la liberazione sessuale e il femminismo e tutto quel percorso di riappropriazione del corpo femminile, che si fa portavoce di sfidare le norme sociali e culturali che imprigionano e costringono la donna in ideali assurdi di perfezione. Il nostro odore, compresi però anche altri aspetti del corpo come la peluria o il ciclo mestruale, iniziarono a essere visti finalmente come qualcosa di naturale e personale, mettendo in discussione la tradizionale vergogna legata alla sessualità e agli odori corporei.
E d’altronde, questa è una lotta che portiamo avanti ancora ai giorni nostri: dagli anni 2000 sono stati fatti passi da gigante per quanto riguarda la normalizzazione dell’odore naturale delle nostre vulve, ma il percorso si è svolto un po’ più lentamente di quello che ci auguravamo.
Io ricordo, quando negli anni 2015/2016 mi sdraiavo in cameretta a leggere quelle che potremmo chiamare comunemente “le riviste femminili di bellezza” e, fra le pagine che si dedicavano alla sessualità e alle relazioni, trovavo interi articoli dai titoli come “come far profumare la tua amica del piano di sotto in 5 mosse”, oppure “cosa fare e cosa non fare prima di fare l’amore con il proprio ragazzo: 1. ricordati di profumarti lì sotto…”.
Lungi da me criticare il lavoro di altre colleghe: erano semplicemente quelli i tempi correnti ma questo esempio mi serve a far capire come non sono molti gli anni che sono intercorsi fra il momento di libertà più generale nel quale ci troviamo da qualche anno (e anche qui ci sarebbe un discorso enorme da portare avanti che sicuramente affronteremo) e anni che, seppur storicamente molto distanti da quelli citati sopra, erano ancora accumunati da un senso di mortificazione e repressione.
Oggi, dunque, grazie a una società che ha sviluppato – in parte – un maggiore senso critico e una maggiore dimensione di accettazione, stiamo assistendo a un lento e progressivo ribaltamento dei canoni imposti e a un trionfo di body positivity ed empowerment femminile, che stanno lavorando per dire “no” alla stigmatizzazione e “si” alla normalizzazione dell’odore naturale, come parte più ampia di una discussione sul corpo femminile.
Una discussione che coinvolge medici, attivisti e soprattutto i social, che promuovono una cultura del benessere e dell’accettazione di sé che aiuta e aiuterà sempre di più le donne nel sentirsi libere di parlare apertamente dei propri corpi. E così anche gli stessi prodotti di igiene intima femminile stanno subendo una trasformazione profonda, adattandosi alle richieste dei consumatori e non il contrario. Andando incontro ai bisogni effettivi delle donne, che stanno imparando a rieducare sé stesse alla bellezza del proprio corpo.
What do you think?