“Remember when we used to play in the woods together?”
“Ricordi quando giocavamo tra gli alberi insieme?”
La disperazione del ricordo, la consapevolezza di qualcosa che è stato e non sarà mai più, la realizzazione del fatto non si può tornare indietro dal cambiamento. “Woodshock”, film di debutto diretto da Kate e Laura Mulleavy (sorelle e stiliste di Rodarte) e presentato durante la 74esima Mostra del Cinema di Venezia, ci insegna quanto sia facile perdere noi stessi e il senso della realtà. E di come, una volta scelta la via della rovina, sia difficile tornare indietro.
“Woodshock” racconta la storia di Theresa (Kirsten Dunst), una donna che, dopo la morte della madre, si lascia totalmente reprimere dal dolore, perdendo interesse per sé stessa, per il suo compagno e per il suo lavoro. Per raggiungere uno stato di straniamento totale, decide di provare un mix di droghe che la porta ad avere forti allucinazioni, momenti di perdita del controllo e che la porteranno a compiere azioni di cui non si riesce a percepire la verità.
Nelle scene tutto è legno: le assi del letto di morte della madre dove lei si stende, il legno gli alberi dove la protagonista giocava quando era piccola, di legno di sequoie secolari è fatta la sua casa e tanti sono i tronchi di albero tagliati nella segheria accanto. La maggior parte del legno che incontra è spezzato, proprio come lei, che non riesce a riprendersi dalla morte della madre. E allora cammina su di una distesa di rami e tronchi spezzati, sempre in equilibrio scostante, e cadendo sempre nella disperazione dei pensieri, anche alterati, della sua mente.
Il lutto, la natura, l’esplorazione della femminilità. “Woodshock” diventa anche un racconto del proprio corpo, del corpo vero della donna. Kirsten Dunst è meravigliosa in questo ruolo, dove utilizza ogni piega del suo corpo per comunicare in un film dove i dialoghi, di sicuro, non sono essenziali. E non servono a spiegare ciò che lei ci fa vedere in ogni suo movimento dentro e fuori quella casa.
Protagonista del film è anche il tatto, tutto ciò che Kirsten tocca ha un rumore particolare: il legno delle pareti che tocca, il suono delle sue dita nella vasca da bagno. Il coinvolgimento che crea la musica è unico: riproduce i suoni della natura e dei suoi abitanti.
I colori, le sfumature che si sovrappongono, le inquadrature dei dettagli, anche quelli più piccoli, evidenziano le capacità naturali delle registe nel saper cogliere ogni sfumatura della protagonista Theresa.
Durante il nostro incontro con le registe e i protagonisti del film, Kate e Laura ci hanno detto di aver lavorato al copione di “Woodshock” dal 2011, presentandolo all’attrice e grande amica Kirsten Dunst mentre erano a Firenze e le riprese sono iniziate nel 2015. Proprio ed anche per questo motivo sono state felici di poterlo presentare proprio in Italia, dove tutto è nato: “Ci teniamo molto a questo film, i luoghi che si vedono sono quelli della nostra infanzia, dove siamo cresciute. Siamo cresciute a Santa Cruz e abbiamo sempre sentito vicine le lande ricoperte di sequoie che si trovano in quei dintorni, sono davvero degli alberi incredibili e sono delle zone molto protette”.
Hanno anche spiegato come l’economia del luogo abbia influenzato la loro storia: nonostante tutti pensino che la corsa all’oro fosse l’economia dominante, quella invece del legno è stata la più florida in California. Questa poi, è stata sostituta dalla coltivazione di marijuana. Ed ecco perché proprio la marijuana diventa coprotagonista del film insieme a Theresa, che attraverso tali sostanze arriva a scoprire quella parte più nascosta di sé stessa: “Abbiamo voluto dipingere il mondo di Theresa come se fosse un acquerello, sfruttando anche le tecniche specifiche di un artista finlandese per rendere coinvolgente al massimo la perdizione del personaggio, e del pubblico insieme a lui.”
I protagonisti, Kirsten Dunst e Pilou Asbæk, sono stati entusiasti fin da subito del copione: “Con le registe c’è stato un rapporto naturale e spontaneo fin da subito”.
Kirsten ha ammesso anche che si è trattato del ruolo più difficile di tutta la sua carriera, visto anche il legame che condivide con le sorelle, registe e designer da anni: “È giusto dare le opportunità di realizzarsi a nuovi registi e per questo sono contenta di aver partecipato al loro progetto; credo che abbiano trovato la loro vena artistica. Secondo me molti registi riescono a dare il loro meglio con la loro prima opera.”
Entrambe le registe hanno poi parlato degli obbiettivi del film: “Volevamo dare voce a un’esperienza sovversiva, trasformando l’ambiente famigliare e infrangendo gli spazi interni per riflettere l’esperienza drammatica di Theresa. Proprio a partire dalle pareti di casa, costruite con le sequoie che si vedono all’esterno, ha inizio la disgregazione della sua vita. È un film che si deve rivedere più volte per poterne decifrare i vari strati. Abbiamo studiato la storia di isolamento di un corpo femminile e della distruzione dell’ambiente, di quella madre natura che condividiamo tutti noi.”